Nick: reduke84 Oggetto: Per chiarire un pò di cose. Data: 7/2/2009 14.57.33 Visite: 259
Intervista a Margherita Coletta, vedova del carabiniere morto a Nassiriya, che ha incontrato più volte Eluana di Pino Ciociola, Avvenire 4 febbraio 09
Cos’ha provato, Margherita, entrando nella stanza di Eluana? La prima volta mi sono fermata sulla soglia della sua porta. Pensavo di essere più forte. Ho respirato a fondo, poi sono entrata. Quando l’ho vista, abituata com’ero alle foto di lei ragazza, mi ha scosso, oggi è una donna. Ma poco dopo è diventato tutto così normale, come fossi a trovare una persona in ospedale. Anzi, ho sentito tanta dolcezza e nessun ribrezzo o pena. Né ho visto alcun 'sacco di patate', come qualcuno descrisse Eluana, ma una persona che è tutt’altro. Una persona. La sensazione più bella? Quando l’ho accarezzata. Con la sensazione netta, nettissima, che lei avvertisse le carezze. Certo è che pensavo d’andare a dare io a lei, invece ho ricevuto assai più di quanto le abbia dato. Cosa? La maggiore certezza nelle cose in cui credo. La consapevolezza che non si può ridurre una persona alla sua forma fisica. Lei che rapporto ha, Margherita, col papà di Eluana? Ci siamo confrontati tante volte, ma è sempre stato cortese con me. È convinto di quanto fa, forse perché non vede più Eluana come lui la vorrebbe. Ma a me pare evidente che in qualche modo sia stato plagiato da tanta gente alla quale non interessa nulla di Eluana. E lui ora è strumentalizzato, è finito in un vortice: ha anche momenti nei quali io credo vorrebbe tornare indietro, perché non pare convinto fino in fondo di quanto sta facendo, ma non ne ha la forza. Com’era trattata Eluana nella casa di cura lecchese? Come una regina. Le suore che le stanno accanto ogni giorno la curano, la lavano, la profumano, la portano a spasso sulla carrozzella. Addirittura la depilano, perché Eluana come ogni ragazza non sopportava d’avere peli sulle gambe. E come sta? Lei è una donna. Una donna di trentotto anni: ha la mia stessa età. Ha il ciclo mestruale come ogni donna. Apre gli occhi di giorno e li chiude la notte. Respira benissimo e da sola, serenamente. Il suo cuore batte da solo, tenace e forte. Ci sono momenti nei quali forse sorride e altri nei quali forse socchiude gli occhi. Ma quanti sanno davvero che Eluana non è attaccata a nessuna macchina? Quanti sanno che nella sua stanza non c’è un macchinario, ma due orsacchiotti di peluche sul suo letto? Che non ha una piaga da decubito? Che in diciassette anni non ha preso un antibiotico? La notte scorsa hanno portato Eluana a morire: lei, Margherita, cosa sta provando? Ho un pugnale dentro. Prego, spero fino all’ultimo che lui si renda conto di quel che sta facendo. Quanto sia sbagliato. Quanto non sia paterno. Quanto non sia umano. Io so che lui soffre dentro di sé, e tanto. Ci ha parlato appena ieri mattina: secondo lei cosa prova Beppino? Non so come possa vivere con un peso addosso come questo: Eluana da diciassette anni è in quelle condizioni, ma lui fino a ieri mattina non si era mai svegliato sapendo che sua figlia sta per morire. Perché invece con Eluana non ci sarebbe accanimento terapeutico? Ma Eluana non ha una malattia, non è terminale, non ha un dolore, non ha un macchinario nella stanza, non c’è nulla che possa far pensare ad un accanimento per tenerla in vita! È accudita, curata, amata. La si deve solamente aiutare a mangiare! Beppino però sostiene che la morte di Eluana servirà a liberarla... Liberarla da cosa? Come fa lui a sapere che lei è in catene? Una persona che soffre lo si vede. Non lo capisco proprio cosa voglia dire Beppino, cerco di sforzarmi, ma non ci arrivo.
