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Nick: Kashmir
Oggetto: Ogni giorno
Data: 11/11/2007 19.36.14
Visite: 243

Diario di Arianna. Data: 20/03/2006. Ore 10:38.

Finalmente ho finito. La cucina è perfettamente pulita, la camera da letto precisa ed ordinata, il cesso luccica come lo specchio e viceversa, al corridoio manca solo il tappeto rosso per quanto è bello.
E anche per oggi abbiamo pulito.
Ieri pure avevo pulito, e credo che pulirò anche domani.
Sì, perché fra tre ore torneranno i ragazzi da scuola e quando invece stasera rientrerà mio marito gli sembrerà, come al solito, che non ho fatto un cazzo per tutta la giornata dato che troverà la casa in condizioni schifose. Lui invece va a farsi il culo scaldando una sedia. Poveraccio. Un giorno di questi gliela tiro io una sedia.
Ma che la pulisco a fare dico io? Forse per occupare il tempo, forse per farla trovare decente almeno ai miei figli, forse semplicemente per non pensare.
Ieri Alessandro, il mio primogenito, un ragazzone robusto di quindici anni, è tornato a casa con un livido enorme sull’occhio, ha di nuovo fatto a pugni per la troietta che sta in classe sua, come se non lo sapesse che alla sua età le ragazzine vanno a guardare quelli più grandi.
E ovviamente le ha prese. Tanto per cambiare.
Ho anche un altro figlio, Marco. Lui ha sei anni, è dolcissimo, al contrario del fratello è calmo e pacifico, forse un po’ troppo taciturno. E’ molto creativo, gli piace tanto disegnare, l’altro ieri era il mio compleanno, mi ha portato un disegno in cui c’è una donna su di una sedia, che poi sarei io, con un bimbo in braccio, che poi sarebbe lui. Inoltre dietro c’è un tipo in smoking con una valigetta in mano, il padre. Alla sua sinistra, invece, c’è un tipo girato di spalle, di cui si vedono solo i capelli, ed è vestito di nero. C’è un ombra su di lui nel disegno. E’ il fratellone, Alessandro.
Questa faccenda dell’ombra non l’ho ancora capita. Probabilmente ha a che vedere con un litigio dei loro. Vorrei chiederglielo ma ho paura di turbarlo.
E’ dura crescere due figli. Specialmente l’adolescente, il piccolo mi preoccupa perché tra qualche anno sarà adolescente anche lui e dovrà cominciare a tirar fuori un po’ di palle, il grande invece di palle ne tira fuori anche un po’ troppe.
Pensieri, pensieri, pensieri. A cosa si riducono i miei pensieri? Ad accertarmi che i miei figli e mio marito abbiano i panni puliti e ben stirati tutti i giorni, il piatto caldo sul tavolo agli orari da loro preferiti, che non prendano troppo freddo o troppo caldo, che la casa sia sempre in ordine, che mia suocera rompa le palle solo a me ogni giorno dato che telefona sempre quando il figlio ancora è a lavoro, ed ogni giorno mi chiede "Anna, Michele è tornato?" ed io "No Lidia, lo sai che torna dopo le sette" e ancora: "Va bene, provo domani" e richiama il giorno dopo alla stessa ora, ed è questo tutti il giorni. No, non è malata. E’ solo rincoglionita come il figlio. Mio marito non è capace neanche di prepararsi un caffè. Deve alzarsi alle cinque e mezza anche la sottoscritta imbecille perché quell’idiota non è capace di farsi un cazzo di caffè. Per una volta che ci ha provato è esplosa la caffettiera. Ma che razza di idiota.
Mi sto annoiando di brutto, ogni giorno le stesse cose, la stessa vita, non si esce mai. Ah sì, si esce invece! Per andare a trovare i nonni la domenica, per andare dal medico e per andare in Chiesa. Che spasso ragazzi, un giorno di questi impazzirò e berrò l’acqua santa sperando che mi spuntino un paio di ali enormi per volare via. Però poi tornerei. Amo troppo i miei figli. Però che vita di merda.

Arianna.

