Nick: Remedios* Oggetto: Agosto 1998 Data: 13/5/2004 16.2.47 Visite: 136
Era l’estate del 1998. Precisamente i primi giorni di un Agosto caldo e afoso del sud Italia. Teniamo conto che siamo anche alle pendici di un vulcano, quindi dalla terra sale su il fuoco della lava che scorre nelle profondità. Avevo finito l’ultimo esame da pochi giorni e non avevo organizzato nulla per le vacanze. In paese non c’era rimasto più nessuno, solo io, mia nonna, le zanzare, i cani randagi e il parroco, che diceva messa per pochi superstiti. Anzi, pare che anche lui non trovando refrigerio tra le mura della chiesa (o tre le gambe della sua comare di turno) si fosse concesso un fine settimana da una sua cugina a Castel Volturno. Insomma la prospettiva non era allettante. I giorni si trascinavano tra il letto e il divano, la televisione era la quintessenza del vuoto cosmico, il DVD non era ancora stato inventato, il videoregistratore si era rotto e poi anche il noleggiatore abusivo di viedocassette era in vacanza. Che poi non rappresentava questa grande perdita visto che il negozio non era altro che una copertura di traffici meno leciti. Almeno ho sempre pensato fosse così, doveva esserlo per forza visto che ogni volta che cercavo un titolo non c’era mai. Il tipo mi guardava sempre con due occhi allucinati: "Signurì ma ch’ film jat cercann!", io sorridevo, salutavo e uscivo dal negozio. Forse ho dei gusti strambi in fatto di cinema. Qualcuno oggi li definisce "radical chic", ma se a me piace un certo tipo di pellicola, non vedo perché dovrei vederne altre. E comunque a lui mancavano anche pietre miliari come i filmettini italiani anni ’70 che, come ben sapete, hanno fatto la storia del cinema. Ad ogni modo, in quella calda e afosa estate del sud Italia, mi mancava anche il noleggiatore abusivo di videocassette perché non avevo davvero nessuno con cui scambiare due chiacchiere. Sì, c’era la nonna, ma dopo aver sentito per la centesima volta i suoi racconti di guerra, la notte mi svegliavo convinta che stesse suonando l’allarme e che dovevo scappare verso il rifugio più vicino. Così non poteva continuare, dovevo inventarmi qualcosa, al tramonto mi ero messa pure a seguire il volo degli uccelli nel vano tentativo di divinare qualcosa. Arrivai in questo stato a metà tra il narcolettico e il paranoico al 10 agosto, quando ci fu uno squillo improvviso del telefono: "Marì siamo Lucio e Gabriele, siamo arrivati adesso e abbiamo trovato un paese di zombie, ma tu ti sei organizzata per le vacanze?" Lucio e Gabriele, i miei amici emigranti. Bingo! Mentalmente avevo realizzato che quella telefonata avrebbe significato la svolta dell’estate. Lucio e Gabriele erano riusciti a prendersi 10 giorni di vacanza all’ultimo momento, e così senza alcun preavviso erano ritornati in paese in cerca di proseliti per un viaggio calabrese dalla costa jonica a quella tirrenica. Ed avevano trovato solo me. Si, non era proprio il coast to coast che avevo sperato mi fosse proposto, ma sempre meglio della catalessi in cui ero piombata. Così, preparai un borsone in fretta e furia, diedi un bacio alla nonna e con l’Alfasud di Gabriele partimmo "verso nuove fantastiche avventure" alle cinque del mattino dell’undici luglio mille novecento novantotto. Ancora ricordo il sapore del caffè che la mamma di Lucio aveva preparato nel thermos per noi, sapeva di "mi raccomando fate i bravi, non mettetevi nei guai e tornate presto". Il viaggio fu tale che l’Odissea a confronto è una gita in pullman per Padre Pio fatta dai pensionati. Traffico, caldo, code interminabili, gente che si spogliava, mangiava, socializzava tra una macchina e l’altra. Tutto questo fino a Lagonegro, punto nevralgico della Salerno-Reggio Calabria. Poi, una volta imboccata la statale per lo Jonio, la strada si fece molto più scorrevole e fu anche divertente correre con tutti i finestrini abbassati, il vento che mi scopriva le gambe e lasciava passare aria fresca tra le pieghe del vestitino, la radio a palla, le soste per la strada per concederci un bagno furtivo, il panino mangiato in un ristoro per camionisti. Due ragazzi ed io. In quel momento ero davvero felice. Felice per tutto quello che accadeva e che doveva ancora accadere. È stata una grande vacanza piena di bei ricordi. Abbiamo dormito ovunque, in tenda, in spiaggia, in macchina. Abbiamo mangiato cose assurde. Facevamo il bagno in posti stupendi. Abbiamo rimorchiato l’impossibile. Abbiamo riso insieme. Abbiamo pianto insieme sulla via del ritorno. Da quella calda e afosa estate del sud Italia sono trascorsi cinque anni. Un po’ di tempo fa, scendendo al paese ho rivisto Lucio e Gabriele. Mi sembravano meno felici di allora. Anzi, nei loro occhi non c’era nulla che mi facesse pensare alla felicità. Così gliel’ho chiesto: "Siete felici?". Grabriele si è sposato, la moglie è incinta, lavora all’Ansaldo e sorridendo mi ha detto che non è felice. Lucio si è ingrassato, lavora come postino vicino Venezia, non è sposato, non è fidanzato, non ha molti amici e anche lui non è felice. Io ho cambiato residenza, ho un bel lavoro, vivo in una città meravigliosa, prendo lezioni di tango e vado regolarmente al cinema e a teatro. Non sono sposata e non ho figli. E mi basta pensare ad un’Alfasud che corre lungo una superstrada da qualche parte nel sud Italia con i finestrini abbassati e il vento che muove i capelli per ricordarmi di quanto posso essere felice.
|