Nick: CASUALmente Oggetto: scugnizzi di camorra... Data: 4/11/2008 12.15.20 Visite: 198
NAPOLI - "Eravamo seduti sulla panchina davanti al circoletto di Salvatore. Li abbiamo visti arrivare. Io, in verità, non li ho nemmeno visti, gli altri li hanno visti arrivare, non io. Io ho soltanto sentito il rumore di un paio di motori pesanti. Mi sono girato in quella direzione. Avevano i caschi integrali e già mi sono allarmato. Dalle nostre parti, il casco non si porta, non è buono portarlo. Qui, al Rione Berlingieri, vogliamo stare tranquilli e vedere la faccia di chi passa. Se ti copri la faccia, può voler dire che hai cattive intenzioni, che non sei buono. Questione di secondi. Che dico? Attimi. Ho visto uno di quelli tirare fuori la pistola, dalla cintura dietro la schiena. Mi è sembrata lunga di canna come un fucile, non finiva mai di uscire... Sono scappato dentro il circoletto insieme agli altri..." Chicco, anzi O' Chicco come lo chiamano gli amici seduti intorno al letto al Centro traumatologico, è uno dei ragazzini che a Secondigliano, Napoli, se la sono vista assai brutta nella notte tra sabato e domenica. Un paio di tipi, con la testa nascosta nei caschi integrali, hanno scaricato le loro 9x21, forse Glock, forse Beretta, forse Sauer, comunque "armi da guerra", contro il pavimento e le mura di una stanzetta, il circoletto (un calcio balilla, un tavolo da "carambola", uno da "goriziana", un banco frigo con aranciate e cocacola, un paio di tavoli dove i più grandi, accanto ai più piccoli - spesso i loro figli - giocano la sera a carte, all'asso di mazza). I ragazzini, ce n'è uno di undici e un altro di tredici, se la sono cavata con poco, muscoli e ossa lesi o fratturati dalle schegge dei proiettili o dai proiettili. Qualcuno è stato già operato e ora, circondati da madri, zie, fratelli, cugini (mai un maschio adulto, un padre o uno zio), fanno la faccia seria seria come di chi ormai deve essere considerato, dopo quel che è accaduto, un uomo fatto. Come Andrea. Andrea - un soldo di cacio, con i capelli corti e due occhi neri come la pece - è così piccolo che lo hanno portato di filato all'ospedale pediatrico. Ha undici anni soltanto. Un proiettile gli ha attraversato il muscolo della coscia. Andrea, se soffre, non lo dà a vedere. Non vuole gente intorno. Non vuole estranei. Ti vieta, con la decisione di un guappetto che sa il fatto suo, di fare anche soltanto un altro passo nella stanza. Una piccola carogna. "O' zi', jatevenne...", dice. "Zio, vattene!". Andrea si tira a sedere al centro del letto, con il braccio indica la porta. Non sente ragioni. "Non vi voglio qui, non voglio nessuno, non parlo più con nessuno, jatevenne - o' zì - jatevenne nù poco a 'fanculo...". Due piani più sotto c'è il cugino di Andrea, Giuseppe, tredici anni. E' finito sotto i ferri. Il proiettile era fermo nella pianta del piede. Glielo hanno estratto qualche ora fa ed è ancora intontito dall'anestesia. Piagnucola mentre la madre gli infila una supposta e una zia, in tuta grigia, bercia che "ora basta, non si parla con nessuno". E' così convincente che la madre (ha cominciato a dire tutta la sua preoccupazione e pena per quel figlio che ha il padre alla "casa circondariale") tace come fulminata da un ordine. O' Chicco, sedici anni, riesce invece anche a sorridere, al Centro Traumatologico. Ha schegge nelle dita del piede destro. Ricorda la nuttata. "Quando sono arrivate le moto, siamo scappati dentro il circoletto. Mi sono buttato a terra dietro la "carambola". Sembrava un film d'azione e lo avevo visto fare tante volte in televisione che sapevo che cosa fare e come farlo. Mi sono buttato a faccia in giù. Poi mi sono accorto che Ciruzzo, il figlio di Salvatore, il padrone del circoletto - quello che ora dicono che volessero punire quelli con il casco, ma io non ci credo perché, è vero, che c'ha precedenti, precedenti per droga, ma è un buon uomo che non fa male a nessuno - Ciro, dicevo, l'ho visto lì in piedi come 'nu strunz', andare a destra e a sinistra, sempre in piedi il fesso, soltanto un po' piegato in avanti". "Allora mi sono alzato, l'ho preso per le spalle e l'ho spinto a terra che quelli già sparavano come pazzi. Ci volevano soltanto spaventare, è chiaro no? Noi ce ne stavamo a terra a faccia in giù con gli occhi semichiusi e quelli sparavano sul pavimento e contro il muro. Dicono che hanno sparato una quarantina di colpi, ma io non so è vero. Ho sentito soltanto una tarantella di fuoco e botti che rintronavano. Se avessero voluto, dico io, e l'ho detto anche ai poliziotti, ci venivano vicini piano piano, calmi calmi e ci sparavano in mezzo agli occhi o ci bruciavano le cervella. Chi glielo avrebbe impedito? Non lo hanno fatto perché non volevano farlo. E che ne so io perché ci hanno sparato? Non chiedetelo a me". "Io m'ero visto la partita della Juve - ché avevo giocato anche la bolletta - m'ero mangiato un cornetto caldo e me ne stavo lì sulla panchina prima di salirmene a casa. Che ne so io? Non chiedetelo a me. Io non mi drogo, non conosco nessuno che si droga o che vende droga, giuro. Che domande sono". Non è facile ascoltare (e tradurre) O' Chicco. Riesce a dire soltanto poche parole alla volta, impastate tra di loro. Mai più di quattro, cinque. Non completa mai un concetto. Lascia tutte le frasi sospese per aria, spesso incomprensibili anche se riesci a tradurre in italiano quel dialetto sporco, volgare, gergale che si fa fatica a dire "napoletano", che poi alcuni considerano non un dialetto, ma una lingua: se mai lo è stata, oggi certo non lo è più. O' Chicco non vuole essere reticente o tenere la bocca chiusa come Andrea. Anzi, sembra aver voglia di raccontare, forse anche per liberarsi della paura e ridere di quel è accaduto. A volte, ti sembra che stia raccontando la sua storia come la trama o la scena madre di un film o di uno sceneggiato. Chessò, La Squadra, Il Distretto di polizia. Il fatto è che O' Chicco è disabituato a parlare, a organizzare un discorso coerente e logico. Salta di palo in frasca. Dice quel che gli viene in mente. Pensa per immagini sconnesse a cui non sa dare ordine e in modo sconnesso e caotico te le propone. Sta a te metterle in ordine, se ne hai voglia e puoi farlo. "Non vado più a scuola. Ho fatto fino alla terza media. Non mi piaceva perché dovevo andare a scuola? Volevo lavorare. No, ora non lavoro. Ho cominciato a lavorare in una fabbrica di lampadari. Cromavo i pezzi, ma il lavoro non mi piaceva anche se guadagnavo 120 euro la settimana che - sì, è vero - non sono poi pochi con tanta gente per la strada. Ma poi mi sono subito sfastidiato. Bisogna alzarsi presto, la mattina. Ogni mattina, era un tormento. Così dicevo a mia madre: "Ma', oggi non ci vado ai lampadari, ma domani - vedrai - mi alzo e ci vado. Il giorno dopo, era la stessa storia. Alzarsi era una mazzata in fronte. Così dicevo a mia madre: "Ma', credimi oggi non ce la faccio, ma domani te lo giuro sulla Madonna ci vado". E' passato un giorno e poi ancora un altro e poi una settimana e poi due. E' finita che non ci sono andato più a lavorare. Perché mi chiedi se mi annoio? Non che non mi annoio, che domande. C'è la playstation. Io ci vivo azzeccato per buona parte della giornata. Poi me ne vado al circoletto. Lì ci sono tutti i miei compagni. No, che non ce l'ho il motorino, purtroppo. Per la terza media, mio padre me lo regalò, ma pochi giorni e me lo rubarono. Era costato 1.800 euro e mio padre ha finito di pagare il debito soltanto adesso. I