Nick: Zero-uno Oggetto: XcolpadiZanardiOldBoy Data: 4/3/2008 19.9.35 Visite: 291
…Però capita spesso che un torto, anche il peggiore fra tutti i torti subiti, non abbia alcun nome. A volte si subisce un torto e l’unica faccia che possiamo attribuirgli è la nostra. Le stanze in cui ci chiudiamo per quindici anni diventano le stanze che abitiamo volontariamente e le rughe del quadro che tenta di ritrarci sono le nostre stesse mani che cercano di toccare un viso che non possiamo fare a meno di riconoscere: per esempio a volte io mi osservo e mi vedo vecchio, stanco e so che posso sentirmi tale soltanto perché un tempo mi muovevo in un’altra stanza all’interno della quale invece ero giovane, forte e soprattutto desideroso di sentirmi adulto, saggio e forse anche vecchio e stanco perché tutti i saggi sono vecchi e stanchi a differenza dei giovani che sono tutti geniali perché essenzialmente sciocchi. A volte posso sentirmi ancora sciocco, ma soltanto perché di fronte a me ho un ritratto di un vecchio a cui aspirare per ritornare a sentirmi saggio, vecchio e stanco. Le stanze dei chiusi sono ad incastro: chiuderti per quindici anni in una per trovare una ragione valida che possa lasciarti chiuso nell’altra, per altri quindici anni, e così via fino ad accorgersi che tutta l’esistenza ha l’aspetto di un corridoio che collega una stanza all’altra: in sostanza accade di vivere quando puoi muoverti nei corridoi e invece pensi a che cosa devi fare della tua vita quando ti fermi quindici anni in una stanza. A volte quei quindici anni possono durare REALMENTE un secondo. "Come si sta in una prigione più grande?" I corridoi sono pur sempre una prigione: un passaggio per l’altra parte, ma l’altra parte è il motivo per cui sei rimasto chiuso per quindici anni. Non è forse un’altra stanza in cui chiudersi a pensare? E a volte l’unico torto veramente grave che ci si auto-infligge è cercare di dare un nome alla ragione che ti ha messo di fronte a quel muro da prendere a pugni, quando non c’era quel nome e nemmeno lo cercavi perché l’unica ragione che avevi dentro non era trovare quel nome, ma prendere la via del corridoio per andare a vivere: ogni pugno e ogni calcio non hanno mai un nome quando l’unica cosa che desideri è trovare una via per smettere di colpire. cerchi quel nome e la ragione del torto che hai subito soltanto quando ti decidi a imboccare uno dei corridoi. Ma i corridoi diventano un’altra prigione perché non portano fuori dalle stanze e dai corridoi: significherebbe dimenticarsi di esistere e sarebbe meravigliosamente definitivo quanto letale. I corridoi sono un passaggio per trovare una buona motivazione che possa riportarci di fronte a quel quadro, per cercare di toccarlo ancora affinché le nostre mani e il gesto che facciamo per toccare il ritratto possano diventare il solco che non possiamo fare a meno di riconoscere: sentirsi una faccia in faccia. Ma a volte abbiamo stanze strette come corridoi e corridoi tanto larghi da sembrare stanze e questo non è un bene anche se non rende la cosa più facile o più difficile: è assolutamente ininfluente, ma è un dato di fatto che ci porta a cercare un ritratto da toccare anche nel momento in cui non c’è possibilità di farlo: non avere la possibilità di sentirsi una faccia in faccia. Le mani finiscono sul volto e sentono solchi, eventi, errori...che non possono riconoscere e la paura di sentire un volto che non puoi riconoscere genera la fuga: ma non sai più dove stai correndo. Vai verso il corridoio oppure stai ritornando nella stanza dei chiusi? Non puoi più saperlo e forse anche questo è assolutamente ininfluente. La cosa più importante che ho pensato è stata che io me ne sarei andato via, una volta fuori e questo pensiero ha condizionato la visione di tutto il film: mi ero illuso, in un certo senso, che ci fosse un buco, un passaggio che potesse portarmi fuori dal corridoio. Ma sono rimasto chiuso lì anch’io, fino alla fine e in fin dei conti mi sono pure divertito, a contare i passi del mostro, ma in realtà non ne avevo alcuna voglia. Anch’io parlo troppo ma che importa. Tutti parlano troppo e le parole di tutti quelli che parlano troppo si incastrano come le stanze dei chiusi, ma non ci sarà mai vendetta che tenga fino a quando, fra corridoi e stanze, non ci sarà quel passaggio dall’altra parte. Per me il film finisce su quel prato verde, dopo essersi voltati dall’altra parte. Il sole è abbagliante e c’è un vento fresco... e io non voglio uscire. Io l’ho sentito: era Vivaldi che strappava i denti alle persone. Io non voglio uscire. Il sole è abbagliante e c’è un vento fresco...
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