altro giro, altra corsa. altro confronto tra un brano di gomorra ed un articolo dell'amico giancarlo palombi.
leggerete ora di paolo di lauro in aula e dei suoi segnali per comunicare, infine dell'abbraccio con il figlio. in entrambi i brani, perchè, come giustamente direte, quelli sono i fatti e quello si doveva scrivere.
non voglio malignare su eventuali somiglianze, che sicuramente sono solo coincidenze.
però c'è un particolare che mi fa riflettere.
palombi non ricorda di aver visto saviano (che pure conosceva) in aula. ma ha visto un uomo robusto al quale paolo di lauro ha rivolto un occhiolino.
saviano afferma di essere seduto proprio davanti a quell'uomo.
poteva, giancarlo, non averlo visto?
oppure, cambiando le carte in tavola.. e se quell'uomo non esistesse? potevano averlo visto sia giancarlo sia roberto saviano?
allucinazione collettiva?
di seguito, i due articoli
(da gomorra, di roberto saviano)
Dopo alcuni giorni Paolo Di Lauro venne portato in tribunale, nell’aula 215. Presi posto tra il pubblico di parenti. L’unica parola che il boss pronunciò fu “presente”. Tutto il resto lo articolò senza voce. Gesti, occhiolini, ammiccamenti, sorrisi, divengono la sintassi muta attraverso cui comunica dalla sua gabbia. Salute, risponde, rassicura. Alle mie spalle prese posto un omone brizzolato. Paolo Di Lauro sembrava fissarmi, in realtà aveva intravisto l’uomo dietro di me. Si guardarono per qualche secondo, poi il boss gli fece l’occhiolino. Sembrava che dopo aver saputo la notizia dell’arresto molti fossero venuti a salutare il boss che per anni, a causa della latitanza, non avevano potuto incontrare. Paolo Di Lauro era in jeans e polo scura. Ai piedi le Paciotti, le scarpe che indossano tutti i dirigenti dei clan da queste parti. I secondini gli liberarono i polsi togliendogli i ceppi, le manette. Per lui un’unica gabbia. In aula entra tutto il gotha dei clan del nord di Napoli: Raffaele Abbinante, Enrico D’Avanzo, Giuseppe Criscuolo, Arcangelo Valentino, Maria Prestieri, Maurizio Prestieri, Salvatore Britti e Vincenzo Di Lauro. Uomini ed ex uomini del boss, ora divisi in due gabbie: fedeli e Spagnoli. Il più elegante è Prestieri, giacca blu e camicia oxford azzurra. È lui il primo che dal gabbione si avvicina al vetro di protezione che lo separa dal boss. Si salutano. Arriva anche Enrico D’Avanzo, riescono persino a bisbigliare qualcosa tra le fessure del vetro antiproiettile. Molti dirigenti non lo vedevano da anni. Suo figlio Vincenzo non lo incontra più da quand nel 2002 divenne latitante, rifugiandosi a Chiasso, in Piemonte, dove fu arrestato nel 2004. […] Col figlio però avvenne un dialogo silenzioso strano. Vincenzo indicò con l’indice l’anulare della sua mano sinistra come per chiedere al padre: “La fede?”. Il boss si passò le mani ai lati della testa, poi mimò un volante come se stesse guidando. […] Non riuscivo a decifrare bene i gesti. L’interpretazione che i giornali ne diedero fu che Vincenzo aveva chiesto al padre come mai fosse senza la fede e il padre gli avesse fatto capire che i carabinieri gli avevano tolto tutto l’oro. Dopo i gesti, gli ammiccamenti, i labiali veloci, gli occhiolini e le mani attaccate sul vetro blindato, Paolo Di Lauro si bloccò in un sorriso guardando il figlio. Si diedero un bacio attraverso il vetro. L’avvocato del boss al termine dell’udienza chiese di poter permettere un abbraccio tra i due. Venne concesso. Sette poliziotti lo presidiarono. “Sei pallido”, disse Vincenzo e il padre gli rispose fissandolo negli occhi: “Da molti anni questa faccia non vede il sole”.
