Nick: harding Oggetto: marco Data: 15/5/2004 1.25.45 Visite: 137
Da piccoli si accettano più cose che da grandi. Ci si pongono meno domande. Il figlio di mia zia era un ragazzo biondo con gli occhi azzurri e sarebbe stato sicuramente una presenza significativa nei sogni di ogni ragazzina se non fosse stato che viveva da sempre su una sedia a rotelle. Non solo. Doveva essere imboccato per mangiare e cambiato quando la faceva. Insomma non era nato giusto. Melo ricordo come una presenza silenziosa anche se ingombrante. Penso di averlo visto per i miei primi dieci anni di vita sempre con questi suoi occhi chiari chiari che girovagavano, all'interno della stanza dove si trovava, pur senza uno scopo ben preciso. A suo modo mi era simpatico. Non era un vero e proprio cugino ma un essere accentratore di attenzioni e amore: ai miei occhi un mezzo privilegiato. Un'anima che non sarebbe mai stata sporcata dai pensieri pesanti della "human being". Per me non era strano lui. Faceva solo parte del mondo come ogni essere vivente. Erano sicuramente più strani quelli che si menavano per strada, quelli che urlavano, quelli che stavano in televisione, quelli che volevano prevaricare ad ogni costo, quelli che non ascoltavano. Un giorno morì. Il medico disse che era stato un miracolo che fosse vissuto fino a diciotto anni nelle sue condizioni. Tutti accondiscesero un po' sofferenti ed un po' sollevati. E quella fu anche la prima volta che vidi un morto, aveva una fascia legata intorno alla testa che gli teneva sù la mascella e mi sembrò strano non vedere quei suoi occhi girare per la stanza. Sembrava però rilassato ed alla fine di un percorso. Non so perchè ma le scene dell'americano sgozzato in diretta in Iraq mi hanno ricordato lui. Forse il concetto è che la vita dovrebbe essere sempre importante. O forse che, alla fine, vale molto meno dei nostri ricordi. |