Nick: Bardamu Oggetto: Casalesi:trasferimento Cantone Data: 16/10/2007 14.26.54 Visite: 1533
di Alessandro Iacuelli Riprendiamo a parlare di Napoli, anche perchè l'avevo detto che c'erano altre cose da dire. Riprendiamo da dove c'eravamo interrotti la settimana scorsa, e spostandoci un po' più a nord, in particolare nel basso casertano. Anche stavolta con nomi e cognomi e, dove possibile, anche indirizzi. Qui non è come in città, non ci sono scontri tra clan rivali che danno vita a vere e proprie guerre. Gli unici scontri che ci sono... beh, sono "regolamenti interni". Il controllo camorristico del territorio, da oltre 30 anni, è saldamente nelle mani del cartello dei casalesi, che non è un clan, ma una federazione di clan, è l'unico pezzo di camorra campana che assomiglia in qualche modo a cosa nostra: struttura verticistica, territorio diviso in feudi. Controllano un'area di territorio inimmaginabile. Sul versante sud arrivano fino a Marano di Napoli, sul versante nord, il loro confine è territoriale è a ridosso del raccordo anulare di Roma. Tutto ciò che è più a nord è invece zona dove riciclare i capitali. Il cuore di questo impero, dove si trova? E' in un grosso paesone del basso casertano, che si chiama San Cipriano d'Aversa. Eccovelo qua:
Perchè a San Cipriano? Perchè il capo indiscusso di tutta la federazione dei casalesi si chiama Antonio Iovine, anche se nega di esserlo, latitante storico, di famiglia sanciprianese. La maggior parte degli elementi della famiglia Iovine vive in latitanza, ma non è precisamente una latitanza normale, poichè avviene nella loro abitazione di via delle Rose
Antonio Iovine no, lui è latitante sul serio, e non è reperibile. Via delle Rose marca il confine tra due paesi, San Cipriano e Casale. Il marciapiede sud è comune di San Cipriano, quello nord è comune di Casale. Prima vivevano in una villa blindata di Casale, ma ora non serve più, perchè non ci sono più nemici. Nè negli altri clan, nè altrove. Ma non è questo il bello. Il bello è che la loro abitazione si trova a ridosso del palazzo del Comune di San Cipriano, a 300 metri dal nuovo comando della polizia municipale, e per finire fa angolo con la stazione dei carabinieri. Il paese fa 13.000 abitanti. Quindi tanto piccolo non è. Quale è la particolarità di San Cipriano? Beh, è molto semplice. E' una particolarità che sta nell'ultima operazione anticamorra effettuata dai carabinieri, perchè la polizia a San Cipriano non c'è, e in passato i carabinieri si sono fatti aiutare dalla polizia municipale. Invece questa volta no. Non si sono fatti aiutare perchè per contrastare la camorra, e qui sta la particolarità, è stato necessario arrestare gli agenti della polizia municipale. Se si va a San Cipriano e si parla con la gente che con la camorra non c'entra nulla (e ce ne sta parecchia!), diranno che la loro è una comunità che non ha mai smesso di convivere con la camorra, perchè spesso, troppo spesso, lo Stato e la camorra hanno la stessa faccia. Ed hanno ragione, almeno stavolta... Il comando di polizia municipale ha 11 (undici) vigili. Di questi, 7 (sette) tra cui il comandante, sono indagati per favoreggiamento della camorra, peculato e concussione. Mica male. Ci sarebbe allora da riflettere in profondo, anche - e diciamolo - sul piano politico. Invece la politica ha preferito attaccare il sindaco Enrico Martinelli, perchè ha i vigili camorristi, tralasciando di considerare che l'indagato più pericoloso, Giuseppe (guarda caso) Iovine, faceva il vigile urbano anche quando c'era la precedente amministrazione, di opposto colore politico. Indagato per associazione camorristica anche un aggregato all'ufficio tecnico (oh! vecchia cara edilizia!) ed il custode aggiunto al cimitero comunale. In pratica, nessun arrestato fa un lavoro diverso dall'impiegato comunale, con o senza pistola. Una brava giornalista del quotidiano "Il Mattino", redazione di Caserta, che si chiama Rosaria Capacchione, ha allora fatto una cosa intelligente: è andata sia dall'attuale sindaco, sia dall'ex sindaco, a porre qualche domanda un po'.. ehm... provocatoria. Martinelli, il sindaco attuale, se ne è lavato le mani in modo semplice: "I fatti contestati risalgono alla fine del 2004, la mia amministrazione si era appena insediata". Per la serie, non ne so nulla e nulla ne voglio sapere. Angelo Reccia, sindaco nella passata amministrazione, qualcosina l'ha raccontata: "Della posizione di Giuseppe Iovine e di altri impiegati comunali nella sua stessa situazione, assunti negli anni Ottanta parlammo a lungo con vari prefetti, ma la legge non ci consentiva il licenziamento. Per quanto possibile, li