Nick: Bardamu Oggetto: re:il contrario Data: 21/2/2009 18.7.39 Visite: 31
per me si possono sposare in comune e lo stato deve consentirlo
in chiesa invece decide il papa
comunque tornando al testo di povia Dentro questa canzone povia, raccontando la storia di questo ragazzo, esprime la sua opinione sul mondo. Secondo Povia il gay non esiste. E' solo un comportamento sbagliato indotto da una cattiva educazione e nel testo viene spiegato chiaramente dove si perde sto ragazzo: "…mio padre non prendeva decisioni ed io non riuscivo mai a parlare stava fuori tutto il giorno per lavoro io avevo l’impressione che non fosse troppo vero….mamma infatti chiese la separazione…mamma mi parlava sempre male di papà mi diceva non sposarti mai per carità…" Insomma, questo è ricchione a causa dell’assenza della figura del papà e di una mamma troppo azzeccosa che impone la “scelta” omosessuale di Luca. Luca fa poi le cose zozze con un uomo in odore di pedofilia(hai visto mai che ci sparagnamo l'accostamento gay-pedofilo?) per compensare l’assenza della figura paterna e non va con le donne perché sua mamma ha sempre sconsigliato una relazione di coppia. Insomma, nel testo di Povia vengono accusati nell'ordine: gli omosessuali,le famiglie divorziate, il padre assente e la figura della mamma troppo presente. L’amore omosessuale viene visto come una relazione artificiosa volta a compensare un deficit di affetto di Luca. Invece l’amore eterosessuale è una relazione naturale dove il protagonista ritrova la sua per cosi dire "giusta inclinazione".
Questa al paese mio si chiama teoria riparativa (quella che associa l' omosessuale ad un malato) di Nicolosi.
"Nicolosi parla di terapia "riparativa" in quanto sostiene che le persone che presentano un orientamento omosessuale siano in realtà eterosessuali nei quali la naturale sessualità è stata deviata o impedita durante lo sviluppo da dinamiche psicologiche parentali. Riprende il filone dell'origine patologica dell'omosessualità come devianza cresciuta all'interno di un contesto familiare, non favorevole alla crescita psicologica della persona; l'omosessualità sarebbe una sorta di immaturità affettiva dovuta a una carenza o ad una eccessiva dominanza dell'affettività verso una delle figure genitoriali."
http://it.wikipedia.org/wiki/Joseph_Nicolosi Lo stesso Povia si vanta di guarire i ricchioni(ben due!)
Per me è un povero allucinato e come tutti gli allucinati mi fa paura.
La teoria di Nicolosi in certi passaggi i mi ricorda una lettera scritta da un gerarca nazista che sta girando da un po' di giorni su internet.
Rudolf Hoss, Comandante ad Auschwitz,
Già a Dachau gli omosessuali erano stati un problema per il campo, sebbene non fossero così numerosi come a Sachsenhausen. Il comandante e lo Schutzhaftlagerführer erano dell'opinione che fosse molto più opportuno suddividerli per tutte le camerate del campo, mentre io ero d'avviso contrario, avendoli conosciuti molto bene in carcere. Non passò molto tempo che da tutti i blocchi cominciarono a giungere denunce di rapporti omosessuali, e le punizioni non servirono a nulla, perchè il contagio si diffondeva dovunque. Su mia proposta, tutti gli omosessuali vennero allora messi insieme e isolati dagli altri, sotto la guida di un anziano che sapeva come trattarli. Anche sul lavoro vennero separati dagli altri prigionieri, e adibiti per un lungo periodo a lavorare con i rulli compressori, insieme ad altri prigionieri di altre categorie, affetti dal medesimo vizio. Di colpo il contagio del loro vizio cessò, e anche se qua e là si verificarono questi rapporti contro natura, si trattò sempre di casi sporadici. Del resto, costoro vennero sorvegliati rigorosamente nei loro alloggiamenti, in modo che ... non potessero ricominciare... . A Sachsenhausen, fin dal principio gli omosessuali vennero posti in un blocco isolato, e ugualmente vennero isolati dagli altri prigionieri durante il lavoro. Erano adibiti ad una cava di argilla di una grande fabbrica di mattonelle; era un lavoro duro, e ciascuno doveva assolvere una determinata norma. Inoltre, erano esposti a tutte le intemperie, perché ogni giorno doveva essere fornita una determinata quantità di materiale finito, e il processo di cottura non poteva essere interrotto per mancanza di materia prima. Così estate o