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Nick: asad
Oggetto: WALTER TOBAGI
Data: 16/9/2004 0.34.34
Visite: 90

Giornalismo e sindacato nella vita spezzata di un riformista
di Alessandro Bortolotti*

Tobagi deve morire! Sì, è giusto, ma quando? Subito, perché sta pensando e non deve farlo. Sta parlando e non deve permetterselo. Eseguite! Così un giorno di maggio del 1980 viene fermata la vita terrena di Walter Tobagi, con due colpi di pistola; gli assassini, poi scoperti, con sconcerto si rivelano provenienti da quella buona borghesia milanese che negli anni Settanta si è vestita con l'abito stretto della rivoluzione, salottiera e modaiola naturalmente perché il potere non cambia, conserva, non va contro se stesso, ma anche pronta a coprire ipocritamente i suoi figli che sbagliano. Per la storia, non fa male ricordare che una simile contraddizione l'aveva già colta anni prima l'occhio acuto di Pasolini, quando in occasione degli scontri di Roma a Valle Giulia tra studenti e poliziotti aveva bollato i primi come cocchi di papà, e identificato i secondi come portatori di una miseria antica, contadina, provenienti la maggior parte delle volte da un Sud povero ma non per questo meno fiero e onesto. Insomma i veri contestatori dovevano essere i contestati. Misteri italiani. Certo, c'è una bella differenza tra il lanciare qualche sampietrino e sparare per uccidere. Tobagi è stato sfortunato, due volte: perché ha avuto tolta la vita, sì, ma anche perché è morto inutilmente; ed è giusto aggiungere che conoscere i nomi dei suoi assassini è servito solamente alla giustizia dello Stato per irrogare la pena, per sanzionare dei colpevoli a metà. Perché la vera responsabile della morte di Walter e di molti altri innocenti è stata la follia che in quegli anni ha pervaso il nostro paese, inebriandolo di un rivoluzionarismo inventato che ha distrutto anime, coscienze e corpi; comunque, pur fatti salvi i fremiti post-sessantotteschi di una generazione in crescita, sacrosanti, non si può proprio negare che qualcuno su un paio di mattoni abbia costruito grandi palazzi. Già, i cattivi maestri. Ma Walter non li ha mai ascoltati, Walter ha avuto il coraggio di pensare da solo. Per questo è morto, per essere stato un giornalista e intellettuale mai uniformatosi agli schematismi ideologici dominanti in quel tempo .
La tragica ribalta gliela dà il lavoro al Corriere della Sera, grazie al quale diventa famoso e conosciuto aumentando la sua visibilità di opinion leader, proprio negli anni in cui la politicizzazione e la sindacalizzazione sono al loro massimo livello. Fatale combinazione. In ogni dove vi è un tat-tze-bao, una cellula, un nemico del popolo da colpire; nel giornale poi il clima pesante dei Settanta c'è tutto: dopo l'uscita di Montanelli, avvenuta nell'Ottobre del 1973, il potere dei comitati di redazione diviene via via sempre più forte; Tobagi vi arriva nel 1976, ed è quasi subito chiuso nel recinto dell'emarginazione quando si accorgono che è giunto un militante laico del pensiero, un autonomo. Oltretutto ben presto assume una rappresentanza sindacale nella FNSI (sarà eletto più tardi presidente dell'associazione lombarda dei giornalisti), battendosi