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Nick: MILLWALL^
Oggetto: C'ERAVAMO TANTO ODIATI
Data: 14/5/2004 11.14.56
Visite: 118

Farebbero bene a leggerlo tutti questo lungo (per gli standard del sito) post, quelli che si sentono coinvolti, quelli per i quali la politica non è altro che un fastidioso post da saltare, fra un "uffa mi scoccio di studiare" e l'ultima tendenza del rasarsi i peli delle ascelle.

C'è una parte ampia e tragica della storia del nostro paese racchiusa nelle parole che seguono. Una storia che forse sta tornando, perchè i tempi di crisi necessitano sangue e sacrifici, di vite da immolare, di agnelli da mandare al massacro, perchè dietro le quinte possano proseguire indisturbati i loschi traffici dei potenti.

Senza nessuna pretesa di equidistanza, perchè la mia storia me la porto dentro, ed è fatta di scelte, di antifascismo e democrazia vissuti come valori fondanti, di centinaia di manifestazioni in giro per il mondo. Dalle lotte dei disoccupati/precari/centri sociali a Napoli, a Genova per il G8, fino in Chiapas col subcomandante Marcos nella marcia della dignità indigena. Tuttavia è fatta anche di rispetto per i vinti, per gli adolescenti che andarono a Salò mentre i loro genitori buttavano i busti del Duce dalla finestra e le tessere del partito nazionale fascista rinnovate per vent'anni.

Chi oggi si definisce democratico accetta: la sconfitta del fascismo e l'instaurazione della democrazia parlamentare, le elezioni come risultato della volontà popolare, i partiti e non il partito unico, la Costituzione e la sua cesura storica netta con l'esperienza del ventennio.

Poi possiamo parlare di tutto, ma solo dopo aver accettato questi presupposti di base, che lo stesso Fini ha dovuto far propri per portare il suo partito fuori dalla "conventio ad exludendum" che ha caratterizzato la storia dell'MSI per cinquant'anni.

Vi incollo un po' di cose trovate in rete, relative al 25 Aprile e a un bellissimo libro "C'Eravamo tanto odiati" scritto a quattro mani da Carlo Mazzantini (repubblichino arruolato con l'esercito della RSI) e Rosario Bentivegna (partigiano comunista, autore con altri dell'attentato al plotone di SS a Via Rasella a Roma), la cui lettura consiglio vivamente a tutti.

Per par condicio pubblico un'intervista al gappista Bentivegna di Roberto Martelli e una recensione del libro tratta dal sito del Circolo Azione Giovani di Palombara Sabina

25 aprile, la lotta per la libertà
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Cinquantanove anni fa, grazie alla lotta di Resistenza e al sacrificio di migliaia di civili, militari e partigiani aderenti a diverse componenti politiche (azionisti, comunisti, socialisti, cattolici), l'Italia veniva liberata dall'oppressione nazi-fascista. Per il Paese, attraversato allora da una ondata di attese e speranze di cambiamento, iniziò una fase nuova. La promulgazione della Costituzione fu l'atto di sintesi di quelle aspirazioni e richieste di partecipazione attiva alle scelte del paese che provenivano dai lavoratori, dalle donne, dai giovani.

Da diversi anni però, con un lavoro di sgretolamento della memoria storica si tenta di cancellare quell'immenso patrimonio. Alcuni intellettuali, studiosi e uomini politici, sia a destra che a sinistra, sotto la falsa riga del revisionismo (sempre legittimo negli studi storici quando sostenuto dalla scoperta di nuovi documenti e dal rigore scientifico), tentano di riscrivere la storia presentando il fascismo come un regime buono basato sul libero consenso di massa che non puniva gli oppositori, ma li mandava semplicemente in "vacanza" (ricordate le polemiche dell'estate scorsa?). I partigiani, in questa nuova lettura, sono semplicemente identificati come "comunisti" che si sono macchiati di crimini, dalle foibe triestine al triangolo della morte in Emilia.

