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Nick: gay-o
Oggetto: ricevo e inoltro... interessan
Data: 11/7/2008 20.16.32
Visite: 198

http://www.liberazione.it/giornale_articolo_ricerca.php?id_articolo=378722

Roma
C´è pure la televisione, per raccontare come la gioventù romana si
diverte a Trastevere il venerdì sera. L´ora dell´aperitivo. Le vie
attorno a piazza Trilussa gremite di persone. Cinque o sei bancarelle
di venditori ambulanti. Un ragazzo ha appena regalato un paio di orecchini
alla sua fidanzata. Le sirene della polizia colgono tutti
di sorpresa.
Non è un semplice controllo: tre macchine e una
camionetta vuota che ha tutta l´impressione di dover essere
riempita. È la prima operazione contro i venditori ambulanti dopo
l´entrata in vigore del decreto sicurezza, che amplia i poteri per i
sindaci in materia di ordine pubblico. Mi fermo ad osservare, come
molti altri.. Non è curiosità, la mia. È un istinto di controllo..
I poliziotti iniziano a sbaraccare i banchetti. Via la merce,
raccolta sommariamente nei lenzuoli su cui era disposta. Un agente
tiene un indiano stretto per il braccio, mentre dal suo viso trapela
tutto, la paura, la rassegnazione, fuorché l´istinto di scappare. È
ammutolito. Un donnone africano, del Togo, è invece molto più
loquace. Se la prende quando l´agente raccoglie violentemente i
lembi del telo a cui erano appoggiati gli orecchini e le collane che
vendeva. «fammi mettere nella borsa, almeno!» dice all´agente. «Non
scappo, non ti preoccupare, ecco il mio permesso di soggiorno». «Ma
perché tutto questo? - dice - non stavo facendo nulla di male».
All´agente scappa un sorriso, forse un po´ amaro: «è il mio lavoro».
Poi la donna incalza: «conosco la nuova legge. Ora mi fate 5.000
euro di multa. Ma perché non ci date un modo di fare questo lavoro
regolarmente?» Nessuna risposta dall´agente, che se ne va e lascia
il posto ad un collega, molto meno accomodante. «E muoviti, su!»,
dice senza accennare ad aiutarla a trasportare le sue cose. Lei, con
lo stesso sorriso sul volto, chiude la valigia arancione e con le
mani occupate dice «dove andiamo, di qua?», mascherando con
l´orgoglio la paura che in fondo in fondo le sta crescendo. Mantiene
l´ironia però, quando mi avvicino e le chiedo da dove viene. «Da
Napoli, bella Napoli, vero?», e intanto, mentre mi svela le sue vere
origini africane, si toglie gli orecchini: «questa bigiotteria non
mi serve più, stasera». Due metri più distante due ragazzini
italiani, con il loro banchetto in tutto e per tutto uguale agli
altri. Devono sbaraccare anche loro, ma gli agenti usano maniere
molto più educate. Non li tengono per le braccia, non gli ammassano
la merce. La ragazza raduna le poche cose che avevano in vendita.
Lui è allibito, terrorizzato, e inizia a parlare nervosamente: «ve
lo giuro, è la prima volta che vengo, lasciatemi andare». «Se
prendiamo loro dobbiamo prendere anche voi», risponde un agente. Ma
alla fine non sarà così. Il ragazzo si dispera, «sono di Roma, non
posso credere che mi trattiate allo stesso modo che a quelli lì».
Evidentemente è un discorso convincente. Si avvicina un signore in
borghese che è lì a dirigere l´intera operazione. «Dottò, Capitano,
Maresciallo, giuro che non lo farò mai più...». Si sbraccia, sembra un
bambino appena messo in punizione dalla mamma. L´uomo in borghese si
mostra irremovibile, ma si capisce subito che vuole solo dargli
una lezione, e appena gli altri fermati - 7 persone, tutte straniere
- non sono più a vista, lo lascia andare. A operazione conclusa vado
dal signore in borghese, mi presento, «sono un giornalista e ho
assistito alla scena. Perché avete fermato solo gli stranieri?»,
chiedo. La risposta è eloquente. «Portatelo via, identificatelo, e
controllate - aggiunge guardandomi negli occhi - perché ha l´alito
che puzza di birra». Già, la birra che stavo bevendo prima, e che mi
è andata di traverso con tutto quello che succedeva. Per fortuna non
è ancora reato, comunque. Mi portano in due verso il ducato dove
sono radunati gli stranieri, tenendomi strette le mani sulle
braccia. Non mi era mai successo, prima, ed è una sensazione davvero
sgradevole. «Questo per adesso è nell´elenco dei fermati» dice
l´uomo alla mia destra, anche lui in borghese, ad un collega. Spalle
alla camionetta, mani fuori dalle tasche, cellulare sequestrato.
«Perché avete fermato solo gli stranieri?». L´uomo con la polo rosa,
quello che mi stringeva da destra, mi risponde, anche se - dice -
non sarebbe tenuto: «perché questi sono tutti irregolari». Balle, ho
visto con i miei occhi la donna togolese dare il proprio permesso di
soggiorno al poliziotto, prima. Ma non mi aspettavo certo una risposta
veritiera. «Certo che non avevi proprio nient´altro di meglio da
fare», dice con sprezzo uno degli agenti. «Ho fatto una domanda,
voglio una risposta». L´uomo in rosa, che ha la mia carta d´identità
e sta scandendo il mio nome per radio si gira verso di me, «hai
finito di parlare?» grida. A quanto pare anche rispondere alle
domande costituisce un grave errore, e infatti un terzo poliziotto,
defilato fino a poco prima si indirizza a me dicendo «guarda che a
fare così peggiori solo la tua situazione». Chiedo di sapere i loro
nomi e gradi, come avevo fatto già con l´uomo in borghese al
principio, convinto che per legge sia un loro dovere identificarsi.
Un altro poliziotto - ma quanti ne ho attorno, quattro, cinque? - mi
da la sua versione della legge. «Vedi qual è la differenza, è che io
posso chiederti come ti chiami e tu non puoi chiedermi niente, chi
comanda sono io». Un suo collega aggiunge: «certo, se lo vuoi
mettere per iscritto è diverso, ma non te lo consiglio, la cosa si
farebbe piuttosto scomoda». La minaccia mancava, in effetti.
Interrompe la discussione l´uomo in rosa.. «Luca!», e con la mano mi
fa cenno di andare da lui. «Vuoi andare?» «Voglio una risposta
alla mia domanda», insisto. «Non hai capito - si spiega - hai voglia
di chiuderla qui questa storia o no?». «Non sono stupido, so quello
che mi sta dicendo, ma io voglio la mia risposta». Mi accompagna
lontano dal furgone, in piazza Trilussa. Davanti a me l´uomo che
comanda l´operazione, quello dell´alito puzzolente. Mi chiedo se
tornare da lui, ma mi rendo conto che nel gioco del muro contro muro
il suo è molto più duro. Aspetto ancora in piazza, osservo
l´operazione concludersi, fino all´istante i cui gli immigrati
vengono caricati sul furgone che si mischia al traffico del
lungotevere. Non c´è altro da fare, questa sera, se non raccontare
in giro quello che ho visto. Questa triste deriva, quest´inverno
italiano che avanza. Oggi inizia l´estate. Evviva.

(21 giugno 2008)
Luca Trinchieri luca.trinchieri@ yahoo

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