abbiamo tenuti sotto controllo". Sinceramente, mi pongo una domanda che può sembrare banale: come fa un comune a tenere sotto controllo qualcuno? Ha un solo modo: usare la polizia municipale. Ma allora come ha fatto in questo caso qui, visto che gli elementi da controllare erano proprio gli agenti della polizia municipale? L’affare dei vigili collusi è subito arrivato fino in commissione antimafia, ed è solo una delle tante tessere che compongono il mosaico di cui è fatta la vita camorristica di Antonio Iovine e dei suoi uomini. Uno dei tanti tasselli. E sono tanti davvero. Qualche esempio? Potremmo ricordare la storia del consigliere comunale che faceva da autista alla moglie di Peppe Russo, boss di primo piano a quel tempo latitante. Ma l'esempio più bello è quello dei fascicoli riservati su appalti e condizionamenti. Cosa hanno di bello? Semplice: prima compaiono, e poi scompaiono, ma non è che scompaiono a caso, scompaiono sempre al momento giusto, in modo tale che in prefettura non arrivino, che alla Procura antimafia non vengano trasmessi. Nella stazione dei carabinieri di San Cipriano, gli uomini resistono pochissimo: c'è chi chiede di andare via e chi viene mandato via forzatamente, dall'oggi al domani, dai superiori, come i due uomini del servizio radiomobile che appena un paio di mesi fa avevano cercato di evitare una contravvenzione al figlio di Antonio Iovine. Il Comune, che già una volta era stato sciolto per condizionamenti mafiosi, aveva avuto il fratello di Bardellino come sindaco e il nipote di Mario Iovine come assessore ai lavori pubblici. Poi Mario Iovine, latitante, si fece ammazzare a colpi di rivoltella a Cascais, ed il nipotino (capito l'avvertimento) preferì dimettersi. Qualcuno potrebbe obiettare che erano altri tempi, che la camorra di Bardellino era quella di 20 anni fa... E' vero, ma è anche vero che il clima non è cambiato. Anzi, è diventato rovente. Tornano anche le armi, nelle strade di San Cipriano, come quelle sequestrate ad inizio mese in casa di Francesco Cecoro, piccoli precedenti nel suo passato, ma una pistola calibro 38 e un mitragliatore di marca americana nel ripostiglio. Aria di guerra? Non si sa. E' ancora tutto da vedere. Per ora, l'aria di guerra si respira nel Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, dove qualche giorno fa era atteso il controesame di Mimì Bidognetti, nuovo pentito. Cosa è successo? Lo si è appreso dai giornali, ed è qualcosa di raggelante. Invece di Mimì, ha preso la parola suo cugino, imputato di estorsione, che è il ben noto Francesco Bidognetti, capo storico dei Casalesi ai tempi del triumvirato formato da lui, Schiavone e Zagaria. Il super boss ha detto che voleva rilasciare dichiarazioni spontanee. Sono state dichiarzioni inquietanti, prima tra tutte la risposta al parente che appena otto giorni fa aveva detto di essersi pentito perché temeva per la vita dei figli: "Anche noi abbiamo i figli, proprio come lui..." Una minaccia? Fatto sta che di quel triumvirato tutti, Vincenzo Zagaria, Francesco Schiavone e Francesco Bidognetti sono stati arrestati. Ma c'è Michele Zagaria che è ancora latitante. E comanda insieme a Iovine. E' già noto, grazie ad un'informativa del SISDE risalente ad un anno fa, che il clan sta progettando l’attentato a un magistrato, Raffaele Cantone, nativo di Giugliano in Campania, ed in forze nella DDA di Napoli. Perchè? Perchè Cantone è arrivato vicinissimo all'arresto di Michele Zagaria, e di Antonio Iovine, e poi perchè colpisce le strutture economiche del clan, soprattutto le imprese edili. Ed il pentito, Mimì, ne ha parlato. Ha detto che all'interno della federazione casalese c'è semplicemente un dibattito interno tra "falchi" e "colombe". Per i primi, Cantone va fatto fuori subito, per i secondi, far fuori Cantone è una vendetta per i processi, e pertanto va fatto dopo le sentenze definitive. A questo punto, mi fermo un attimo, e riprendo una parte dell'intervista fatta da Gianluca Di Feo a Franco Roberti, che è il capo della DDA di Napoli, pubblicata sull'Espresso in una data simbolica: il 16 agosto, chissà... i malpensanti diranno che è la data apposita per far passare inosservate le notizie. Roberti nell'intervista ricorda che la capacità dei Casalesi è andata oltre l'immaginabile, sono passati dall'economia industriale a quella finanziaria: "Sono così ricchi che agiscono investendo capitali nelle imprese legali, senza pretendere il controllo della gestione. Hanno inventato le società a p.c.m. ossia a partecipazione di capitale mafioso, che sono ormai parte rilevante dell'economia nazionale. Ma trovano mercato anche all'estero. Perchè la