Antonio D’Alì
L'ex sottosegretario all’Interno, oggi senatore e Presidente della Provincia di Trapani, è un personaggio di tutto rispetto. Senatore di Forza Italia eletto a Trapani da tre legislature, in quella scorsa era addirittura vicepresidente della commissione Finanze, e per un po’ è stato pure responsabile economico di Forza Italia. Famiglia ricca e potente, proprietaria di saline, tenute agricole e sopratutto della Banca Sicula. Lo zio, Antonio il Vecchio, amministratore delegato dell’istituto deve lasciare la carica nel 1983: il suo nome risulta nelle liste della loggia P2 (sì, nel 1983 non si sarebbe potuto da piduisti diventare Presidente del Consiglio) Gli subentra il nipote e omonimo, Antonio jr.
Qualche anno dopo, il commissario di polizia Calogero Germanà ipotizza che l’Istituto, come la banca Rasini, venga usato per il riciclaggio del denaro sporco di Cosa Nostra: non a caso -sostiene il funzionario- il collegio dei sindaci è presieduto da Giuseppe Provenzano, presidente della regione e sopratutto ex commercialista dell’omonima famiglia Provenzano, quella del vecchio boss di Cosa Nostra.
I sospetti scompaiono nel 1991 insieme alla banca Sicula, inglobata dalla Comit, nel cui consiglio di amministrazione va così a sedere Giacomo d’Alì, figlio di Antonio il Vecchio e cugino del senatore. Ma la famiglia d’Alì è celebre a Trapani anche per aver dato per anni lavoro e stipendio a vari rampolli delle famiglie mafiose dei Minore e dei Messina Denaro.
Francesco Messina Denaro, storico boss di Trapani, è stato per decenni il “fattore” dei d’Alì. Poi cedette il testimone -di capomafia e di fattore- al figlio Matteo, che oggi, a 39 anni, è il nuovo numero uno di Cosa Nostra, latitante, condannato per le stragi del 1992-93.
Sembra di leggere la storia del mafioso Vittorio Mangano, “fattore” di villa Berlusconi dal 1973 al 1975. Alla Commissione parlamentare Antimafia sono conservati i documenti che testimoniano il pagamento di 4 milioni nel 1991 dai d’Alì all’INPS come indennità di disoccupazione di Matteo Messina Denaro, di professione “agricoltore”.Nelle carte dei giudici poi, le prove di una strana compravendita: quella di una vasta tenuta in contrada Zangara (Castelvetrano) passata dai d’Alì ai Messina Denaro, i quali però non hanno sborsato una lira. Un gentile omaggio oppure un’estorsione? E nel secondo caso perché nessuno l’ha mai denunciata? Oggi comunque quei terreni sono sotto sequestro perché il vero proprietario è Totò Riina, che usava Messina Denaro come testa di legno per nascondere i suoi beni.Che fine han fatto i protagonisti della nostra storia?
Giuseppe Provenzano è stato appena eletto deputato di Forza Italia. Il Commissario Germanà è stato trasferito altrove e ha pure subito un attentato da Luca Bagarella in persona. E Antonio d’Alì, come sottosegretario all’Interno, è ufficialmente un suo superiore; potrebbe anche diventare presidente delal commissione sui pentiti, carica che spetta tradizionalmente a un sottosegretario del Viminale; in alternativa c’è pronto l’avv. Taormina che avendo difeso fra gli altri Claudio Vitalone (omicidio Pecorelli, culo e camicia con la banda della Magliana e braccio destro di Andreotti) e il tenente Carmelo Canale, dei pentiti deve avere certamente un’ottima opinione e soprattutto molto serena.