Da più parti poi vengono lanciate richieste affinché, nell'ottica di una definitiva conciliazione nazionale, siano messi sullo stesso piano coloro che scelsero la Resistenza e quelli che scelsero la Repubblica di Salò. Ora se è vero che la morte non ha colore, bisogna riconoscere però che una cosa fu la scelta di chi si schierò per la libertà, altra cosa la scelta di chi sostenne fino alla fine la dittatura fascista (o meglio, la caricatura che di essa era rimasta) e l'occupazione nazista condividendone anche i crimini.

Solamente riconoscendo questa sostanziale differenza è possibile una riconciliazione nazionale, che vada oltre le classiche ideologie, e recuperi una storia comune e condivisa. Certo non giova allo scopo e alla vita democratica del Paese inasprire i toni della polemica politica gridando al pericolo comunista, gettando discredito su diversi apparati dello Stato e dileggiando l'avversario, magari con dossier costruiti ad arte.

Su questi temi abbiamo rivolto qualche domanda a Rosario Bentivegna, membro della presidenza onoraria dell'ANPI nazionale e vicepresidente vicario dell'Anpi di Roma. Figura storica della Resistenza romana, è stato tra i protagonisti il 23 marzo 1944 dell'azione partigiana di Via Rasella "la più importante azione di guerra che i partigiani abbiano condotto a Roma".

Bentivegna, che significato assume oggi il 25 aprile?
"È una data etica perché segna la liberazione della Patria, la lotta di tutti gli italiani per la libertà e la democrazia, una lotta che è stata non solo italiana ma europea. Da lì siamo partiti per perseguire nella pace e nella democrazia la lunga strada verso una società di liberi e eguali".

Alcuni partiti politici sostengono la necessità di una conciliazione nazionale. In un tuo intervento concordavi col presidente Ciampi circa la necessità, dopo 60 anni, di ricordare i "ragazzi di Salò", leggendo con serenità le drammatiche e complesse vicende di allora…
"Già diversi anni fa infatti sostenevo che bisognasse capire perché quei ragazzi avessero fatto quella scelta. D'altronde già durante la Resistenza noi combattenti della Libertà accogliemmo nelle fila partigiane e nei partiti democratici gli ex fascisti che non si erano macchiati di crimini contro l'umanità. E poi la conciliazione ci fu nel 1946 con l'amnistia di Togliatti".

Libri come il recente "Il sangue dei vinti" di Gianpaolo Pansa, rischiano, nonostante i buoni propositi dell'autore, di essere strumentalizzati da chi vuol riscrivere la storia…
"La revisione, non il revisionismo, appartiene alla scienza, quindi niente di male se qualcuno scrive nuovi libri. Anch'io sull'argomento ho scritto il libro "C'eravamo tanto odiati" insieme a Carlo Mazzantini, un ex repubblichino. L'importante è essere scientifici. Pansa è un antifascista e ha scritto il libro in buona fede. Ritengo però che avrebbe dovuto avere un maggiore rigore scientifico".

Il percorso intrapreso da Gianfranco Fini (il viaggio ad Auschwitz e in Israele, l'omaggio al Museo dell'Olocausto a Gerusalemme e alle Fosse Ardeatine a Roma), è la prova che si è scrollato di dosso una eredità del passato che ormai non gli appartiene più?
"Credo alla buona fede di Fini, anche se nel suo partito ciò incontra delle difficoltà. A Fini è successo quello che è accaduto a tanti nel 1943, che cioè lasciarono il fascismo, aderirono alla Resistenza e morirono per essa".

Secondo te, oggi si rischia di avere un regime in Italia?
"Non ci sono l'olio di ricino e il manganello, ma quando si occupano tutti gli spazi di comunicazione e non si riesce a parlare".

Cosa possono fare oggi, le forze democratiche, i lavoratori, i giovani per mantenere salda la democrazia e vivo lo spirito della Resistenza?
"Unirsi con tutte le forze democratiche, senza alimentare odio o discriminare nessuno, come facemmo noi allora. Io sono orgoglioso del fatto che i tedeschi definissero comunisti badogliani me e i miei compagni, perché anche se diversi dai badogliani, combattevamo insieme".



