Nick: giGGinocon2G Oggetto: LACCI ROSSI Data: 1/2/2007 17.49.50 Visite: 189
LACCI ROSSI Apparentemente quel Sabato di fine Gennaio si preannunciava identico agli altri Sabato che aveva vissuto negli ultimi tempi. Luca si era messo in macchina dopo le 22, mentre intorno a lui una strana nebbia testimoniava la grande quantità di umidità presente nell’aria. L’Inverno pareva essersi deciso a mettere sul tavolo le sue carte, e finalmente quella sera i denti di Luca battevano per il freddo. Si era fatto una doccia, quindi aveva cacato quel po’ di cibo che aveva ingerito a pranzo. Qualche sorso di rhum finto cubano ed un paio di sigarette gli avevano riscaldato la pelle e raffreddato l’anima. Direzione centro, appuntamento con nessuno: qualcuno lo avrebbe incontrato di sicuro. Un cd scelto a caso aveva proposto "Cochise"; la voce di Luca cominciò a duellare con quella di Mr. Cornell con tanta veemenza che i vetri del suo trabiccolo tremarono. Forse era merito dei bassi troppo alti, ma a lui piaceva pensare che fosse proprio la sua voce ad avere tanta energia. Era solo, Luca, ma la scelta era stata sua. Da quando aveva letto su quelle carte termini poco chiari firmati da un dotto nel campo delle arti mediche, era diventato un animale solitario. Da quando gli avevano spiegato che non c’erano possibilità di errori sulla diagnosi, che avrebbe dovuto seguire una cura, prendere medicine "quattro volte al dì" e star tranquillo, aveva deciso di chiudersi nel suo silenzio. Sebbene fosse certo che il suo volto lasciasse trasparire le angosce che governavano il suo stomaco, aveva preferito rifiutare pacche sulle spalle e consigli di circostanza. Unici amici ai quali non sapeva rinunciare, un cammello giallo su sfondo azzurro e pillole della buonanotte da prendere a manciate. Arrivò in piazza dopo aver guidato come un pazzo sui sampietrini umidi; la velocità lo esaltava, ma appena spento il motore stanco, il silenzio che lo avvolse gli fece correre un brivido lungo tutto il corpo. Incrociò casualmente il suo stesso sguardo nel retrovisore: occhiaie viola, barba lunga, mascelle serrate… "Sei veramente un pover’uomo!" – gli urlò, mentre scendeva dalla macchina. Incontrò subito un pacco di gente; conoscenti di vecchia data si mischiavano a volti noti cui era impossibile associare un nome, ma che ricambiavano volentieri ai suoi cenni di saluto con occhiolini, "ciao fratellò" e variazioni sul tema. C’era anche Viola quella sera, ma non era sembrata molto felice di vederlo. I loro occhi si erano incontrati da lontano, ma lei aveva volontariamente ignorato la cosa. A Luca dispiacque un po’, ma si sentì sollevato da quell’indifferenza: aveva veramente zero voglia di interagire con lei. Si erano già scambiati quel sesso e quel finto affetto di cui avevano avuto entrambi bisogno una notte alcolica di qualche settimana fa, e per lui il discorso era finito lì. A Luca poi non era nemmeno piaciuto poi così tanto. Gli si era presentata come una gran troia dalla bocca larga e dalle ampie vedute, salvo poi lasciargli il calco dei denti sul gioiello di famiglia, dopo aver rifiutato balli più originali del solito missionario. Sogghignò poco segretamente ripensando alla sua faccia caramellata, mentre un nano gli passava accanto e la sua bottiglia di Tennent’s ormai vuota volava nel cassonetto per la raccolta del vetro. L’ambiente era una delle poche cose che Luca aveva continuato a rispettare. Stava tentando di chiudere un joint che assumeva sempre più la forma di un carciofo molle, quando Beppe annunciò il suo arrivo con un buffetto sulla visiera del cappello. Non sapeva che fosse tornato in città, e quell’incontro inatteso gli fece provare una gioia così sincera che i muscoli del suo volto ebbero un sussulto. Assieme a Beppe, Bob e Simona. Il primo era vestito con abiti tipicamente andini, comprati di sicuro in qualche bottega del commercio equo e solidale. Gli stavano veramente male, ma lui li ostentava con orgoglio, e contornava un sorriso alticcio con la sua folta barba nera. Era il coinquilino di Beppe e si offrì di chiudere la canna con le sue dita sottili e curate. Simona era un’amica d’infanzia di Luca; negli anni si erano avvicinati