Eluana tossisce! di Lucia Bellaspiga, Avvenire 6 febbraio 09 Mettiamoci nei suoi panni: un viaggio allucinato e allucinante. Di notte, su un’ambulanza, lui e lei da soli, costretti dallo spazio angusto a una vicinanza che non era mai avvenuta prima, per ore uno in compagnia dell’altro, muti in due silenzi diversi. Vicini, terribilmente vicini. Si sono incontrati così, Eluana e il dottor Amato De Monte, e lui ne è uscito «devastato»: per l’aspetto di Eluana – si è detto e ha fatto intuire lui stesso, ma senza spiegarsi mai troppo, lasciando vaghi i contorni della sua «devastazione» – o forse per qualcos’altro che in quel viaggio gli ha ingombrato l’anima come un fastidio sottile e insistente, che lui ha voluto scacciare ma ogni tanto ancora gli torna? Va, l’ambulanza, incrocia gocce di acqua e neve e i fari di altre vite viaggianti nella notte, ignare di quel carico di vita trasportato a morire, mentre Eluana dorme, perché questo fa di notte, da molti anni. Avrà vegliato, invece, il dottor De Monte, e quante volte avrà guardato quel sonno forse un po’ agitato dalla mancanza di un letto, sempre lo stesso da quindici anni, del tepore di una stanza, dei rumori e degli odori sempre uguali e rassicuranti, della carezza frequente di una suora? Poi è arrivata l’alba e un cancello si è inghiottito Eluana, nessuno l’ha più vista se non i volontari e il medico, ancora lui, taciturno con i giornalisti, scuro in volto, sempre frettoloso, anche la sera quando si allontana pedalando sulla bicicletta per le strade di Udine. Eluana mostra segni di agitazione... «Eluana è morta diciassette anni fa», aveva detto in quell’alba di martedì scorso, lasciando con sollievo l’ambulanza e quella strana compagna di viaggio che l’aveva devastato, lui, medico anestesista e rianimatore che chissà quante ne deve aver viste in vita sua... Ma dopo una notte ne segue sempre un’altra, e un altro confronto con Eluana, che morta non è e quindi si agita... Passa la prima notte, la seconda andrà meglio – si dice il medico – ma così non è, perché Eluana non pare più la stessa, poche ore fuori casa e qualcosa è già cambiato. Tossisce, Eluana. Tossisce? Tossisce, cerca aria e il conforto che non ha più Sì, tossisce, e di una tosse che squassa i suoi (forti) polmoni ma forse di più l’udito e le coscienze di chi l’ascolta e non sa che fare. Tossisce, si scuote, quasi si strozza e intanto, proprio come farebbe ciascuno di noi, tende a tirarsi su, cerca aria, solleva le spalle ma non riesce. Dove sono quelle mani che a Lecco sapevano sempre cosa fare? Perché non accorre chi immediatamente compiva quel piccolo gesto che dava sollievo? Eluana tossisce sempre più, una tosse che accenna ad essere ribellione di un corpo, che è richiesta, che è grido. Una tosse che, beffarda, sembra fare il verso a chi dice 'Eluana è morta diciassette anni fa': no, un morto non si agita nel letto sconosciuto. Gli infermieri-volontari provano di tutto, ma appartengono all’équipe di De Monte, conoscono a memoria il protocollo per farla morire, che ne sanno ora dei piccoli gesti che sono propri di una vita, di quella vita? Come si gestisce una «morta» che fa i capricci e nel solo modo che conosce pesta i piedi? Dovevano essere devastati anche loro, l’altra notte, se alla fine si decidono a fare il fatidico numero di Lecco e con nuova umiltà chiedono al medico curante di Eluana: come facevate a farla stare bene? Il protocollo che non può sostituire il calore umano Il dottore deve aver provato a spiegare come mai in quindici anni non era stato necessario aspirare il catarro (l’incubo dei disabili come lei), avrà indicato al collega le mosse da fare, ma il resto non poteva spiegarlo: accarezzatela, osservate il suo respiro e ascoltate il battito del suo cuore – si erano tanto raccomandati da Lecco quella notte lasciandola partire per Udine –, sono i tre elementi che vi porteranno ad amarla... Ma questo nel protocollo non sta scritto e nessuno lo può insegnare. Questo raccontano tra i sussurri dalla «Quiete», la casa di riposo in cui la notte è passata agitata un po’ per tutti. Inutile invece chiedere conferme alla clinica di Lecco: medici e suore hanno giurato silenzio e quella è gente che ha una sola parola. Tacciono e pregano. Ma a Udine avevano giurato sul protocollo di morte, mentre quella tosse di vita «devasta» già le prime coscienze. E il mio discorso più bello e più denso esprime con il silenzio il suo senso.. |