Nick: NEVERLAND Oggetto: Milano Calibro 9 Data: 30/11/2004 19.47.53 Visite: 94
Benissimo, eccoci qui per un nuovo e Cultissimo thread, dedicato al Cinema Segreto Italiano. Oggi tocca al capolavoro assoluto di Fernando Di Leo:
Milano Calibro 9 (1972 - Fernando Di Leo, Italia, 97 Minuti, Colore). Uscito a Novembre in DVD, restaurato e rimasterizzato in digitale per la RaroVideo e Nocturno, ieri ho potuto finalmente gustarmi questo eccelso Noir Italiano. "Il più grande noir Italiano di tutti i tempi." Quentin Tarantino
E si perchè Milano Calibro 9 è un noir e nn il solito "poliziottesco" all'Italiana con i vari Milian, Merli e Merenda. Qui infatti il tono è molto più drammatico e si predilige dare spazio alla psicologia dei personaggi piuttosto che agli inseguimenti in Giulietta o alle violenti sparatorie e scazzottate macchiate di sangue (anche se qualche perla di violenza nn manca).
Milano Calibro 9 (girato nel 1971 e uscito l'anno successivo) è il primo capitolo della celebre "Trilogia del Milieu", continuata da "La Mala Ordina e conclusa da "Il Boss", nel corso della quale Fernando di Leo esplora i vari aspetti del mondo della criminalità organizzata. Il titolo del film è debitore di un racconto di "Giorgio Scerbanenco" contenuto nella raccolta "I Centodelitti", e sempre dallo scrittore russo derivano alcuni spunti di sceneggiatura ("Stazione centrale ammazzare subito per il pacco bomba", "Vietato essere felici" e "La vendetta è il miglior perdono" per alcuni caratteri del protagonista Ugo Piazza). Ma in sostanza si può dire che di Leo abbia costruito il proprio film in assoluta autonomia, utilizzando la categoria del noir per un personale discorso sociologico e antropologico, oltre che filosofico, sull'universo delinquenziale.
La riuscita perfetta di Milano Calibro 9 passa anche attraverso l'uso accorto degli attori, in particolare Gastone Moschin, che per la prima volta nella carriera si cimentava in un ruolo drammatico, Barbara Bouchet, nella cui bellezza il regista trovò riflessi di ferocia adatti al suo personaggio, Mario Adorf, artefice di una caratterizzazione memorabile nella parte del violento e sardonico "Rocco Musco" e Lionel Stander, che inaugura la tradizione dei grandi interpreti hollywoodiani adottati da di Leo nei propri noir. Ma vera protagonista del film è la città, Milano, che si affranca da una pura funzione di sfondo alla vicenda narrata diventando un centro nevralgico di lotte intestine tra la malavita e interessi economici sporchi. Notevole infine la colonna sonora, composta da Luis Bacalov ed eseguita dal gruppo degli Osanna, che commenta magnificamente l'alternarsi di crudeltà e lirismo alla base di quello che giustamente si considera il capolavoro di Fernando di Leo.
:: Trama :: Milano: Ugo Piazza, un ex bandito, appena uscito dal carcere di San Vittore trova ad attenderlo i suoi vecchi compari, guidati dallo spietato Rocco Musco e al soldo di un boss chiamato "l'Americano". Costoro sono convinti che Ugo si sia fregato trecentomila dollari prima di venire arrestato e stanno col fiato sul collo all'uomo in attesa che egli compia un passo falso. Ugo è anche nel mirino di un commissario di polizia che vorrebbe incastrare, col suo aiuto, l'Americano...
Il film propone una galleria di personaggi caratteristici della società degli anni della contestazione, come "Ugo Piazza" (Gastone Moschin) dagli occhi di ghiaccio e dalla mente lucida, l'imponente e grintoso Mario Adorf ossia "Rocco Musco", uomo d'onore e fedelissimo dell'Americano, la bellissima e traditrice "Nelly" interpretata da una sensuale Barbara Bouchet, e "Chino" (Philippe Leroy) killer di professione solitario e misterioso. Tutta la trama ruota attorno alla scomparsa di 300.000 dollari, provenienti da traffici loschi gestiti dalla mala, forse rubati da Ugo Piazza o da Rocco Musco o da qualcun altro, che porteranno solo morte, la morte di tutti tranne quella di Rocco. Di forte impatto è lo scontro ideologico tra i due commissari che si occupano del caso "Americano" a Milano, uno di destra che crede in una violenza deterrente alla violenza, e l'altro di sinistra per il quale la criminalità è solo l'effetto più devastante di una causa immensamente più complessa, radicata nelle maglie del tessuto sociale dei paesi occidentali.
L'ultima immagine di Milano Calibro 9 è una sigaretta che lentamente si consuma. Una sintesi perfetta dello spirito di tutto il film. I personaggi, quelli "buoni" e quelli "cattivi", o meglio: quelli all'apparenza "buoni" e quelli sicuramente cattivi, si sono consumati pian piano, come quella sigaretta, nel corso della vicenda. E' un processo che parte lento e del quale lo spettatore non si rende quasi conto, ma che man mano che avanza si fa sensibile fino a culminare in un vortice dal quale niente e nessuno viene risparmiato.
Moschin è segnato fin dal momento in cui, appena fuori da San Vittore, quell'ignota sagoma rossastra ne spia i movimenti, la macchia di colore prevarica le tinte autunnali che dominano nel resto della pellicola, è un elemento estraneo e minaccioso inserito su consiglio dello scenografo-costumista Francesco Cuppini. Ma di Leo è astuto a non lasciare il tempo di riflettere e a depistare con la roboante entrata in scena dei vecchi compari. Eppure, di quando in quando, quel filo pendente riappare, discreto, ai margini dell'azione, svelandosi finalmente per un cappio che qualcuno è andato man mano stringendo intorno al collo dello scaltro Ugo Piazza e che lo fregherà, per un beffardo contrappasso, nella più ingloriosa delle disfatte. Gli estremi fotogrammi di pellicola testimoniano come la categoria del noir, di questo noir, sia straordinario strumento d'indagine filosofica, dopo che sociologica e antropologica.
Nel precipitare finale di tutto, il gioco delle apparenze su cui si è retto il film, su cui si regge la vita, collassa, trasformando le implicazioni scontate nel loro esatto contrario: la furbizia in fesseria, l'amore in tradimento bieco, l'ostilità in rispetto.
Fondamentale, la scelta degli attori, intelligente sia per i ruoli chiave che per quelli minori, dove il ritratto icastico eccelle sempre, anche con pochissimi tocchi. Gastone Moschin, per la prima volta sfruttato al di fuori del genere comico, si rivela un sensibile interprete, perfetto per la maschera granitica (un pò da duro un pò da buono) di Ugo Piazza. Un uomo del "Nord", freddo, calcolatore, imprevedibile, con un'unica debolezza: quella, appunto, in cui il destino farà breccia. Adorf è il suo controcanto mediterraneo, la forza in movimento, bruta e irriflessa, tanto quanto Ugo ne incarna la potenza statica.
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