Nick: DE_SADE Oggetto: italiani infoibati Data: 17/11/2004 22.42.0 Visite: 162
Foibe: il "buco nero" della storia di Paolo De Marchi La pulizia etnica per eliminare gli italiani in lstria, Dalmazia e nel Friuli Venezia Giulia. Alla fine della Il guerra mondiale, per opera dei partigiani comunisti jugoslavi. Migliaia di vittime - tra loro diverse decine di sacerdoti - gettate nelle foibe. In un acuto e pungente saggio pubblicato nei mesi scorsi (Il partito degli intellettuali, Laterza, Bari, 2001), Pierluigi Battista dimostra come gli intellettuali italiani, o per lo meno la grande e più appariscente maggioranza di loro, "abbiano contribuito a stendere una fitta coltre di nebbia sulla realtà storica del comunismo, occultando, minimizzando o marginalizzando tutto ciò che tornisse una versione non edulcorata o reticente dei sistemi dove era in vigore il cosi detto socialismo reale". L’analisi è impietosa — anche perché gli intellettuali "di un paese dove è cresciuto il più grande partito comunista dell’Occidente" avrebbero dovuto, per esercitare davvero il loro mestiere, fare luce e non aumentare il buio — ma non può non essere condivisa, anche se bisogna riconoscere che non sono mancate, di fatto, voci discordanti dal belato comune, le quali hanno avuto peraltro un’eco abbastanza scarsa. E in effetti sono moltissimi i temi su cui la vulgata di stampo comunista ha prevalso, e prevale ancora oggi, nonostante la caduta del muro di Berlino e una maggior conoscibilità della verità dei fatti. Alcuni temi, poi, sono rimasti praticamente tabù: e mentre su alcuni, come la morte di Mussolini, le fosse Ardeatine, i finanziamenti sovietici al Pci, qualche barlume sta faticosamente apparendo, su altri, come il Triangolo della morte (di cui abbiamo già parlato su queste pagine) o le foibe istriane, è ancora buio pesto. Sulle foibe, in particolare, la letteratura è scarsissima: a parte quanto richiamiamo nella bibliografia, restano molle testimonianze personali di qualche scampato, e qualche studio del genere del samizdat pubblicato quasi clandestinamente, fuori di ogni circuito regolare (basti pensare che nemmeno Il libro nero del comunismo ne parla, anche se pare che l’argomento troverà posto nella seconda edizione). La conseguenza è che parlare di ‘foibe’ è ancora come parlare di qualcosa di mitico o di leggendario, tanto che un consigliere comunale di Pisa, il diessino Paolo Fontanelli, ha potuto dichiarare tranquillamente — per respingere la proposta di intitolare una strada ai "martiri delle foibe" — che queste sono solo "una credenza". E invece si tratta di una realtà terrificante, al di là di ogni immaginazione: si tratta cioè degli eccidi di massa operati in lstria dai comunisti di Tito tra il settembre 1943 e il maggio 1945, con propaggini peraltro fino al 1947. Eccidi che il vescovo di Trieste mons. Antonio Santin definì "un rigurgito di pura bestialità", attuati con feroce determinazione contro tutto ciò che era italiano, in un disegno preciso di slavizzazione del territorio. Le foibe sono cavità caratteristiche dell’altopiano carsico (ne esistono circa 1700, di dimensioni varie, alcune delle quali sprofondano per centinaia di metri). Le vittime, prelevate di notte, senza distinzione di età, di sesso, di ceto, di condizione, colpevoli solo di essere italiane, venivano pestate a sangue e spesso torturate, e poi legate in gruppi con filo spinato, e gettate — per lo più ancora vive o solo ferite - negli abissi di queste caverne. Sono molte migliaia le persone trucidate in questo modo, mentre i sopravvissuti sono pochissimi. Uno studio pubblicato su Storia illustrata del giugno 1983 fa un elenco di nomi, tratti dal libro Il Martirologio delle genti adriatiche, scritto nel 1959 da Gianni Bartoli, ex sindaco di Trieste: sono 4361 persone, di cui 2916 civili. Ma certamente moltissimi altri — che resteranno ignoti per sempre — vanno aggiunti alla lista. Padre Rocchi, che ha studiato l’argomento più a fondo di chiunque altro, calcola le vittime in circa diecimila. Solo a Basovizza, per esempio — originariamente un pozzo di miniera profondo oltre trecento metri — fu ritrovato un blocco di resti umani di qualche centinaio di metri cubi: le salme estratte furono seicento, ma le ricerche non sono mai state concluse (e l’interesse per la tragedia è stato tale, che alla cerimonia di commemorazione delle vittime, tenutasi nel 1959, parteciparono solo autorità rigorosamente locali, per non turbare i buoni rapporti con il maresciallo Tito). Fra i trucidati, come sempre, troviamo molti sacerdoti, sentiti come il nemico numero uno, rei di "aver intrapreso una aperta campagna contro di noi" (come si legge in una relazione riservata della polizia segreta iugoslava): un nome solo, a titolo di esempio: quello di don Angelo Tarticchio, parroco di Villa di Rovigno, torturato orrendamente prima di essere ucciso, la cui salma è stata ritrovata fra le ventitre di Villa Bassotti. Ma la tragedia istriana non finisce qui, perché si è prolungata nell’esilio volontario cli oltre 350.000 persone, di ogni categoria sociale, che si rifugiarono in Italia abbandonando ogni cosa, pur di sfuggire alla pax comunista. Un fatto, in particolare, aggiunge un tocco di assurdo alla tragedia: il fatto che molti dei responsabili dei massacri sono stati individuati: Oskar Piskulic, il capo della polizia politica di Tito, l’Ozna — cui in definitiva risalgono gli ordini di quanto accaduto — vive ancora, ottantenne, vicino a Fiume: e altri dei carnefici, come lvan Motika e Avijanca Margitic, sono morti recentemente, senza che sia stato possibile portare a termine un regolare processo (e anche la vicenda del processo in corso, iniziato nel 1994 con il rinvio a giudizio di Piskulic e ostacolato in tutti i modi fino alla rimozione del pubblico ministero dopo anni di indagini, è assolutamente paradossale. Questo l’orrore, che qui abbiamo solo sfiorato: un orrore indicibile, che è — secondo le parole di Gianluigi Da Rold — un vero "buco nero" della storia italiana: il quale, "oltre che un crimine tuttora impunito e accantonato, resterà sempre testimonianza dell’ipocrisia, del cinismo e dell’onore gettato nei fango da molti italiani, soprattutto di sinistra". Basterà ricordare, a conferma di queste parole, un recente articolo di un giornale della sinistra triestina, Il lavoratore, secondo cui "gli episodi delle foibe istriane, accaduti nel 1943 (!), si riferiscono a sporadiche anche se dolorose manifestazioni popolari spontanee (sic!) di ribellione e vendetta da parte delle popolazioni di quei paesi che avevano dovuto fra lutti e dolori immensi subire il fascismo e il nazismo": e questo non è che uno fra i mille esempi di quella "lingua di legno", come diceva Orwell, che è tipica dell’etica comunista, e che è fatta di reticenza, di manipolazione della verità e di tentativo di rimozione della memoria storica. Siamo insomma di fronte a una delle innumerevoli vicende della storia d’Italia, e toccarla costituirebbe "un attacco alla Resistenza" (come ha affermato il senatore Gaiani, presidente dell’Anpi, per liquidare il dibattito sulle foibe e ostacolare la relativa inchiesta giudiziaria), e sarebbe in definitiva (orrore!) bieco revisionismo. Ma come è stato detto tante volte, la vera storia non può essere che revisionista, se vuole davvero approfondire le indagini sui fatti e la loro analisi. A quando, sui libri ma soprattutto nelle coscienze, la verità sulle foibe? http://www.kattoliko.it/leggendanera/comunismo/foibe.htm
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