Recensione di "C’eravamo tanto odiati"

di Fazio Salvatore

R. Bentivegna, classe 1922, ex partigiano comunista, autore dell’attentato di Via Rasella, medaglia d’argento della Resistenza. Vive a Roma.C. Mazzantini, settantaquattrenne ex soldato della R.S.I. senza medaglie, vive a Tivoli. Queste due persone sembrano non avere nulla in comune eppure qualcosa c’è. Si tratta di "C’eravamo tanto odiati" a cura di D. Messina. Un bel libro, per quei pochi italiani nei cui gusti letterari c’è posto anche per qualcosa di diverso da "Ramses" e simili, nel quale l’ex partigiano e l’ex combattente della RSI si confrontano, discutono e raccontano di un periodo a tutt’oggi controverso della storia d’Italia: La guerra civile. Procediamo con ordine: intanto il libro affascina sin dalla copertina disegnata dal bravissimo Jacopo Bruno, poi buona sembra anche la scelta della strutturazione dello stesso. All’introduzione di Messina, discreta e precisa, che termina con la frase "..si sono incontrati dopo mezzo secolo, per scoprire i punti comuni di una memoria divisa", seguono nell’ordine il racconto di Mazzantini e quello di Bentivegna. E sono pagine dense, fatte di grandi illusioni e di grandi delusioni da una parte e dall’altra, che fanno comprendere come gli "uomini e no" di Vittorini di certo non esistono almeno in questo caso semprechè non si voglia ammettere che gli "untermensch" ci siano stati da entrambe le parti. Pagine che ci fanno capire, come ha scritto G. Pansa, nella sua introduzione al saggio "l’esercito di Salò", che lo scegliere "da che parte stare" poteva essere determinato da un amico più grande, una lettura, uno stato d’animo del momento. Pagine che ci fanno comprendere, De Felice docet, che il Fascismo comunque ci appartiene, comunque sia un fenomeno italiano; come la memoria divisa di cui si parlava sopra esista ancora oggi nei morti ricordati nelle piazze o in quelli dimenticati nelle foibe; e soprattutto come sia difficile a cinquant’anni di distanza uscire dall’impasse del giudizio politico ed affrontare serenamente in una visione globale ciò che è stato, senza l’ipocrisia del "volemose bbene" della pacificazione distratta e smemorata, ma con reciproca comprensione. Nella parte conclusiva del libro - nel sommario, "Epilogo"- vi è poi il testo scritto dell’intervista-dialogo realizzata nell’estate del ’97 tra i protagonisti del libro; ed è bello concludere questa recensione con una frase di R. Bentivegna, riprodotta anche sulla quarta di copertina: "Ti dico che avrei preferito averti con me, perché tu sei come me"; è forse qui il senso, la contraddizione irrisolta e la tragedia di quel periodo. Baldini e Castoldi, £. 28.000 ben spese.






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C'ERAVAMO TANTO ODIATI   14/5/2004 11.14.56 (117 visite)   MILLWALL^
   Grande Frase!!!!   14/5/2004 11.29.8 (27 visite)   Masca
   re:C'ERAVAMO TANTO ODIATI   14/5/2004 11.34.1 (24 visite)   Kashmir
      ANZI...   14/5/2004 11.35.3 (21 visite)   insize
   re:C'ERAVAMO TANTO ODIATI   14/5/2004 11.34.25 (21 visite)   insize
      re:C'ERAVAMO TANTO ODIATI   14/5/2004 11.56.58 (27 visite)   DIEGO800
         re:C'ERAVAMO TANTO ODIATI   14/5/2004 12.0.44 (19 visite)   Aragorn84
            re:C'ERAVAMO TANTO ODIATI   14/5/2004 12.11.43 (20 visite)   MILLWALL^ (ultimo)
         re:C'ERAVAMO TANTO ODIATI   14/5/2004 12.2.6 (21 visite)   Masca
         diego800   14/5/2004 12.8.34 (21 visite)   MILLWALL^

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