loro strategia è vincente: i boss guadagnano facendo risparmiare le imprese. Sono più morbidi delle banche: chiedono interessi inferiori, non fanno fretta per recuperare l'investimento. Hanno una ricchezza talmente vasta che li esonera dalle intimidazioni e dallo strozzinaggio. Il processo Zagaria sulle infiltrazioni nelle ditte di Parma e della pianura padana dimostra come gli imprenditori del Nord fossero felici di avere i capitali della camorra". Per questo, sostiene Roberti, i Casalesi hanno dato vita a una metamorfosi micidiale: un nuovo modo di essere mafia. E se lo dice il capo della Divisione Distrettuale Antimafia... Infatti continua a raccontare che: "Bisogna aggiornare il concetto di metodo mafioso alla luce della loro trasformazione. Non solo il vincolo di omertà e la forza di intimidazione, ma anche la forza del denaro. E quella delle relazioni imprenditoriali e istituzionali". Perché tutti i grandi gruppi delle costruzioni sono venuti a patti con i Casalesi. E il loro potere non potrebbe esistere senza il sostegno della politica. Un fronte meno esplorato, perché non ci saranno mai baci tra ministri e boss casertani. Non servono più relazioni dirette e vecchie testimonianze di pubblica stima, come ai tempi del bacio di Andreotti :) No, anche in questo i Casalesi sono l’evoluzione della specie: "I rapporti con le istituzioni sono dominati dal mimetismo. Sono rapporti di reciproca funzionalità, un concetto che è stato fissato da sentenze ormai in giudicato. In pratica l'accordo tra padrini e leader politici nazionali avviene mediante gli esponenti locali del partito nel territorio controllato dai boss". E qui Roberti cita le motivazioni di un processo che ha fatto epoca, quello contro Antonio Gava, ex ministro degli Interni, protagonista della politica nazionale e leader della Dc in Campania che era stato accusato di associazione mafiosa proprio con Carmine Alfieri e Antonio Bardellino, il fondatore dei Casalesi: "Dalla sentenza che ha assolto Gava con l'articolo 530 secondo comma, ossia il comma che ha sostituito la vecchia insufficienza di prove, risulta provato con certezza che Gava era consapevole dei rapporti di reciprocità funzionale esistenti tra i politici locali della sua corrente e l'organizzazione camorristica, nonché della contaminazione tra la criminalità organizzata e le istituzioni locali del territorio campano". A gestire lo scambio pensavano però altre figure, come il plenipotenziario di Gava, Francesco Patriarca, condannato con sentenza definitiva e arrestato a Parigi di recente, o Antonio D'Auria, "segretario di Gava che andava a braccetto con camorristi ergastolani a cui aveva fatto da padrino di cresima". Insomma: la politica usa dei diaframmi per non sporcarsi le mani a livello nazionale. Un modo che rende più sicuri gli uomini di governo e semplifica anche le cose ai boss: più basso il livello, più semplice la trattativa. E allora eccolo il segreto dei Casalesi: l'evoluzione del modello mafioso, appreso vent'anni fa quando Antonio Bardellino venne affiliato a Cosa nostra, e trasformato in una inarrestabile Cosa nuova. Una macchina perfetta, ma a patto di costruire una cortina di silenzio. Una cortina doppiamente necessaria mentre si celebrano i processi, tutti voluti e istruiti dal pm Raffaele Cantone, che vedono alla sbarra capi e gregari, cassieri e killer. Anche su questo, Roberti parla chiaro: "I Casalesi finora hanno mantenuto una pax mafiosa, praticamente senza fatti di sangue. Sanno che l'attenzione per la camorra in genere nasce solo quando si spara. Per cui si fa ricorso a mezzi emergenziali per eludere l'obbligo politico e istituzionale di fronteggiarla su piano ordinario. Qui non c'è nessuna emergenza. La camorra è parte integrante della società napoletana e casertana, ne costituisce una delle facce. Bisogna prendere atto che questa realtà è parte di noi. Solo così saranno possibili gli interventi strategici per combatterla". Interventi strategici? Quali? Beh, la politica ne ha pensato uno geniale: traferire Raffaele Cantone ad un altro incarico! Così, mentre in Italia si parla sempre e solo di magistrati chiacchieroni dalla bocca larga, o di persone sotto scorta solo perchè fa comodo al loro ufficio marketing come battage pubblicitario, Cantone lavora in silenzio e rischia. Rischia grosso. Lui è nel mirino sul serio. Mica fuffa. E nonostante questo si espone. Anche proponendo. Come si può leggere in questo articolo.(http://www.internapoli.it/articolo.asp?id=9741) Auguri, dottor Cantone. Mi auguro che lei non resti isolato. http://alex321.splinder.com/
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