Nick: K|NT4RO Oggetto: Speriamo... Data: 14/7/2004 12.21.15 Visite: 42
A Napoli processo alla polizia Sequestro di persona e violenze sui no global, rinviati a giudizio i 31 della caserma Raniero I poliziotti imputati Tra loro due vicequestori della squadra mobile: uno, Ciccimarra, è alla sbarra anche a Genova per i verbali della Diaz. E spunta un precedente per l'accusa di sequestro Fu la prova generale del G8 di Genova, dalle cariche indiscriminate in piazza alle botte in caserma. E dopo tre anni sarà a Napoli il primo processo per le violenze delle forze dell'ordine contro i no global che contestavano i vertici internazionali nel 2001. Ieri pomeriggio la giudice Maria Picardi ha rinviato a giudizio trentuno poliziotti e fra loro i vicequestori aggiunti Fabio Ciccimarra e Carlo Solimene, per quasi tutti i cinquantuno capi d'imputazione relativi agli abusi della caserma Raniero Virgilio, compreso il sequestro di persona per undici imputati. Si comincia il 14 dicembre. A vario titolo c'è anche violenza privata, abuso d'ufficio, lesioni personali, danneggiamenti, perquisizione arbitraria e falso, reati commessi in danno di 85 persone che vennero «rastrellate» negli ospedali dopo gli scontri di piazza. Ciccimarra, 35 anni, già capo del nucleo antirapine della squadra mobile di Napoli, è imputato anche a Genova perché fu tra gli estensori dei verbali della scuola Diaz, quelli delle bottiglie molotov. Solimene (41) si è visto sbugiardato perché raccontava di aver lasciato la Raniero a fine turno, alle 14, ma poi ha chiesto il pagamento di cinque ore di straordinario, confermando così le deposizioni degli attivisti che l'avevano visto lì dentro, con Ciccimarra, per quasi tutto il pomeriggio. Come dirigenti rispondono anche per non aver impedito le violenze degli uomini (e di quattro donne) alle loro dipendenze. Erano tutti della squadra mobile, incaricata chissà perché al posto della Digos del trattamento dei «fermati», parola che va scritta tra virgolette perché nessuno - rilevano i pm Francesco Cascini e Marco Del Gaudio - si preoccupò di formalizzare fermi o arresti. Anzi chi venne fermato con qualche accusa (armi improprie o altro) alla Raniero non mise piede se non di passaggio, per essere invece consegnato alla Digos in questura. E intanto nella caserma andava in scena un repertorio di calci, pugni, sputi e insulti, in genere fascistoidi e sessisti, con minacce irripetibili e perquisizioni anali. Ci sono poliziotti accusati di specifiche lesioni personali, ma anche di danneggiamenti per la sottrazione del materiale video e fotografico che documentava le cariche in piazza, in particolare a due ragazzi di Indymedia. Nessuno è stato incriminato solo perché presente in caserma (erano 105): gli imputati sono stati tutti individuati nelle foto e poi di persona, con le garanzie dell'incidente probatorio. E sono stati risparmiati dalle indagini i dirigenti della questura, come l'ex capo di gabinetto Alessandro Marangoni che diede l'ordine di andare a caccia di no global negli ospedali, a quanto pare fin dalla riunione della sera precedente. Era il 17 marzo del 2001, a Napoli c'era il Global forum sull'e-governement. A Palazzo Chigi sedeva Giuliano Amato e il ministro dell'interno Enzo Bianco fece i complimenti alla polizia, nonostante le violente cariche e le denunce pubbliche di abusi in caserma, che certo non sfuggirono al Viminale. Quattro mesi dopo ci sarà Genova e Bolzaneto sarà il bis della Raniero: con qualche formalità in più, un'organizzazione quasi scientifica delle sevizie e la «co-gestione» con agenti penitenziari e carabinieri. La vicenda napoletana emerse un anno dopo, a fine aprile del 2002, quando il gip Isabella Iaselli ordinò l'arresto (ai domiciliari) per gli otto indagati raggiunti dagli indizi più gravi. Decine di poliziotti reagirono con un'inquietante catena umana attorno alla questura di via Medina. Qualche settimana dopo il tribunale del riesame annullò gli arresti, respingendo l'ipotesi di sequestro di persona così come era stata formulata dalla gip, che la riferiva tanto al «rastrellamento» quanto alla permanenza coatta in caserma. Giudizio confermato in cassazione che non si estende, però, ai capi d'imputazione confermati dai pm nella memoria depositata all'udienza preliminare: il «prelievo» negli ospedali è indicato tra gli abusi d'ufficio, mentre il sequestro di persona si riferisce soltanto alle ore successive. Ai diciannove manifestanti «trattenuti» in caserma, scrivono i pm nel capo d'accusa, «per un rilevante lasso di tempo (a partire dalle 12,30 fino alle 16,30) con modalità non compatibili con lo svolgimento di una qualsiasi attività istituzionale e svincolate dall'esercizio di un potere costruttivo anche erroneamente ritenuto esistente, costringendoli a rimanere per lungo tempo inginocchiati con la faccia al muro e le mani dietro la testa, minacciandoli ripetutamente di violenze fisiche, colpendoli e ingiuriandoli reiteratamente ed effettuando perquisizioni umilianti, di frequente accompagnate da violenti pestaggi, impedendo loro di comunicare con l'esterno e di ottenere l'assistenza di parenti e difensori», nonché alle «ulteriori, illegittime e ingiustificate restrizioni della loro libertà personale». C'è un precedente recente, sempre a Napoli: il tribunale del riesame ha appena confermato l'arresto, per abuso d'ufficio e sequestro di persona, di tre vigili urbani di Casavatore, comune vesuviano, accusati di aver preso e trattenuto nei loro uffici, senza formalità, l'autista di un pullmino per ragazzi disabili. A Genova, anche se per Diaz i reati sono apparsi senz'altro più gravi almeno da un certo momento, non è stata mai questione di arresti. E per Bolzaneto non si è mai pensato al sequestro di persona perché i provvedimenti d'arresto erano formalmente validi: ai 39 che rischiano il rinvio a giudizio è stato infatti contestato l'abuso di autorità su arrestati, pena massima trenta mesi, pallido surrogato di quel reato di tortura che il parlamento non ha ancora introdotto e che sarebbe tornato utile anche all'indagine napoletana. La verità è che le due procure hanno reagito in modo diverso a vicende simili. Di fatto non c'è mai stata collaborazione benché i pm fossero impegnati sullo stesso campo minato delle indagini sulla polizia, con le tensioni e le pressioni del caso. Ieri in aula a Napoli c'era anche il procuratore aggiunto Paolo Mancuso ad attendere la decisione della giudice Picardi, «una decisione importante - ha commentato - perché consente di fare un pubblico dibattimento e di sostenere le ragioni dell'accusa». Soddisfatto anche l'avvocato fiorentino Federico Micali, difensore degli attivisti di Indymedia che sono parti civili: «Era quello che doveva accadere». Dal 14 dicembre anche Napoli, come Genova e Cosenza, meriterà i riflettori e qualche nome grosso dell'avvocatura sui banchi delle parti civili. Anche perché dall'altra parte Sergio Rastrelli, legale di numerosi poliziotti, annuncia: «Chiameremo a deporre l'intera scala gerarchica, fino al ministero degli interni, per verificare se l'operazione di polizia fosse o meno legittima». Fonte: www.ilmanifesto.it
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