Scrisse questa pagina sapendo che sarebbe stata quasi identica a tutte le altre, anche il giorno prima aveva parlato del disegno di Marco, e quello prima ancora. Era l’unica novità di quel periodo, l’unico avvenimento piacevole, infatti se lo godeva alla grande.
Una volta chiuso il diario, si accese un’altra sigaretta, si avviò fuori al balcone, si affacciò, salutò formalmente e cordialmente la vicina. Parlarono di figli e di rispettivi mariti.
Ad un certo punto squillò il telefono. "Dio ti ringrazio" pensò la povera Arianna che dovette sorbirsi, come ogni mattino, la sua cara vicina per venti minuti buoni.
Rispose al telefono.
"Signora Damiani? La chiamo dalla scuola di Alessandro" –ecco che ne ha combinata un’altra delle sue, chi avrà picchiato oggi?- pensò. "Signora stia tranquilla, la prego, devo informarla che abbiamo dovuto chiamare l’ambulanza, Alessandro ha perso i sensi e non siamo riusciti a farlo riprendere."


Diario di Arianna. Data: 20/03/2007. Ore: 11:50

Ho staccato il telefono. Ora mi calmo, mi siedo e scrivo.
Ho pulito tutta la casa. Così stasera mio marito riuscirà a rilassarsi un po’. Così sentirà il profumo di pulito e magari non si chiuderà in camera come al solito. Forse mi abbraccerà. Voglio che lui mi abbracci.
Un anno fa avrei voluto tirargli una sedia. Ora vorrei che mi abbracciasse.
Ho staccato il telefono. Non deve squillare il telefono a quest’ora, non oggi.
L’ultima volta che è successo, in questo giorno, a quest’ora esatta, mi è bastata. Mi è bastata, lo giuro. Non dovrà accadere mai più.
Stasera sarà tutto pulito, forse mio marito mi abbraccerà. Ho bisogno di un suo abbraccio.
Tra poco Marco tornerà da scuola. Verrà accanto a me, mi darà un bacio sulla guancia, mi accarezzerà i capelli e mi dirà che è stato bravo e che ha imparato un sacco di cose nuove. Non mi porterà più i suoi disegni. Non ha più voglia di disegnare, neanche di cantare e di inventare filastrocche nuove. Mi sorride, mi bacia, mi fa una carezza. Poi anche lui va in camera sua.
La mattina mi alzo e vado in bagno, mi lavo. Una, due, tre volte. Mi sento sempre sporca anche se mi lavo di continuo. Strofino così tanto che tutta la pelle si irrita e dopo mi fa male. Una volta lavata, mi sento ancora più sporca, non riesco a togliermi il nero di dosso, da dentro.
Fumo un’altra sigaretta. Poi un’altra. Poi un’altra ancora. Poi mi accorgo che il senso di vuoto non dipende dalla nicotina ed evito di accenderne un’altra. Non riesco a sentirmi pulita, non riesco a sentirmi appagata dalla nicotina.
Marco è taciturno, calmo. La casa non la sporca. Questa cazzo di casa è troppo pulita. Troppo pulita.
Prima ho dato una gomitata ad una bottiglia di vino, è caduta a terra, si è rotta, il vino si è sparso per tutto il pavimento. Dopo ho pulito di nuovo. Era di nuovo tutto pulito, tutto troppo pulito.
Prima ho provato a sistemare la camera di Alessandro. Sono entrata, ho sentito il suo odore. Mi sono seduta a terra accanto al suo letto, ho avvicinato il viso alle lenzuola, ho sentito di nuovo il suo odore. Ho abbracciato le coperte. Sono uscita, non gliela sistemo la stanza. Ad Alessandro non piace che qualcuno gli sistemi la stanza, vuole farlo da solo.
Quando invitava una ragazza la stanza era tanto pulita. Io ringraziavo la ragazza perché aveva fatto sì che la stanza fosse pulita. Alessandro si arrabbiava tantissimo. Mi diceva che io gli facevo fare le figure di merda. Io ridevo.
Scusa amore, scusami, ti prego perdonami, non volevo metterti in imbarazzo, ti prego, perdonami, perdonami.