miei compagni ce l'hanno il motorino. Manuele c'ha un bello Scarabeo, ma la maggior parte del tempo ce ne stiamo seduti sulla panchina, non in giro. Giochiamo un po' al bigliardino o a goriziana. Parliamo tra di noi. Di che cosa? E di che cosa vuoi parlare? Delle cose importanti. Dei vestiti, delle scarpe, dei jeans, della ragazze - io ce l'ho la ragazza -; del Napoli, di El pocho Lavezzi, di quel che mi piacerebbe comprare se avessi più soldi. Mi piacerebbe un paio di Hogan, originali però. O le Air Max della Nike, ma ci vogliono 130 euro. Un bel paio di jeans di Dolce&Gabbana con l'etichetta dietro, bella grossa. Magari un bel brillantino per l'orecchio. Vorrei farmi un altro tatuaggio. Ora c'ho solo questo qui sul braccio. Quattro lettere. Sono le iniziali dei nomi dei miei nipoti, dei figli delle mie sorelle. Poi ce ne andiamo a mangiare, io e i miei compagni. Un panino e dopo, prima di salircene a casa, un bel cornetto caldo o un bomba alla crema (O' Chicco tende già a una pinguedine che annuncia obesità, come i due amici che sono venuti a rincuorarlo con ammirazione). La televisione, la vedo poco. Non c'ho la capa. Mi sfastidio subito. Vedo Striscia, ma solo l'inizio per guardare come sono vestite le due veline. Vedo Zeling, Colorado, qualche film d'azione. Ma la televisione non è il genere mio o almeno non è per molto tempo. Non c'ho la capa, l'ho detto. Preferisco la playstation e compagni. E domani? Che domande sono? Lo so, prima o poi dovrò trovare un lavoro e alzarmi la mattina, ma chi lo ha detto che devo farlo subito? Ora poi, ho avuto questa cosa qui della pistolettata, mica possono andarmene a lavorare. Devo guarire, no?". Non c'è nulla di più noioso e inconcludente e inutile che parlare con questi "ragazzini" di Napoli. Avessero avuto anche la peggiore o la più soddisfacente delle esperienze, non ne conservano traccia, non sono in grado di afferrarla. Sono senza vita, senza sangue, senza cuore. Non hanno un'idea di se stessi, non hanno le parole per raccontarsi, anche a se stessi. Parli con uno ed è come se parlassi con tutti perché sono tutti uguali, tutti conformi, privi di identità, vuoti di una propria singolarità, anche se perversa. Fossero pure - e molti di loro, lo sono o presto lo saranno - criminali, vivono quella loro vita dannata come una rappresentazione, come un spettacolo. Non hanno esperienza di niente, non conoscono allegria o dolore, spensieratezza o ansia. La loro vita non gli appartiene. Sono fantasmi, figurine, povere caricature. Vivono frastornati, rincitrulliti dalle immagini, dall'apparenza. Vogliono vestire come vedono si vestono in tv. Vogliono ragazze come quelle che vedono in tv. Il loro mondo è fatto dalle immagini del mondo che vedono scorrere su uno schermo. Mimano i gesti di un calciatore. Parlano come parlano "i boss" che, a loro volta, si comportano come "i boss" dei film. Del futuro non si curano, come se la loro vita si dovesse concludere nel tempo di una puntata di telefilm, dunque sempre nel presente. Desiderano quel gli si dice debba essere desiderato. Un paio di scarpe può essere la felicità assoluta perché quel paio di scarpe ti rende uguale ad altri che a loro volta imitano altri, gente vista in una pubblicità, in un film, allo stadio. Derubati dalla capacità di distinguere la realtà dall'apparenza, nemmeno la sparatoria al circoletto ha scalfito la loro precoce segregazione nel mondo delle immagini. Quelli sparavano. Sembrava un film. Nessuno ha avuto paura. Nessuno lo ricorderà quando arriveranno le immagini della prossima pubblicità. sparisco nel buio e ricompaio di buon mattino, faccio Km vietati pur di starti vicino,ma di rischi ed ostacoli è ogni mio cammino, questo il mio futuro, questo il mio DESTINO! |