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Nick: NEVERLAND
Oggetto: Le Sere, Ti Stavo Ad Aspettar
Data: 21/1/2005 13.30.21
Visite: 149




Oggi voglio incollarvi una storia, la storia di una canzonetta (si una di quelle canzonette che molti di voi odiano), di una guerra e di come uno struggente respiro d'amore piombò su tutti i campi di battaglia.


Teorie elitiste, culto della forza, supremazia della razza, arditi, sigfridi, lupi, volpi, sparvieri, leoni, orsi, tutti colpiti al cuore, nei sentimenti, nelle passioni umane, all'improvviso tutti uniti da una canzone, tutti uniti da Lilì.


"Tutte le sere...ti stavo ad aspettar..."


Nietzsche disse:
"spesso gli uomini, quando creano qualcosa, anche se loro non lo sanno, quel qualcosa va al di là di se stessi". 


Lo sconosciuto autore, Hans Leip in quel lontano 1914 non avrebbe infatti mai immaginato il destino riservato al suo testo, lo stesso per Norbert Schulze che la musicò.
La quasi sconosciuta Lale Andersen che la incise nemmeno.
E che dire di quell'ufficiale Richard che alle 22 del 10 febbraio 1942 scelse quel disco per metterlo in onda...



"Chi crede  a un certo punto di aver trasformato l'uomo e l'intera società in un efficiente formicaio che vorrebbe regolare a suo piacimento, fallisce, perché non solo non ha capito l'uomo, ma non conosce nemmeno le formiche.
Scesero in guerra i popoli di oltre 50 nazioni con l'ordine di scannarsi a vicenda;
ma irrazionali come sono gli uomini, assediati  e assedianti si misero a cantare tutti la stessa canzone".
Non sono affatto inutili tutti i comportamenti umani che non hanno una razionalità e sono solo guidati dai sentimenti.
E per fortuna che ogni tanto nella grande storia dell'umanità ci sono anche queste contraddizioni;
ma sono del resto queste che ci distinguono dagli animali e spesso anche dal capo branco che "illuso" ci vorrebbe guidare. 


Una semplice canzone è andata molto al di là di un ingenuo e romantico messaggio sentimentale da inviare al proprio uomo in guerra.
Solo per questo motivo era del resto nata la canzone;
non per esaltare, ma nemmeno per avvilire, era solo una metaforica carezza di una donna al suo uomo lontano.


"Addio piccina, dolce amor,
ti porterò per sempre in cor..."


Molte canzoni hanno rappresentato un'epoca, ma nessuna l'ha rappresentata con quell'impatto struggente che fu per l'immaginario collettivo l'astratta Lilì Marlen.
LEI non esisteva, era uscita dalla penna di uno sconosciuto poeta tanti anni prima, eppure all'improvviso divenne una creatura viva, reale, che amava tutti ed era amata da tutti.
Era una immaginaria ragazza dal volto ignoto, irreale, ma che all'improvviso, con quel nome così dolce come una carezza, assunse per ogni "guerriero" le sembianze della propria donna lontana, che ogni uomo aveva lasciato a casa, che aspettava il suo ritorno, e lui sui campi di battaglia, pieno di speranza  si illudeva che il ritorno sarebbe avvenuto presto.


"Aspetta mia bambina il nostro giorno / vado, vinco e torno", cantavano andando in Russia i 230.000 Italiani.


Invece metà di loro non vinsero e l'altra metà nemmeno più tornarono.


Il testo di Lilì Marlen era nato nel lontanissimo 1914, da un certo Hans Leip.
Solo più tardi un certo Norbert Schulze, compositore tedesco (è morto 91enne il 16 ottobre del 2002), lo musicò in un modo molto singolare, con quell'aria marziale di marcia.
Il brano rimase del tutto sconosciuto.
Venne poi riscoperto per la prima volta nel 1938 da una certa Lale Andersen per ampliare il suo repertorio in un cabaret dove lei cantava.
Forse per qualche applauso ricevuto più del solito, la convinsero a inciderla per farne un disco.
Ma si rivelò un vero fiasco.
Delle 5000 copie prodotte, se ne vendettero 700.
Questa edizione l'aveva appoggiata lo staff di Radio Vienna, e proprio nelle cantine di questa emittente andarono a finire tutte le copie invendute.


"Forse domani piangerai,
ma dopo tu sorriderai."