(da cronache di napoli, a firma di giancarlo palombi)
Un fuoriprogramma conclude l'udienza. L'imputato Paolo Di Lauro ha una richiesta da fare alla Corte. E' il suo difensore a farsi portavoce prendendo la parola in un'aula ancora gremita. Si fa appello all'umanità dei giudici perché a Paolo Di Lauro sia concessa la possibilità di un semplice e fugace abbraccio con il figlio Vincenzo che “non vede da tre anni”. […] E così, si fanno uscire gli altri imputati detenuti presenti nel gabbiotto mentre un cordone di forze dell'ordine si predispone davanti alle sbarre e sette agenti di polizia penitenziaria 'scortano' gli imputati in un percorso interno che li porterà ai blindati per il rientro in carcere. E' questione di pochi minuti. Paolo Di Lauro resta immobile ad osservare la scena nell'attesa che arrivi il fatidico momento. Il figlio Vincenzo è in piedi, resta con le braccia incrociate, forse emozionato ed è da solo nel gabbiotto. Uno sguardo al padre, poi esce anche lui dall'aula e rimane in attesa nel corridoio retrostante. E' un attimo, e lo segue il padre Paolo, accerchiato e sorvegliato da sei agenti. L'abbraccio avviene fugace, chi è nell'aula non riesce a vederlo. Ma questo poco conta. Non c'erano più le sbarre che per tutta la durata dell'udienza li avevano separati, non c'era quel vetro che aveva reso simbolico il bacio che Paolo aveva dato al figlio quando l'udienza era appena iniziata e i loro sguardi, dopo tanto tempo, si erano ritrovati. […]
“Di Lauro Paolo: presente. Il detenuto Di Lauro Paolo è presente in aula?: Si”. Cinque minuti dopo le dodici, Ciruzzo ha parlato. Due parole, pronunciate con piglio infastidito. La voce del boss vibra nell’aula 215. Solo due parole. Due. E tutti hanno potuto ascoltarle, avvocati, presidente, pubblico ministero, giornalisti, agenti della penitenziaria e carabinieri. Perfino i parenti, anche se a loro è stato destinato un altro tipo di linguaggio, un idioma che non usa vocali e consonanti, che vive di gesti, smorfie. Sorrisi. L’ingresso di Ciruzzo, anzi, di Paolo Di Lauro è avvenuto in sordina. Questa volta il capo non è chino, indossa i ‘soliti’ jeans, una polo scura che nasconde una t-shirt bianca. La cella deve essere umida. Sotto i pantaloni le Paciotti alla moda. Attraversa la prima gabbia per accedere al suo alloggio giornaliero. I secondini si avvicinano per slegare i “ceppi”, le grosse manette che fanno di Ciruzzo un “carcerato”. Si volta, poggia sul pavimento in linoleum bollato della gabbia una bottiglia di acqua naturale. Sembra stanco, dimagrito. Si siede. La mano sinistra cinge il polso sinistro e inizia a girare intorno, la stessa cosa fa con la destra: le manette fanno male. Dalle carezze passa al nervosimo, ansia da attesa. Gira i pollici Paolo Di Lauro, e dondola le gambe. E pensare che in molti lo ritengono responsabile di una guerra sanguinaria. Ecco, ora tocca ai saluti. La mano vibra nell’aria poi intermittente si chiude su se stessa, ancora un sorriso: nell’aula sono quasi tutti in piedi. Entra un uomo di mezza età, fisico robusto: lo fissa. E il boss risponde con un occhiolino. Poi si siede nuovamente e poggia la gamba destra su uno scalino. Questa la posizione che terrà per gran parte dell’udienza. La porta che collega l’aula con la zona di attesa dei detenuti si apre per la seconda volta e sfilano i volti noti del processo: Abbinante Raffaele, Abbinante Antonio, D’Avanzo Enrico, Criscuolo Giuseppe, Prestieri Maria, Prestieri Maurizio, Valentino Arcangelo, Britti Salvatore, Pariante Rosario (in videoconferenza da Spoleto). Di Lauro Vincenzo. Tutti chiamati all’appello rigorosamente seguendo l’ordine del cognome e del nome. Come impone la regola. Il primo ad avvicinarsi al vetro blindato che separa le due gabbie è Vincenzo, il figlio. Si guardano per qualche secondo poi i due volti si fermano sul cristallo con le labbra che scambiano un bacio. Padre e figlio si rivedono dopo tre anni.
Maurizio Prestieri saluta Maria, giacca blu e camicia oxford si distingue per l’eleganza. Più “sportivi” gli altri. Tra il pubblico madri, sorelle, cugine, amici e parenti. E mentre il poliziotto continua nella sua deposizione Paolo Di Lauro racconta. E’ una lotteria di gesti e labiali. Un indice puntato verso il pavimento, tre dita e una mano aperta a indicare un numero e il mimo di uno shampoo: “Questa mattina alle 8 ho fatto la doccia”, così sembra raccontare al figlio. E poi ancora mostra l’anulare sinistro senza la fede e descrive il viaggio in un’auto. Forse allude alla richiesta degli agenti dopo l’arresto di privarsi di oggetti d’oro. Ora sembra sereno, fissa con gli occhi - uno sguardo a cui è difficile sfuggire tanto è espressivo - il figlio Vincenzo. La parola passa a D’Avanzo, o meglio il bisbiglìo perché tra le fessure del vetro antiproiettile è difficile parlare. Ancora racconti, rassicurazioni. Ancora sguardi. Anche Prestieri si avvicina al cristallo per salutarlo. Fuori l’aula è un via vai di avvocati, poliziotti in borghese e gente comune: tutti col cellulare tra le mani.
Il caldo comincia a farsi sentire nella “215” e il fumo delle sigarette fumate nei corridoi del ‘primo livello’ del palazzo di giustizia ne annebbia l’ingresso. Ore 13,23: “L’imputato Di Lauro Paolo chiede di poter abbracciare il figlio che non vede da tre anni, solo un abbraccio veloce. E’ una questione di umanità”. E’ il desiderio di Ciruzzo pronunciato dalla voce dell’avvocato Guadalupi.
Gli altri detenuti abbandonano il gabbione, tutti tranne Vincenzo che aspetta il padre. Poi l’incontro e la stretta di braccia e spalle, breve ma intensa. Una frase rubata: “Sei pallido... Questa faccia non vede il sole da...” e la mano destra si chiude su quattro dita e ondeggia sopra la spalla. Da tanto tempo.
cos'è il genio?
è fantasia, intuizione, colpo d'occhio e velocità d'esecuzione..
beh.. non sono bello come clooney nè affascinante come sean connery, nemmeno intrigante come johnny depp.. ma so leccare come lessie!