per una maggior democrazia interna nei gruppi organizzati dei lavoratori all'epoca in mano ai soliti noti, a quei sacerdoti della nomenclatura politica che sono il sindacato. La tenaglia inizia a chiudersi intorno a lui. E il giornalismo ? Memorabili rimangono le inchieste sul terrorismo, che in quel tempo occupa la maggior parte degli spazi sia processuali sia di cronaca ; qui va in fondo, scava incessantemente alla ricerca di una verità che alla fine forse trova, orientando la sua azione nel cercare analiticamente le connessioni tra la c.d. società civile e i terroristi, soprattutto nei punti naturali di congiunzione, nelle fabbriche e nelle scuole. Inizia a dar fastidio a molti, anche perché tutto questo è amplificato in modo formidabile dall'importanza della testata sulla quale scrive, il Corriere della sera. Oltretutto sospetta delle posizioni di piena conformità assunte dal Sindacato, dalla politica, dai giornali, da persone che per troppo tempo non hanno voluto vedere ciò che stava nascendo: di un comportamento accomodante, insomma, che giudica subdolo e forse non proprio casuale.
Tobagi non si è mai sentito un giornalista da ufficio stampa, ma un cronista lucido nella analisi dei fatti e della realtà vissuta che puntualmente ha ripetuto ai suoi lettori; la lotta armata, i morti, sono state evidenze che non avrebbero potuto lasciarlo indifferente. Ha percorso tutta la lunga parabola del terrore, commentando tra i tanti casi quelli importanti di Giangiacomo Feltrinelli, Idalgo Macchiarini, Carlo Casalegno, e poi la nascita delle Brigate Rosse fino ad arrivare al delitto Moro. Già in precedenza redattore dell'Avanti!, per affinità si è avvicinato ai socialisti del dopo Midas, impegnati nella realizzazione di un nuovo progetto politico che si riprometteva nel tempo di restituire una rinnovata e concreta autonomia al vecchio PSI, troppo appiattitosi su posizioni vicine al partito comunista, al fine di porre termine a quel duopolio egemonico che aveva dato vita al compromesso storico; Walter ha creduto con entusiasmo nel nuovo corso socialista, in un indirizzo moderato pienamente in sintonia con le socialdemocrazie europee ma anche attento a mantenere forte l'identità nazionale. E vi ha creduto da vero riformista. (Egli fu in seguito accusato per questa sua simpatia di essere la lunga mano di Craxi nel mondo dell'informazione ; sulla base di quest'accusa si iniziò la campagna di odio nei suoi confronti . Ma non fu mai il servomuto del segretario, tant'è che rifiutò anche la tessera per mantenere quell'indipendenza che solo chi aveva deciso di far uso strumentale del suo operato poteva negargli -n.d.r.-).
Poi, qualcuno ha deciso di fermare per sempre la sua esistenza, la vita di un piccolo immenso frammento del nostro sciagurato paese. Quando è morto, gli amici più cari lo hanno voluto commemorare con queste belle e toccanti parole: "Uccidendolo non hanno sparato nel mucchio. Hanno voluto colpire l'uomo, la civiltà che egli esemplarmente rappresentava, democratica, della tolleranza e della cultura, del lavoro e della uguaglianza".
Il prezzo della libertà, lo sappiamo, è sempre stato alto. Walter Tobagi l'ha pagato tutto.