Scoppia la guerra.
Siamo nella fatidica data quando Hitler dopo il ritardo in Iugoslavia ha sferrato il 22 giugno 1941 l'attacco alla Russia, ma si è già impantanato a novembre nella rasputina e a dicembre è bloccato dal micidiale gelo russo.
Per la prima volta, e lo confida in una lettera a Mussolini, Hitler ammette di essere in difficoltà.  ("I combattimenti che ora hanno luogo qui appartengono ai piu' gravi che le truppe tedesche hanno dovuto sostenere sinora").
C'è lo stallo.
Gli ufficiali tedeschi quasi davanti alle porte di una Mosca abbandonata e in fiamme, vanno ai ricordi di scuola.
E proprio lui, Hitler, inizia a sentirsi insicuro, commettendo con l'ira tanti madornali errori, gli uomini delle sue armate provano per la prima volta le prime delusioni e si rendono conto che non sono invulnerabili come gli è stato detto.
I sacrifici, la lontananza e l'ostile ambiente (40 gradi sottozero) suscitano i primi avvilimenti;
si sentono spogliati da quell'immagine invincibile nibelungica che mezza Europa ha già conosciuto dalla Polonia fino in Francia.


Nella Belgrado conquistata nella primavera del '41, la emittente radio locale è stata trasformata in un avamposto per diffondere le epiche musiche wagneriane, tanto care a Hitler, per accompagnare le "cavalcate" dei panzer con le famose note della "Walchiria".
Per un certo periodo fu la sigla di apertura della radio dei bollettini di guerra).
A Belgrado la stazione radio la allestisce un ufficiale tedesco, Richard Kistenmacher, un musicologo, proveniente proprio da Radio Vienna.
Qui, prima di partire, non ha preso solo i dischi del suo omonimo più famoso Richard, ma scoperte in cantina varie casse di dischi di musica leggera si porta dietro anche quelle;
sono dischi di valzer, di mazurche, canzoni allegre e canzoni languide d'amore; 
lui ha caricato tutto su un camion con destinazione l'emittente di Belgrado.
Qui in una "fase critica" del Reich (col fantasma di Napoleone in giro su Mosca) riceve un invito-ordine dal Comando e dall'Ufficio Propaganda, di risollevare alla sera  il morale dei tedeschi che sono in difficoltà sul fronte nelle lontanissime steppe russe.


(Per dare un'idea di questa fase "critica", a fine gennaio '42, il gen. Halder riepilogherà le perdite tedesche: 1.500.636 uomini (il 31% degli effettivi), di cui 202.257 morti, 725.642 feriti, 112.617 gravemente congelati, 46.511 dispersi. I rimanenti 413.609 sono prigionieri del nemico)


"Che cosa mai sarà di me?
Ma poi sorrido e penso a te"


Alle ore 22.00 del 10 Febbraio 1942, a Radio Belgrado questo anonimo ufficiale  pesca nel mucchio  dei tanti dischi, e uno di questi ha un etichetta con un nome molto gradevole e simpatico, gli sembra proprio quello che ci vuole; 
Kistenmacher irradia per la prima volta nell'etere Lilì Marlen.
L'emittente il giorno dopo, dal fronte, fu sommersa da richieste  di rimandare in onda la canzone;
sempre alle dieci di sera.
Un'ora che diventa per molti giorni, con un'altra valanga di richieste, un appuntamento serale fisso.
Poi la si voleva ad ogni ora del giorno, infine non occorreva nemmeno più la radio, ormai la si cantava ovunque e...
a un certo punto la cantavano tutti.


"Se chiudo gli occhi
il viso tuo m'appar..."


Lele Anderson  (Lilì non esiste ma Lilì è lei)  riceve migliaia di lettere dai campi di battaglia;
si sono tutti innamorati non di lei, che nemmeno conoscono e che non è una grande bellezza, ma della sua voce, e del pathos che lei ha messo nel cantare quello che era ormai diventato un "inno all'amore".
"Quella voce diventò una timida poesia erotica, curiosa per l'epoca, una inconsueta dolcezza nella descrizione dell'amore".
Il testo non era nulla di trascendentale, ma il tono della voce lo era di sicuro.


"Vor del kaserme/ vor dem grossren Tor/ stand eine Lanterne/ und stehet sie noch davor..." (Davanti alla caserma/ davanti al grande portone/ c'è una lanterna/ e sta ancora lì/ e io anche stasera sono qui/ sempre ad aspettar...(il suo soldatino, il suo amore). 
Fu poi italianizzata in "Tutte le sere/ sotto quel fanal/ io/  ti stavo ad aspettar../ anche stasera ti aspetterò/ non me ne andrò/ se non con te,/ Lilì Marlen."


