Nick: Buendiamine Oggetto: quando il test l'ho fatto io Data: 13/9/2007 18.51.33 Visite: 287
mi ricordo che mollai i libri una settimana prima. non esistevano ancora tutti i manuali che promettono una preparazione efficace e quindi mi esercitavo su un coso pezzotto che dava una valutazione in punti a seconda del grado di difficoltà di ogni quesito. ogni giorno studiavo sui miei libri del liceo, tranne la matematica a cui sono allergica. poi cercavo di rispondere a quelle domande e alla fine, sommando i punteggi singoli, non ottenevo mai nemmeno la sufficienza. sapevo che il tipo di quiz e la valutazione delle risposte sarebbero state diverse il giorno dei test ma ero avvilita, angosciata e una sera mi venne una crisi di pianto perché non sapevo cosa sarebbe accaduto. sapevo che volevo entrare in questa dannata facoltà di medicina, che mi sembrava crudele dover sottostare ad una selezione e che non volevo sentirmi 'fallita' a 18 anni. così sette giorni prima mi rassegnai al fatalismo, l'ansia mi stava divorando. se è destino che devo entrare, succederà. chiusi tutti i libri e feci una preghiera e una promessa non mantenuta. la mattina dei test non si capiva niente e tutti quanti venimmo smistati in edifici diversi del policlinico che ora conosco come le mie tasche mentre quel giorno mi persi non so quante volte. gli altri mi sembravano simpatici perché stavano nella stessa barca con me e guardandoli pensavo 'alcuni tra questi sanno già che passeranno la prova' ma non volevo darci molto peso perchè eravamo duemilaerotti e su duemilaerotti, che ci fossero per duecentocinquanta posti a concorso duecentocinquanta figli di medici non era un azzardo. quindi ero matematicamente fregata, io e molti altri. ok, si entra nell'aula. chiamati in ordine alfabetico, scendevamo tutti in fila da una scaletta di ferro, col corrimano scrostato, che si snodava in una specie di budello umido e in penombra. ci scambiavamo sorrisi tesi e le stesse parole che una circostanza del genere prevedeva. in bocca al lupo che fioccavano, eravamo ancora puliti dentro? consegna di documenti e cedolino d'iscrizione, ritiro di una bic nera e assegnazione di un posto a sedere scelto dal commissario accompagnatore con la meticolosità dello stratega americano dello sbarco in normandia. sulla cattedra una pila di plichi bianco lenzuolo. li contano e il disavanzo rispetto al numero di concorrenti presenti viene messo in una busta che poi sigillano in due. gettando uno sguardo in giro si può cogliere come ognuno di noi sia diverso dall'altro. ragazze bellissime con i capelli lunghi fino a metà schiena, pettinate con cura e lucide di profumo e un'abbronzatura che sbiadisce appena; ragazze carine e curate, ragazze carine e ragazze o non curate oppure, che diamine, francamente brutte. e per i ragazzi stesso discorso, ma diversi ciccioni sudaticci oppure, per compensazione, esemplari fassiniformi che sbucavano da certe camicie sottili a maniche corte e certaltri jeans del peggior denim mai messo sul mercato. occhiali a volontà, un vezzo o una iattura. appena mi arriva il compito mi stanno tutti antipaticissimi, residua giusto un po' di compassione, di pietas eneica. voglio piangere, mi stranisco, sfoglio quelle pagine e penso non ce la farò mai ma inizio a ragionare e dare qualche risposta. alcune sono proprio sceme, altre sono difficilissime, sono di matematica. su quelle di logica mi rilasso, la risposta m viene in due secondi. matematica niente. merdammerdammerdissima. con calma. rispondo alle domande di fisica, materia della mia maturità. matematica zero, ortica sulla pelle. il ragazzo che sta due file sotto di me, leggermente spostato sulla mia destra le sta risolvendo, adesso. e riesco a vedere le risposte che ha dato. il segno del destino? ma sì, per la miseria, dev'essere il destino che mi manda quell'attimo lì, così perfetto come la croce divina di costantino, in hoc signo vinces. tanto non saprei cosa rispondere. fatta, fatta, fatta, fatta, fatta... ho copiato. e mi avanza pure tempo, ritorno sulle domande ragionabili lasciate in sospeso. all'improvviso una ragazza seduta nel settore centrale dell'aula si alza e vomita una cosa tutta verde chiaro che si confonde col linoleum che riveste il pavimento. oggi saprei dire che quella ragazza non solo era tesa fino allo spasimo in quel momento ma lo era certamente dalla sera precedente visto che era improbabile credere che avesse mangiato pasta e piselli a colazione. e quel verde, oggi lo so, non era polpa di piselli indigeriti, era piuttosto bile. comunque sia, in tanti anni di corso e fuoricorso quella ragazza lì io non l'ho mai più vista e vorrei dirle adesso che si è scansata un fosso, non per consolarla, ma perchè è proprio così. a kostas ho cercato di suggerire le risposte ai quiz di logica, sulle quali lo vedevo esitare preoccupata e con un rimorso immenso. ho provato a emettere dei sibili, ho contratto il diaframma al massimo per dare un timbro più forte ad una voce che doveva restare sottile e infilarsi nel suo orecchio. era un numero da inserire in una sequenza: trentatre. ma un professore con l'udito a ultrasuoni mi ha sentito e dall'alto mi ha detto che un'altra parola e scattava l'annullamento del compito. avrei potuto obiettare che trentatre era un numero ma non lo feci. dopo pochi minuti mi ritrovai in una mattina di settembre che si era schiusa in tutta la sua mitezza e sollevata. ormai era andata ed era un peccato non godersi quel sole e quell'attimo in cui tutte le tensioni si sciolgono come i capelli spalmati di balsamo nel pettine. c'era da aspettare e l'ultima nota divertente è questa. chiamai la segreteria studenti da casa per sapere quando sarebbero stati pubblicati i risultati, era il 19 settembre e feci squillare il telefono finché non cadde la linea. questo per sei, sette volte? non avevo niente da fare ed ero di nuovo ansiosa da morire. inaspettatamente, mentre ero immersa in altre divagazioni, una voce mi risponde all'altro capo: wewe, jamm' bell, nun ce sta nisciun oggi, è san gennar.
|