Nick: Zanardi Oggetto: Quattordici Febbraio Data: 14/2/2008 11.53.6 Visite: 427
Mio padre era un professore di lettere, persona colta e con interessi che spaziavano dal Cinema alla coltivazione delle Olive e a Corto Maltese.. Ad osservarlo senza che lui proferisse parola, appariva una persona austera, tutta d’un pezzo, ma in verità era un cazzone volontariamente. Nel senso che aveva scelto lucidamente di essere un cazzone. E in questo io e lui ci somigliamo parecchio. Ricordo che quand’ero bambino mi raccontava favole in cui c’erano sempre Sicomori e Baobab e scimmie penzolanti sui rami. E lui era nella favola. Una volta mi raccontò d’essere stato ad una battuta di caccia con Gargantua e Pantagruel. Stev semp miezz e io lo guardavo strano, pensando "Ma mi stai prendendo per il culo?". Mancava soltanto che mi dicesse d’essersi scopato Biancaneve grazie ad un ruffiano Mammolo. Per questo suo modo di fare ho amato il Big Fish di Burton: papà era quasi la fotocopia di Edward Bloom. Non lo dico "tanto per", nè per mitizzare qualcuno. E' davvero così. Quando poi sono cresciuto mio padre cominciò ad essere solo. E, anche in tal caso, credo che la solitudine l’abbia scelta lucidamente, per una serie di circostanze che mi scoccia spiegare. Le uniche volte che decideva di rifuggire la solitudine era per stare con i miei amici, a mia insaputa. Nel senso che la sera tornavo a casa e trovavo mio padre e i miei amici ciucchi, a ridere e parlare. C’era pure qualcuno che rullava e fumava, con mio padre davanti. Mio padre faceva finta di nulla – o davvero era emancipato, da ‘sto punto di vista, non saprei – e io un po’ lo odiavo, poiché aveva sostituito me con lui, al centro di una "piazza immaginaria". Al che, quasi per metterlo in imbarazzo davanti agli altri, quasi per farlo scoprire meno emancipato di quel che voleva apparire, chiedevo lo spino e appena abboccavo lui mi guardava male, ma non diceva una parola. Mio padre aveva qualche passione forte. Il Napoli – lui che era nato e cresciuto in un paesino di montagna dell’alta irpinia - con Maradona e Sivori. La boxe e Marvin Hagler. Il ciclismo, soprattutto grazie a Gino Bartali e Marco Pantani. Se m’avesse trasmesso queste passioni? La passione del Napoli di sicuro no, pure se Maratona era per me quasi un idolo: una via di mezzo tra Montezuma e Cesar Sandino. La boxe molto, anche se preferivo reietti come Tyson ad un "borghese" Hagler. Il ciclismo? Zero. Almeno in un primo momento. Mio padre diceva che il ciclismo era fatica, era sudore, era sacrificio, era sangue (luoghi comuni, lo so, ma lui ci credeva davvero). Era tutto. Io non lo capivo e trovavo tutto molto noioso. Quando compariva Pantani però, mio padre diventava un altro. Pantani per lui era l’Eroe, era la reincarnazione di Ginone Bartali. Quando Pantani scalava, con la sua bandana in testa, mio padre urlava, alla Tv "VAIIIII PIRATAAAAAAA!!! VAI!!!!". Come un ossesso. Si commuoveva al traguardo, alzandosi dalla sedia. Mio padre diceva che Pantani era un guerriero e che gli sarebbe piaciuto avere un figlio come lui. Quando Pantani fu trovato positivo al Doping, mio padre sostenne che era tutt’una farsa, che non era possibile, che era un complotto studiato ed attuato a tavolino. Lo ripetette per una settimana, tutti i giorni, per almeno una volta al giorno, quando gli chiedevo (quasi a volerlo provocare) un parere sull’argomento e sullo sportivo Pantani per lui continuava ad essere un guerriero. Il 14 gennaio di quattro anni fa, Marco Pantani fu trovato morto, in un letto sfatto d’un motel di provincia. Overdose di farmaci e droghe, recitava il referto. Il Pirata se n’era andato per sempre, senza alcuna colpa, se non quella di essere rimasto da solo. Era stato lasciato solo, quando lui avrebbe voluto qualcuno accanto. O forse aveva scelto forzatamente (e non lucidamente) la solitudine. Quella più atroce, che ti porta alla depressione. Il 14 gennaio di quattro anni fa – quasi una coincidenza - mio padre scoprì d’avere un cancro che lo avrebbe portato via in due mesi. Quando tornammo dall’Ospedale, non gli dissi del referto dell’Oncologo, ma aveva capito tutto. Lo vidi silenzioso, in serata. Non gli chiesi il perché, ma lui mi guardò e – quasi commosso – disse "Povero Pantani, l’hanno lasciato morire come un cane". Da allora per me Pantani è diventato leggenda. Come Che Guevara. Come Maradona. E come mio padre. "..quel naso triste come una salita quegli occhi allegri da italiano in gita Za za za zaz! Za za za zaz! Za za za zazza, za za za za! za za za za!" Foss a vota bon ca se scetass o vesuvio? Accussi facimme un termovalorizzatore ma buon!!!! |