Nick: Viola' Oggetto: Imprinting Data: 6/10/2004 15.32.2 Visite: 216
La bambina passava molti pomeriggi dopo la scuola nella grande casa dei nonni. Una casa enorme, 10 stanze che affacciavano su piazza della Borsa. Essendo figlia unica aveva imparato a giocare da sola, era difficile che si annoiasse. La casa poi era perfetta, così enorme e così piena di nascondigli, dove potersi fingere una spia, una principessa in fuga, un pirata pronto a tagliare la gola a qualcuno… Comunque le sue stanze preferite eranole ultime due in fondo al corridoio: una era vuota da tempo, perché era stata quella della madre e dell’altra sorella sposata, l’altra era quella della zia più giovane, che viveva ancora con i genitori. La stanza della zia giovane era fantastica: mucchi di vestiti, collane, perline per fare le collane… la zia stessa era fantastica: sempre molto truccata e in minigonna, con immancabile sciarpa indiana al collo (era circa la fine degli anni ’70), studiava all’Università ma a casa non c’era mai, anche perché aveva un piccolo negozio a via Martucci che si chiamava "Arsenico", dove vendeva i vestiti che comprava a Resina e le collanine e i braccialetti che creava lei. Tornava sempre tardissimo, spesso i genitori mettevano il paletto alla porta e la lasciavano a dormire sul pianerottolo, ma la cosa sembrava non interessarle. Aveva un fidanzato capellone con la moto, che studiava anche lui all’Università e dipingeva strani quadri per i quali sta ancora aspettando il riconoscimento dello status di artista. E’ un tipo tenace, questo bisogna riconoscerglielo. Una volta la zia portò a casa un gattino che chiamò Mao (tse Tung), per via di una M che aveva sulla fronte. E un’altra volta un cane che chiamò Lazzarillo (come Lazzarillo de Tormes), che portava sempre in giro legato ad uno spago. Molte volte Lazzarillo fu l’unico spettatore delle interminabili sfilate con i vestiti troppo grandi della zia fatte davanti allo specchio, e gli toccò spesso anche di fare da seconda indossatrice, ebbene sì. Era un cane veramente brutto, molto magro e con continui attacchi epilettici, era dolcissimo e morì a 18 anni suonati, nella costernazione generale. Un altro giorno la zia portò a casa una bambola antica enorme, trovata chissà dove, che chiamò Ottilia, come la protagonista di "le affinità elettive" (la zia era un po’ svitata, bisogna dirlo). Il giocattolo preferito della bambina era la macchina da scrivere, faceva suonare il carrellino di continuo, finchè qualcuno le spiegò a cosa serviva, così alla fine lei imparò da sola a scrivere (e quindi a leggere) a circa 4 anni. Ottimo, visto che in camera della zia c’erano tanti libri, oltre a quelli che trovò appena iniziò ad andare a scuola (un po’ noiosi, in effetti), tra questi "la dialettica dei sessi", con foto di donne nude in copertina, che prometteva chissà cosa, e invece era solo un palloso trattato femminista senza illustrazioni. Poi "storie di acque, di boschi, di popoli" di Neruda. Dal titolo la bambina pensò che si trattasse di un libro di fiabe e se lo portò a casa, salvo scoprire che era tutt’altro. Ma non lo volle mai restituire, e ce l’ha ancora nella sua libreria (nonostante non le piaccia Neruda) E poi c’erano i fumetti. La zia comprava sempre "Linus", e all’inizio le uniche strisce che la bambina riusciva a leggere erano quelle dei Peanuts. Tratto semplice, didascalie brevi. Poi con il tempo anche altri: Altan, Doonesbury etc, e alla fine anche gli articoli, che quasi sempre non capiva, però li leggeva tenacemente lo stesso, cercando di ficcarsi in testa quante più parole possibili, le parole aprivano nuovi mondi, e lei era nata tremendamente curiosa. E poi la musica. La zia adorava Fabrizio De Andrè, e aveva tutti i suoi dischi. La bambina li metteva e li rimetteva, fino a consumarli, perché erano in italiano e li capiva, e poi perché alcune canzoni sembravano delle favole. "La canzone di Marinella", per esempio: "un re senza corona e senza scorta, bussò tre volte un giorno alla tua porta", ma la sua preferita era "Bocca di rosa", che lei volle cantare per forza davanti allae suore da cui andava a scuola, finchè le dissero che forse non era il caso. E quando chiese il perché le dissero: "perché parla di una donna cattiva", e lei continuò a non capire. Oppure si fissò con "la ballata della città vecchia": "vecchio professore cosa vai cercando in quel portone, forse quella che sola ti può dare una lezione", la cantava sempre, particolarmente se c’erano ospiti, finchè anche quella volta le dissero di finirla. Peggio ancora "Carlo Martello": "deh, proprio perché voi siete il sire, fan 5000 lire, è un prezzo di favor". E neanche questa gliela facevano cantare volentieri. Ma c’erano anche le canzoni d’amore: "con le nostre parole d’amore, non ci lasceremo mai, mai, e poi mai", e ogni tanto si augurava di poter scoprire un giorno cosa fosse "l’amore che strappa i capelli", magari con un re senza corona e senza scorta che bussasse un giorno tre volte alla sua porta. Poi c’era un disco del nonno, un disco di canzoni napoletane antiche cantate da Roberto Murolo, e quelle parlavano tutte d’amore: "cchiù luntan mme stje, cchiù vicin je te sent", "je te vogl bben assale, e tu nun pienz a mme". Parlavano quesi tutte di amore perduto, erano belle ma la riempivano di malinconia e di una strana nostalgia, nostalgia di qualcosa che non aveva ancora vissuto. Qualcuno dice che la nostalgia inspiegabile è solo un presentimento. Sempre tra i dischi del nonno c’era una raccolta di Mina, e fu così che per la prima volta ascoltò quella canzone, "il cielo in una stanza", "quando se qui con me, questa stanza non ha più pareti, ma alberi…" E fu quella tra tutte l’immagine dell’amore che scelse e si portò dietro per tutta la vita, semplicemente trovare il cielo in una stanza. Il balcone della stanza vuota affacciava sulla fine di Corso Umberto, angolo Piazza della Borsa, e siccome si era alla fine degli anni ’70, come già detto, quasi ogni giorno c’era un corteo. Erano cortei lunghissimi, molte volte dalla stazione alla piazza era un unico fiume di persone, ed era un unico fiume di bandiere rosse. Slogan, striscioni, e rosso dappertutto. La bambina era capace di stare ore ed ore incantata a guardare quel fiume, cercava di scrutare i volti di quelli che passavano, e un po’ sembravano incazzati, un po’ sembravano felici. Sì insomma: ogni tanto ridevano e si abbracciavano. E allora la prendeva un desiderio fortissimo di stare in mezzo a loro, specie quando ogni tanto cantavano tra le tante la canzone che la zia le aveva insegnato: "Bandiera rossa", e così la cantava con loro, lei piccola che a stento arrivava al davanzale, loro giù in strada,tanti, tantissimi, che parevano una cosa sola. E così, riassumendo, l'imprintig che lei ricevette fu: una ragazza capatosta e ribelle come modello ideale. La dolcezza degli animali. Il valore delle parole scritte. Linus. Le canzoni di De Andrè. Le canzoni napoletane antiche. Il cielo in una stanza. Le bandiere rosse. ps. ja, siate buoni che oggi è pure il mio compleanno ;)
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