Nick: Allende Oggetto: Per me è finito il tempo di parlare Data: 19/7/2008 14.55.37 Visite: 748
"Ho capito tutto", andava ripetendo negli ultimi giorni di vita Paolo Borsellino. Aveva capito chi c’era e cosa si muoveva dietro e a fianco di Cosa Nostra, sapeva anche, dalle testimonianze dei collaboratori di giustizia, tra cui quella di Gaspare Mutolo, che vi erano uomini delle Isituzioni infedeli e che le indagini sulla morte del suo amico lo avrebbero portato anche fuori dalla Sicilia dove Cosa Nostra aveva i suoi complici occulti. Tutto ciò che aveva compreso e intuito e che intendeva riferire all’autorità giudiziaria, lo aveva minuziosamente annotato nella sua agenda personale. Un’agenda rossa, spiegano la moglie e i suoi collaboratori più stretti, da cui non si separava mai. L’aveva con sé mentre si trovava a Salerno; lo dice il tenente Carmelo Canale che divideva la stanza d’albergo con lui. Racconta di essersi svegliato molto presto e di aver trovato il giudice già intento ad appuntare dati e pensieri. "Cosa fa?" gli aveva chiesto scherzando "vuol fare il pentito pure lei?"... "Carmelo", gli aveva risposto gelido, "per me è finito il tempo di parlare. Sono successi troppi fatti in questi mesi, anche io ho le mie cose da scrivere. E qua dentro ce ne è anche per lei". - "Un giudice, mio fratello" di Rita Borsellino: Paolo era un uomo buono, un uomo che si poneva davanti agli altri da uomo. Diceva sempre: quando ti trovi qualcuno davanti non chiederti che cosa ha fatto, cerca l'uomo, prova a conoscerlo, perchè soltanto conoscendolo potrai capirlo e alla fine potrai amarlo; prima di puntare il dito per giudicare devi essere disposto a porgere la mano per aiutarlo a rialzarsi. Paolo non amministrava la giustizia, la amministrava perchè era il suo lavoro, quello che aveva scelto; però Paolo la giustizia la viveva, prima di tutto. Già da bambino aveva deciso di studiare giurisprudenza, perchè noi siamo nati e cresciuti in uno dei quartieri poveri di Palermo, il quartiere arabo, il quartiere dei pescatori, ma eravamo privilegiati, perchè eravamo i figli dei farmacisti, i nipoti, i pronipoti dei farmacisti. Ci conoscevano tutti e facevamo una vita dove non ci è mancato nulla. Ma vivevamo la vita del quartiere, vivevamo come i bambini del quartiere che erano i nostri compagni di scuola e di gioco. Ricordo quante volte Paolo ritornando da scuola batteva il piede a terra con rabbia e diceva, non è giusto, non è giusto che ci siano bambini che devono andare a lavorare, non è giusto che ci siano bambini che non hanno nulla da mangiare, bambini che si addormentano a scuola perchè sono troppo stanchi o che vengono rimproverati e emarginati perchè non hanno nessuno che li aiuti: e lui dove poteva si prestava, e sapeva anche mascherare certi gesti che erano sicuramente gesti di generosità nei loro confronti come gesti normali, di amicizia. Portava i compagni di scuola a casa e diceva: così facciamo i compiti e poi andiamo a giocare a pallone, ma era una scusa per poterli aiutare a fare davvero i compiti, a farli bene e in fretta. Poi andavano a giocare e mia madre preparava a questi bambini una merenda che spesso era l'unico pasto che avevano durante la giornata. Ma lui aveva la delicatezza senza far vedere che faceva una cosa speciale nei loro confronti. Una volta turbò mia madre perchè tornando da scuola le disse che non voleva più essere accompagnato dalla tata alla scuola elementare. E mia madre gli chiese il perchè e la tata gli confermò che da qualche giorno lui voleva che lei camminasse dietro, che non camminasse con lui. Mia madre lo rimproverò perchè pensava che fosse un gesto di orgoglio. Invece no, era un gesto di delicatezza, perchè gli altri bambini andavano da soli, lui non voleva avere qualcuno che si occupasse di lui fino al portone della scuola. Paolo aveva questa grande voglia di ristabilire degli equilibri, voleva che tutti avessero le stesse possibilità e non ci fossero tante persone più deboli, più fragili che dovessero subire le difficoltà della vita. E' nata lì la sua determinazione di studiare giurisprudenza: voleva che a tutti fossero garantiti gli stessi diritti. La vita gli ha poi dato responsabilità che lui ha accettato, che ha preso su di sè. Non si è mai dimenticato nè dei suoi compagni di scuola nè della vita che aveva vissuto. A volte, tornando a casa ci diceva: ti ricordi, quel compagno di scuola, quel ragazzo? Me lo sono ritrovato davanti, si è macchiato di delitti, anche gravi... perchè il nostro era il quartiere di una delle più potenti famiglie di mafia. E lui provava una sofferenza profonda e si interrogava: quando li ho persi di vista? Perchè non mi sono preso cura di loro? Ecco, Paolo era questo. Un uomo buono, un uomo generoso. E questa sua umanità l'ha portata nella vita, nella famiglia, nella professione. L'ha portata nei rapporti con gli altri; chiunque l'ha conosciuto sa di essersi sentito al centro della sua attenzione. In lui l'essere uomo e l'essere magistrato andavano insieme, erano la stessa cosa. Anche il giorno in cui è morto stava compiendo un gesto di amore perchè andava a trovare mia madre; lui sapeva coniugare perfettamente l'impegno con gli affetti familiari perchè non potevano essere due cose diverse: l'uomo, Paolo Borsellino, e il magistrato, Paolo Borsellino erano, in ogni momento, la stessa persona. Rita Borsellino, tratto da "Le parole e il silenzio". - qui il link ad un'intervista fatta a Manfredi Borsellino, figlio di Paolo: http://toghe.blogspot.com/2008/04/intervista-manfredi-borsellino.html - intervento a cura degli utenti Psyke e Allende. "¡Viva Chile! ¡Viva el pueblo! ¡Vivan los trabajadores!" [S.A. 11/09/1973] |