ed allontanati almeno un milione di volte, senza perdersi mai veramente di vista. Era stata lei a presentare Luca a Beppe, suo compagno universitario ed aspirante sceneggiatore, dal grande talento e dalla scarsa autostima. La mano ossuta della sua amica gli cinse la vita con molto trasporto, proprio come si usa fare quando incontri un amico che non vedi da tempo. "Ti trovo molto dimagrito..." – gli disse. "e poi lo sai che la tua barba non mi piace". I suoi occhioni verdi sorridevano. "Ho deciso di cambiare look. Voglio farmi crescere anche i capelli" – le rispose Luca con tono glaciale, mentre si dirigeva a comprare birre fredde per tutti. Temeva terribilmente tutte quelle domande che di lì a poco di sicuro gli avrebbero rivolto. Era terrorizzato dalla sola idea di dover rispondere a proposito della sua condizione attuale, dell’università, delle vacanze di Natale appena trascorse. Decise quindi di prendere in mano la situazione, proponendo argomenti di discussione quanto più impersonali possibile. Si chiacchierò del Napoli, di cinema, del problema della spazzatura e di come Bersani avrebbe potuto cambiare l’Italia se solo avesse avuto alle spalle una maggioranza più forte. Alcol e Marija giravano veloci, e Luca raggiunse presto quella condizione di limbo mentale che gli garantì sorrisi abbozzati, libertà di espressione e zero pippe mentali. La sola cosa che ancora lo crucciava era il modo in cui Silvia lo guardava. Non riusciva a reggere quello sguardo penetrante che sembrava dirgli: "Hey, ci sono anche io! Perché non mi caghi e mi dici che hai?" Fuggì a pisciare in un vicolo poco buio, noncurante delle persone che gli passavano accanto e delle risatine civettuole di diciottenni che si atteggiavano ad alternative e poi erano pronte a scandalizzarsi per un pendaglio che spruzzava piscio fumante. "Se non ve ne andate, vi piscio addosso!", sentì dire alla sua voce, mentre il suo viso era schiacciato contro il muro ed i suoi occhi troppo incantati ad osservare formiche laboriose per evitare di inzaccherarsi le scarpe. Tornato dagli amici, Luca notò che la combriccola si era arricchita di nuovi volti. "Lù, si va tutti al centro sociale"- gli disse Silvia con allegria. "C’è un sacco di gente e di sicuro sarà pieno di fiche disinibite. Stasera scopiamo tutti!" – aggiunse Bob, che nel frattempo aveva perso tutti i freni inibitori, lasciando ampio sfogo alla sua parte costantemente arrapata. Anche Luca aveva inserito il pilota automatico. "Non ho voglia di andarci, ma se mi offrite due cicchetti vi porto dove volete!", disse con la consapevolezza di essere indispensabile, non tanto lui, quanto l’auto di cui possedeva le chiavi. Il tragitto fu breve e la radio propose canzoni gradite che furono cantate con entusiasmo. Luca fece ben attenzione alla strada, combattendo contro quegli effetti di tutto quel che aveva assunto che si facevano sempre più forti. Aveva un freddo fottuto Luca e, nonostante fosse bardato con cappotto e kefiah, i denti gli battevano forte. Per fortuna l’Inverno aveva deciso di mettere sul tavolo tutte le sue carte. Pagarono con qualche moneta all’ingresso e subito furono avvolti da musica elettronica sparata a palla e da una densa cortina di fumo. Baci ed abbracci frutto di nuovi incontri li introdussero nella spoglia sala centrale, dove delle immagini venivano proiettate su una parete e le consumazioni erano offerte per pochi euro. Luca perse subito gli altri di vista, e si diresse sotto la postazione del dj, con un cuba libre ed una sigaretta tra le mani. Alzò il cappuccio della felpa sulla testa sudata e si fece cullare da un beat troppo trascinante per resistergli. Era completamente andato. Chiuse gli occhi e si lasciò abbandonare a fantasie che lo catapultarono in un luogo silente e sconosciuto lontano mille miglia da tutto quel che lo circondava. Le gambe andavano da sole e la sua testa si esibì in quel movimento che un tempo un tale aveva definito ipnotico. D’improvviso un brusco strattone lo riportò sulla terra; ci mise qualche attimo prima di capire che era stato coinvolto da un gruppo di ragazzi strafatti che cantavano "Chi non salta è uno sbirro!". Saltò e sorrise. Sorrise e