Arianna

Questa l’ha scritta il mese scorso.
Torniamo alla telefonata di un anno fa.
Arianna attaccò il telefono senza dire nulla, corse in macchina, si avviò verso la scuola con una tachicardia da ricovero; non rifletteva, non capiva che magari avrebbe dovuto chiedere in quale ospedale sarebbe stato portato il figlio e raggiungerlo lì.
Infatti una volta arrivata a scuola, Alessandro già non c’era più.
Andò all’ospedale accompagnata da un insegnante. Da sola non poteva guidare in quelle condizioni. Piangeva, urlava, si disperava. "Bastardo, premi il piede su quel cazzo di acceleratore, avanti bastardo! Muoviti!".
L’insegnante non disse nulla.
Arrivarono all’ospedale. Insultò anche un’infermiera perché ci mise troppo tempo ad indicarle in che reparto era ricoverato il figlio. Riuscì a raggiungerlo, non la fecero entrare. Gli stavano facendo degli esami. Un dottore però la tranquillizzò, Alessandro aveva ripreso coscienza.
Michele, il marito, arrivò pochi minuti dopo; era agitatissimo, abbracciò la moglie chiedendole come stesse Alessandro, lei lo rifiutò spingendolo via con le braccia, riprese a piangere, cadde a terra. Dopo si lasciò abbracciare. Era troppo debole per ribellarsi.
Rimasero tutta la notte accanto al figlio, insieme, nonostante le inutili proteste della caposala, che si era beccata diversi "troia" e "faccia di merda" perché aveva osato dire che solo un parente poteva fare la notte in ospedale.
La mattina dopo li raggiunse il medico con una faccia che lasciava trapelare tutto, ma veramente tutto. Arianna lo guardò e scoppiò a piangere.
Leucemia.
Alessandro si svegliò, guardò la madre e le sorrise. Le disse che non si sentiva un granché e che forse sarebbe stato meglio per lui non andare a scuola quel giorno.
Arianna lo guardò, aveva gli occhi lucidi, gli sorrise e gli fece una carezza. Aveva paura che se avesse aperto bocca sarebbe esplosa in singhiozzi, preferì tacere e riempirlo di baci.
Alessandro ovviamente capì che qualcosa non andava, anche perché si rese conto di trovarsi in ospedale.

Diario di Arianna. Data: 23/03/2006

Il mio ragazzone ha cominciato il ciclo di chemioterapia l’altro ieri. I medici dicono che sta reagendo bene. E’ forte, il mio Alessandro.
Lui mi sorride sempre ultimamente, come non mi ha mai sorriso. Sembra quasi volermi consolare. Lui a me. Assurdo. Lui sta lottando contro la morte e contemporaneamente si preoccupa per me, cerca di consolarmi.
Anche Marco cerca di consolarmi, sta vicino anche al papà. L’altra volta mi ha confessato che qualche giorno prima di darmi il disegno per il mio compleanno aveva sognato Alessandro. Nel suo sogno il fratellone era steso sul letto, con gli occhi aperti, rivolti verso il soffitto. Su di lui c’era un enorme nuvola nera. Alessandro si alzava dal letto per andare in bagno, la nuvola nera lo seguiva.
Ecco spiegato il disegno. Marco ha visto la leucemia in sogno. Mio figlio di sei anni che prevede i cancri. Sapeva già tutto; così piccolo e così grande. Non avevo mai visto i miei figli non litigare per così tanto tempo.
Interrompo qui la mia pagina di diario per oggi. Devo andare da Alessandro, non posso vederlo adesso, ma ci devo andare lo stesso. Non ce la faccio a stargli lontana.
Mi manca la casa sporca, mi mancano le sue impronte piene di fango per il corridoio, mi manca la musica ad alto volume, mi manca il continuo disordine. Mi manca perfino la faccia di cazzo di mio marito che torna sbuffando perché il pavimento non luccica.

