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Nick: mir
Oggetto: un viaggio
Data: 25/6/2004 21.24.28
Visite: 161

Le telefonai più o meno a metà strada. A Grosseto da una stazione di servizio anonima con troppi neon a illuminare una notte che si annunciava lunga e dura.
Non le dissi niente. Non le dissi che al suo invito, paradossale, di prendere la moto e raggiungerla all'altro capo d'Italia io avevo preparato uno zainetto e messo il casco sotto braccio.
Le dissi solo che in quell'istante la sentivo più vicina e che nei miei sogni l'avrei incontrata presto.
Riattaccai la cornetta del telefono in un indefinito saluto gettando uno sguardo distratto al commesso del autogrill e alla cassiera che guardava pensierosa una sua mano stretta a pugno. Non riuscivo ad immaginare queste persone in una vita vera aldifuori di un autogrill.
Bevvi una coca mangiando uno di quegli orrendi panini che sembrano fatti da qualche multinazionale della plastica pagando tutto uno sproposito, poi uscii.
Le auto sfrecciavano sicure e veloci da un senso all'altro della strada uscendo dalla notte per ripiombarci subito dopo. Il rumore era quello di un passaggio al suolo di intenzioni e aspettative.
Le autostazioni mi hanno sempre dato l'idea di isole, di oasi sul percorso, di terre di nessuno e quindi di pensieri ondivaghi ed originali. Ma non era il caso di farsi prendere dai pensieri.
La moto ancora ticchettava raffreddandosi. Misi il casco e risalii.
Dopo tanti chilometri passati assieme sei un tutt'uno con la moto, sei un tutt'uno anche con i tuoi pensieri che sono come un'autoradio che non si spegne mai.
Mentre andavo rivedevo le splendide estati dell'adolescenza, le notti sull'ultimo scoglio a parlare con il mare e la luna, le scoperte del sesso, le non meno importanti scoperte dei libri letti in pinete dall'assordante canto dei grilli.
Tra Firenze e Bologna si sale un po' e si fanno una caterva di gallerie che sembrano tanti cambi di prospettiva. Gli odori si fanno diversi e dal mediterraneo si passa alla grande pianura.
Il problema era stare svegli, non seguire i pensieri fino alla comodità del sogno. Così passavo in rassegna le esperienze che durante questo straccio di vita mi hanno fatto sanguinare.
La morte di un amico, l'alcool e le pillole in casa, le fottiture della ragazza di turno, il raggiugimento della consapevolezza di poter contare sempre e solo su me stesso.
Pensando a questo mi accorsi di stringere troppo le manopole e sentire dolore nei palmi delle mani.
Ok altra tappa a Bologna o giù di lì.
La stazione era comicamente uguale all'altra, cambiava solo l'accento dei gestori.
Feci il quarto pieno dalla partenza.
Non potevo telefonarle. Era quell'orario in cui la fase rem è al termine ed inizia una lenta risalita verso lo stato di coscienza che non potevo interrompere per i miei stupidi moti di solitudine.
La solitudine non è uno stato così bastardo.
E' figlio di consapevolezza e pregno di considerazioni utili anche se sono più utili quando stai a casa tua che in mezzo al niente.
Ebbi la tentazione di prendere una bottiglia di grappa e perdermi in questo posto buco-di-culo e schiacciare ogni slancio e buon proposito sotto i 40 e passa gradi di buon prodotto friulano.
Non lo feci.
Ripartii. Tra Bologna e Milano la strada e dritta dritta e la gente corre come neanche si può immaginare. Pazzi anche perchè, spesso, a stento si vede la strada dove metti le ruote per la nebbia.
E non finisce mai questa sequenza di nomi di paesi che da emiliani diventano lombardi ma non cambia niente.
Solo pianura e strada. Pianura e strada.
Chissà com'è vivere in un posto dove non vedi mai il mare. Forse ti manca qualcosa e non lo sai, forse cresci più forte come fanno certi orfani e quando sei grande fai il culo a tutti.
Dopo molto vidi la provincia, immensa, della grande città.
Case ordinate, palazzine ordinate, parchi ordinati, strade normali. Tutto con poco scopo, nessuno slancio, neanche un fesso campanile.
Sull'autostrada gente che iniziava a lavorare o gente che finiva di lavorare.
Non avevo più sonno. Il viaggio era compiuto.
Iniziò ad albeggiare nella città che preannunciava il caos di cui era capace. Con un po' di fortuna trovai la strada per il centro.
Trovai anche la strada dove lei abitava e dove gli spazzini stavano finendo di compiere il loro dovere.
Spensi la moto, spensi il motore delle considerazioni, tolsi il casco e mi buttai, addormentandomi, sul prato nella rotonda della piazza principale del quartiere.



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