inverno, erano costretti a lavorare con qualunque tempo. L'effetto di quel duro lavoro, che avrebbe dovuto servire a riportarli alla «normalità», era differente a seconda delle diverse categorie di omosessuali. I risultati migliori si ottenevano con i cosiddetti «Strichjungen». Nel dialetto berlinese erano chiamati così quei giovani dediti alla prostituzione, che intendevano per tal via guadagnarsi facilmente da vivere, rifiutando di compiere qualunque lavoro, sia pure leggero. Costoro non potevano assolutamente essere considerati dei veri omosessuali, poiché il vizio era per essi soltanto un mestiere, e quindi la dura vita del campo e il lavoro faticoso furono per essi di grande utilità. Infatti, nella maggioranza, lavoravano con diligenza e cercavano con ogni cura di non ricadere nell'antico mestiere, poiché speravano così di essere rilasciati al più presto. Arrivavano al punto di evitare addirittura la vicinanza dei veri viziosi, volendo in tal modo dimostrare che non avevano nulla a che fare con gli omosessuali. Molti di questi giovani così rieducati vennero rilasciati senza che si verificassero delle ricadute; la scuola che avevano fatto al campo era stata abbastanza efficace, tanto più che si trattava in maggioranza di ragazzi molto giovani. Anche una parte di coloro che erano diventati omosessuali per una certa inclinazione - coloro che, saturi di provare il piacere con le donne, andavano in cerca di nuovi eccitamenti, nella loro vita da parassiti - poté essere rieducata e liberata dal vizio. Non così quelli ormai troppo incancreniti nel vizio, cui si erano volti per inclinazione. Questi ormai non potevano più essere distinti dagli omosessuali per disposizione naturale, che in realtà erano pochi. Per questi non servì né il lavoro, per quanto duro, né la sorveglianza più rigorosa: alla minima occasione erano subito uno nelle braccia dell'altro, e anche se fisicamente erano ormai mal ridotti, perseveravano nel loro vizio. Del resto, era facile riconoscerli. Per la leziosità femminea, per la civetteria, per l'espressione sdolcinata e per la gentilezza eccessiva verso i loro affini, si distinguevano assai bene da coloro che avevano voltato le spalle al vizio, che volevano liberarsene, e la cui guarigione, ad una attenta osservazione, si poteva seguire passo passo. Mentre quelli che intendevano realmente guarire, che lo volevano fortemente, sopportavano anche i lavori più duri, gli altri decadevano fisicamente giorno per giorno, più o meno lentamente secondo la loro costituzione. Non volendo, o non potendo, liberarsi del loro vizio, sapevano benissimo che non sarebbero più tornati in libertà, e questo pesante fardello psichico affrettava, in queste nature in genere anormalmente sensibili, la decadenza fisica. Quando poi vi si aggiungeva la perdita dell'«amico», per una malattia o addirittura per la morte di questi, era facile prevedere l'esito finale; parecchi, infatti, si uccisero. L'«amico» era tutto per costoro, nel campo. Parecchie volte si verificò anche il doppio suicidio di due amici. Nel 1944 I'SS-Reichsführer fece compiere a Ravensbruck degli esami di «riabilitazione». Gli omosessuali della cui guarigione non si era perfettamente convinti, vennero messi a lavorare, come per caso, insieme a prostitute, e tenuti sotto osservazione. Le prostitute avevano il compito di avvicinarsi come per caso ad essi e di eccitarli sessualmente. Quelli che erano realmente guariti approfittavano senz'altro dell'occasione, senza neppure bisogno di essere stimolati, mentre gli incurabili non guardavano neppure le donne. Anzi, se esse si avvicinavano loro in modo troppo evidente, si allontanavano con manifesto disgusto. Secondo la procedura, a quelli che stavano per essere rilasciati venivano offerte occasioni di stare con individui del loro sesso. Quasi tutti rifiutavano questa possibilità e respingevano energicamente tutti i tentativi di avvicinamento dei veri omosessuali. Vi furono però anche dei casi limite, che accettarono e l'una e l'altra occasione. Non so se costoro potrebbero essere definiti dei bisessuali. In ogni caso, fu molto istruttivo per me poter studiare la vita e gli stimoli degli omosessuali di ogni genere e osservare le loro reazioni psichiche in relazione alla prigionia".
(Rudolf Hoss, Comandante ad Auschwitz, Einaudi) |