Arianna

Alessandro era forte sul serio. Reagì benissimo alla chemioterapia e tornò a casa dopo soltanto due settimane, il cancro rientrò senza problemi. Per festeggiare fecero un bellissimo viaggio in Irlanda, tutti insieme. Lì Ale si innamorò, fece l’amore per la prima volta con una ragazza. Era bellissima, lui era cotto, veramente cotto. Lei era più grande di lui, aveva diciannove anni. Bionda, capelli mossi, lunghissimi, occhi azzurri. Sembrava una fata irlandese, o almeno lui così le immaginava.
Era cotto, davvero cotto, ma non era sicuro di sentirsi pronto a fare l’amore, non era certo che fosse lei quella giusta, perché una volta tornato in Italia non l’avrebbe più rivista, e sarebbe rimasto un momento magico, un meraviglioso momento.
Ma voleva viverlo, al cento per cento. Da quando aveva avuto la leucemia non intendeva perdersi alcun istante, aveva intenzione di fare tutte le esperienze importanti della vita, di bruciare tutte le tappe a costo di non perderle.


Diario di Arianna: Data: 21/03/2007 ore: 13:05

Non doveva accadere. I medici avevano detto che il cancro era rientrato. Invece mio figlio adesso è steso sul letto di ospedale, pieno di flebo, e i medici dicono che le speranze di vita sono veramente poche. Gli hanno concesso una o due settimane al massimo.
Nessuno può decidere quanto ha da vivere mio figlio. L’ho data io la vita a mio figlio.
Marco non esce più dalla sua cameretta. Non disegna neanche. Si siede sulla sedia, guarda fuori alla finestra, verso il cortile. Aspetta il ritorno del fratello.
Mio marito ieri poi non mi ha più abbracciata. E’ andato a dormire. Io mi sono stesa accanto a lui, dopodiché sono andata di nuovo in ospedale. Ho guardato Alessandro, ho potuto solo guardarlo attraverso un vetro, non mi hanno fatto entrare.
Com’era bello quando pulivo tutta la casa da cima a fondo, finivo a metà mattino, restava splendida fino ad ora di pranzo. Poi tornavano Alessandro e Marco correndo, sporcavano tutto il pavimento di nuovo, imbrattavano i muri, mangiavano e lasciavano tutti i piatti sporchi sul tavolo, andavano in bagno e pisciavano sulla tavoletta, correvano in giardino e rompevano tutte le piante, tornava mio marito incazzato nero, pensando che io non avessi fatto un cazzo per tutta la giornata.
C’era vita, c’erano i miei figli a scorazzare allegri per la casa, era così bello vederli ridere e giocare.
Ale tornava sempre con qualche livido, io mi preoccupavo come una scema per quegli stupidi lividi, come li hanno tutti i ragazzi della sua età. Glieli curavo come se fossero chissà quale piaga.
Come mi mancano quei lividi. Quanta vita avevano quei lividi.

Arianna

Questa è stata l’ultima pagina di diario scritta da Arianna.
Adesso Arianna il diario non lo scrive più.
C’è altro da fare.
C’è da giocare con Marco, c’è da pulire le ferite di guerra ad Alessandro che stavolta si è ripreso sul serio, c’è da lavare i panni per la millesima volta, c’è da baciare il marito quando torna arrabbiato per farlo sorridere, per ascoltare i suoi problemi avuti al lavoro, per farsi ascoltare quando racconta come ha preso in giro quella cretina della vicina e cosa hanno fatto i ragazzi a scuola. Poi faranno l’amore, finalmente.
C’è da amare, c’è da vivere. La routine non esiste. E’ solo un invenzione della gente che non sa risplendere della luce di ogni giorno.
Passi la vita alla continua ricerca di qualcosa che te la cambi. Di qualcosa di grande.
Quando la cosa più grande è proprio lì, ogni giorno, e non aspetta altro che essere vissuta.



Fine
















P.S. nonostante mi reputo la peggiore scrivana del mondo, ma peggiore in assoluto, dato che è il mio unico mezzo di sfogo, scrivo ugualmente.

P.P.S. sì, sto una merda, va bene?
Sherree Rose, vedendo che la festa era riuscita perfettamente e che gli invitati ridevano e ballavano, si chiese: "Perché qui tutti si divertono e io no?". Sherree non sapeva che in quel momento ogni invitato, nessuno escluso, aveva il suo stesso pensiero



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