Nick: Coatlicue Oggetto: L'amore a tavolino Data: 12/10/2004 13.1.18 Visite: 212
Non posso crederci che siano trascorsi già dieci anni. Mi sto avvicinando ai quaranta, ho due bambini che sono la mia gioia, ho pubblicato alcuni libri dei quali sono più o meno soddisfatta, ed ho un marito che non mi fa mancare nulla. L’unica cosa che manca è la passione, che mi illudo di trovare in qualche stanza d’albergo tra braccia e corpi diversi. La passione è un ingrediente fondamentale, lo so. Ma mi adeguo. Non ho detto che mi accontento. Mi adeguo e basta. Non sono una cattiva moglie né una cattiva madre. Sono anche una perfetta amante, una di quelle che non avanza pretese assurde. Insomma non lascerei mai mio marito e i miei bambini per una passioncella da quattro soldi, perché, credimi, non c’è davvero nessuno per cui valga la pena. Per questo ti dico che mi adeguo. Mio marito è quel famoso ex di cui ti parlavo quando io e te dividevamo il sonno, il cibo, i libri e pensavo che la felicità fosse passare domeniche mattine a leggere poesie e fare tardi nel letto. Si proprio quel tipo apatico, amebico che tanto bistrattavo. I casi della vita eh? Si è rifatto vivo subito dopo "noi", mi ha offerto sicurezza, stabilità e benessere economico. Ed io ormai ero così disillusa da tutto e da tutti che l’ho riaccolto tra le mie braccia ed il passaggio dal letto all’altare è stato rapido e indolore. Abbiamo una bella casa, lui ha un ottimo lavoro, io scrivo e mi occupo dei bambini. Ti ho ritrovato in una vecchia foto che avevo messo in un libro. Non un libro qualsiasi. Vuoi un piccolo aiuto? Va bene: te lo consigliai come prima lettura di quell’autore dagli occhi a mandorla che mi faceva e mi fa impazzire. In questa foto siamo giovani, abbiamo gli occhi grandi e luminosi, anche se di colori di versi. La tua mano è sulla mia spalla. Io sorrido. Se chiudo gli occhi ricordo il tepore del sole e la nostra gioventù piena di belle speranze stesa sull’erba a sognare tramonti greci. Decidemmo l’amore a tavolino. Come quando fanno con le squadre di calcio se un evento disastroso mira e nuoce al "fair play". Nel nostro caso, però, nessuno aveva giocato sporco. Semplicemente avevamo deciso di non scendere in campo. L’evento disastroso fu la distanza. La non quotidianità. Vivevamo un rapporto "monco" perché eravamo lontani. Vani furono i tentativi di ovviare questo problema, ma restava il fatto che il non poter concederci frequentazioni assidue divenne deleterio. Gli altri ci riuscivano. Noi no. E pensare che forse poteva essere solo una situazione transitoria. Forse bastava lasciarsi andare di più, essere più leggeri, mischiare più volte la pelle fino a fonderla per non sentire il dolore della lacerazione. Ricordo ancora il nostro "ultimo" giorno. Fu subito dopo il tuo compleanno, lo avevamo trascorso insieme dedicandoci una serata fortemente etilica come solo noi sapevamo fare. Baci, risate, ore a parlare di nulla e di tutto. Poi l’amore. E fu diverso farlo quella volta. Il tuo corpo già non mi apparteneva. La pelle si era del tutto staccata. Dormii male, anzi non dormii per nulla. I miei occhi a fissarti per imprimere nella mente ogni sfumatura del tuo volto. Tutti gli obiettivi del mondo non avrebbero potuto fotografare ciò che io vedevo realmente. Quasi come fosse un tacito assenso diradammo le telefonate e le lettere e inventavamo mille scuse per non vederci. Misi in una scatola rossa le poche cose che parlavano di te, promisi falsamente a me stessa di non pensarti più e mi iniziai seriamente a scrivere. Adesso è il mio mestiere. Sono una scrittrice di successo. Molti mi chiedono da dove traggo fonte di ispirazione. Semplice: da quel "noi", da quell’energia inesauribile che mi davano i nostri scambi di qualsiasi natura. Chissà se capita ogni tanto anche a te, se faccio capolino tra le pieghe della memoria, se anche tu ogni tanto rivedi i nostri occhi. Intorno ci sono un po’ più di rughe, ma il mio sguardo e fondamentalmente lo stesso. E il tuo
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