saltò. Gli passarono una boccetta di popper, dalla quale inspirò avidamente una, due, tre volte. Gli salì una capata così forte che si ritrovò culo a terra. Conati di vomito lo assalirono ed ebbe paura di sboccarsi addosso. Raccolse le forze, si alzò lentamente e si diresse verso i bagni che erano all’ingresso. Accanto a lui uno scoppiato urlava "Mi chiavo i padri!", mentre qualcuno lo riprendeva con il telefonino. "Ora finisco su Youtube" – pensò, mentre avanzava con passo incerto tra la folla di corpi danzanti. Il cesso era inondato dal piscio. Quell’odore diede a Luca l’ultima spallata e cominciò a vomitare. "Forse avrei dovuto mangiare qualcosa", sibilò mentre dagli occhi piccoli e rossi colavano lacrime. Si aggrappò ad un tubo e tentò di regolare il respiro divenuto affannoso; il suo sguardo si concentrò su quei lacci rossi che da tempo immemore ornavano i suoi anfibi neri. Gli ritornarono alla mente gli anni del liceo e delle prime sbronze; una tristezza infinita lo assalì. Pugni fortissimi scossero la porta: capì che era arrivato il momento di uscire. Appena fuori la musica ritornò ad investirlo con tutto il suo vigore. Era arrivato il momento di battere in ritirata. Una mano ossuta gli afferrò il polso, mentre un odore di buono gli si faceva largo tra le narici. "Hey.." – gli fece Silvia abbozzando un sorriso compassionevole. "Hey.." – rispose Luca cercando di mettere a fuoco la scena. "E’ tutta la sera che mi eviti." "Ma se siamo stati sempre assieme…" "Non mi hai mai guardata, Lù…non sai nemmeno che vestiti ho addosso". "Eh, sto un po’ fatto." Luca la abbracciò, prima forte, poi si abbandonò sulle sue spalle. "Andiamo a prendere un po’ d’aria" – gli suggerì. Non riscontrò resistenza alcuna e si ritrovarono in macchina. Faceva freddo. Luca tremava come una foglia. "Non ce la faccio a vederti così" – disse Silvia guardandolo dritto negli occhi ed inserendo a memoria lo stereo nella sua fessura. "Non farmi la predica che me ne vado!" - ringhiò tra i denti. "Non voglio farti la predica. Voglio solo che mi guardi negli occhi mentre ti dico che ti voglio bene, hai capito? Voglio solo che tu guardi i tuoi occhi che hanno paura di chiedermi aiuto…cosa dovrei fare, eh? Lasciarti distruggere così? Dimmi tu: cosa vuoi che faccia?" "Non mi aggredire, ti prego…" "COSA VUOI CHE FACCIA, EH? RISPONDIMI!" "Aiutami Snella, per favore…" Era tempo che non la chiamava così. "Snella" era un soprannome che le aveva dato anni prima e che non le era mai piaciuto. Ma quello era il suo nomignolo, e lei, alla lunga, aveva imparato ad apprezzare la dolcezza che si portava in dote. "Sono qui apposta" – disse Silvia. Una lacrima le rigò il viso, mentre cingeva il suo amico in un abbraccio. "Hai visto a cosa mi devo ridurre per avere un po’ di affetto sincero?" "Tu sei uno stupido! Perché non apri gli occhi e provi a vedere quante persone vogliono esserti vicino? Non è facile sai essere accanto a qualcuno che ti scaccia sempre via ed alza barriere così grosse". "Ho perso la mia luce…non mi va di essere un peso per gli altri". "Ma che dici? Ti prego, esci dalla tua torre d’avorio e disegna il mondo che desideri. Hai carta e colori, li hai sempre avuti…che aspetti?" "Ti dico che ho perso la mia luce, non brillo più. E lo sai perché? Perché in fondo ho sempre vissuto di luce riflessa, non ho mai fatto nulla di buono da solo. Mi è bastato perdere i miei punti di riferimento per trasformarmi in un buco nero". "Anche la luna vive di luce riflessa. Eppure la luna illumina gli angoli più bui…" "Sei sempre stata una gran bella persona, Snella" "E tu sei sempre stato un coglione che teme di ammettere quanto è un grande e che ha paura di dimostrare i propri sentimenti, riservandoli solo a momenti di fattanza come questi". "Però quando ci siamo promessi di sposarci se a trenta anni saremo ancora single, eravamo entrambi lucidi, ricordi?" "Lù, sposeresti una donna che non hai mai baciato?" "Hai sempre ragione tu…" Per fortuna l’Inverno aveva deciso di mettere sul tavolo tutte le sue carte. Faceva un freddo terribile. I finestrini della macchina erano appannati. Luca non tremava più.
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