PERCHE' LUI?
di Leo Valiani*

Perché hanno ucciso proprio lui? Se lo chiese, e chiese a tutti, Filippo Turati, all'indomani dell'assassinio di Giacomo Matteotti. Perché lui, ancora giovane e non qualcuno di noi, già vecchio?
La domanda che Turati poneva, conteneva la risposta.
Gli squadristi del fascismo soppressero Matteotti, proprio perché era nel fiore dell'età ed avrebbe potuto combattere per molti anni ancora per la riconquista delle libertà democratiche, e per un avvenire consono agli ideali del movimento operaio socialista, della cui corrente riformista, rappresentata anzitutto dal vecchio Turati, egli (Matteotti) era il segretario energico, straordinariamente energico ed intransigente.
E’ evidente che non soltanto io non ho nessun titolo per mettermi, neppure lontanamente, sul medesimo piano di Turati, ma il nostro carissimo Walter Tobagi non avrebbe mai accettato di essere paragonato a Giacomo Matteotti. Rimane che Tobagi venne assassinato per lo stesso motivo per cui Matteotti era stato assassinato. Si voleva colpire in lui un difensore, coraggioso, tenace, nobile, della democrazia, un militante del movimento socialista, democratico dei lavoratori italiani, un militante che, per di più, si occupava seriamente, da studioso, dei problemi in questione, senza illudersi di poterli sublimare con la retorica.
Ho conosciuto dapprima Tobagi nella veste di studioso di storia del movimento sindacale. Con rara obiettività egli ne indagava tanto la componente socialista, quanto la componente cattolica. All'esordio dei suoi studi, al riguardo regnava ancora una certa atmosfera di manicheismo. Tutto il bene (e tutto il male) doveva stare da una parte o dall'altra. Dove stesse il bene e dove il male, lo decideva l'affiliazione partitica dell'autore. La neutralità non veniva ammessa e conduceva all'ostracismo. Si era, insomma, in clima staliniano, da «guerra fredda» culturale, da crociata ideologica. Tobagi, da storico, non si lasciò arruolare, né di qua, né di là. Studiava, scriveva, pubblicava non per il successo di una parte, e neppure di una tesi, ma per la ricerca della verità.
Mi sono trovato con Tobagi nella redazione del «Corriere della Sera», nel periodo degli «anni di piombo» del terrorismo che ne ha decretato poi la morte.
Era ammirevole la pazienza con cui, incurante del pericolo che, al pari di altri, egli pure correva quotidianamente, cercava non solo di scoprire chi erano i terroristi, ma altresì di conoscerli da vicino, di comprenderli. Sapeva e, diversamente dalla moda allora corrente, non cercava di nascondere che in maggioranza erano rossi e non neri (benché i neri non mancassero) senza, per questo, ricondurli genericamente al marxismo. Non ignorava che Marx era stato contrario al terrorismo praticato ai suoi tempi soprattutto dagli anarchici e che se il sistema instaurato da Lenin praticava già, in vita del suo fondatore, il terrorismo di stato, l'assassinio degli avversari come metodo fondamentale della lotta politica caratterizzò lo stalinismo. Vedeva, inoltre, le circostanze specifiche del terrorismo italiano. Uno dei suoi assassini, rimesso troppo presto in libertà, dopo la condanna eccessivamente mite, ha confessato poco dopo:
«se ci avessero fermati quando usavamo le spranghe di ferro, non saremmo arrivati a sparare per uccidere». La memoria corre di nuovo a Matteotti, che aveva sostenuto, in tempo utile, che l'impunità accordata agli squadristi (egli proponeva sin dall'inizio del 1921 di incriminarli per associazione a delinquere) li avrebbe resi eccezionalmente pericolosi.
l'Italia repubblicana non ha fatto, sotto i colpi del terrorismo, la stessa fine dell'Italia liberale sotto i colpi dello squadrismo. I politici, i sindacalisti, i magistrati, i poliziotti ed i carabinieri, i giornalisti, e le grandi masse del paese, hanno imparato qualche cosa dall'amara esperienza del primo dopoguerra. Se hanno saputo difendere la repubblica, lo si deve anche ad uomini come Tobagi ed al loro sacrificio. Buono, generoso quale era, se fosse rimasto in vita, Tobagi non se ne vanterebbe. Ma noi gli dobbiamo sempre un accorato omaggio.

*(Tratto da: Testimone scomodo. Walter Tobagi - Scritti scelti 1975-80, a cura di Aldo Forbice, Milano 1989)


P.S. .....per non dimenticare!







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WALTER TOBAGI   16/9/2004 0.34.34 (89 visite)   asad
   re:WALTER TOBAGI   16/9/2004 0.37.33 (31 visite)   DOCET
      Gianluca....   16/9/2004 0.41.25 (29 visite)   asad
   re:WALTER TOBAGI   16/9/2004 0.50.45 (26 visite)   notte (ultimo)

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