Ma più che le parole e la musica, più che una voce, quel canto era un fuggevole e struggente respiro d'amore, un atto di fede, un patto di fiduciosa tenerezza rivolto all'immaginario o reale fidanzato, marito, compagno, ora lontano, che ha lasciato a casa un'anima in pena, che langue nell'angoscia dell'attesa.
E questa pena viene espressa non dai versi, così semplici, ma dal tono della voce.


Quella roca voce della Andersen che si diffonde nell'etere,  che nella canzone esprime tutto il rimpianto di un amore lontano, avvince tutti, fa dimenticare i proclami, i combattivi slogan, le ambizioni, la sete di conquiste; 
prostra invece il morale con la sua languida nostalgia.
Diventano anacronistici i ricordi dei passi marziali dei tempi non lontani,  in mezzo alle folle in delirio, e diventa pure inopportuno richiamare alla mente le spavalde imprese fatte di giorno anche qui in Russia.
Alla sera, dopo le epiche battaglie, sono tutti raccolti attorno a una radio, seduti per terra, in silenzio, tutti attendono Lei, il sospiro d'amore di Lilì Marlen.
Sembra perfino una contraddizione, quello star seduti, quello star raccolti  in un introverso silenzio, perchè il tempo della canzone non è uno svenevole e avvolgente valzer lento, ma è una marcia!
Ha un ritmo che sollecita il movimento, il ritornello di sei sillabe (con-tè---li-lì-mar---lèeen) contiene perfino la cadenza dell'un-due, un-due, pas-sòo.
E invece...appena inizia la musica...tutti si fermano.


"Tutte le notti sogno allor
di ritornar, di riposar..."


E quando tace la radio, si ripete ancora il prodigio dell'incantesimo.
Circondato da un alone mistico questa canzone sembra appartenere alla liturgia di una funzione religiosa.
Assomiglia a una tristissima preghiera funerea, tanto sono impercettibili le voci di questi improvvisati coristi che cantano quasi a bocca chiusa, come a voler nascondere, ognuno, all'amico che gli sta accanto, la propria anima in pena.


La canzone invece di sollecitare lo spirito marziale del guerriero, si trasformò in un boomerang micidiale. La commozione attanagliò i novelli Sigfrido, la Lilì era il volto che dava un significato alla malinconia di milioni di soldati nostalgici, e questi, nel momento più critico e più vulnerabile della loro esistenza:
sono fermi, avviliti dalla sconfitta, dalla fatica, dai disagi fino allora mai provati dopo i vittoriosi blitz sull'Europa.
E per la prima volta si sentono vulnerabili.


Quella voce dolente li spogliava dell'immagine di Superuomini e li riconduceva fiaccandone il morale alla loro misera dimensione umana.
Quelle non erano più solo note musicali, ma erano luminose immagini di un amore lontano, sempre velate da una struggente malinconia.
Tutte le fidanzate  all'improvviso si chiamarono tutte Lilì.
Tutti avevano a casa una loro Lilì.
"Al mio paese la "mia Lilì" mi aspetta!" e tirando fuori dalla tasca la foto della propria amata, mostrandola all'amico, dicevano "Ecco, vedi...questa è la mia Lilì".


"...una volta ancora
la voglio salutar."


Fu allarme, preoccupazione.
Intervennero prima i comandanti di reparto, poi di persona Goebbels, il responsabile della propaganda tedesca.
Trovando biasimevole questo atteggiamento malinconico e femmineo i capi nazisti proibirono la canzone, non la fecero più andare in onda, e perseguitarono perfino la sua interprete, Lale Anderson, nei vari teatri o nei concerti dove si esibiva. 
Ma inutilmente.
La musica e quella voce diafana era ormai sulla bocca di milioni di soldati tedeschi su ogni fronte.
Non solo, ma dopo pochi giorni si scopre che quella canzone è la canzone di una umanità intera, l'inno della malinconia, dell'inquietudine, ma nello stesso tempo l'inno d'amore e di speranza di milioni di uomini di ogni razza e di ogni lingua.
La cantano sommessamente, quasi sussurrata,  in un intimo silenzio, gli italiani, i giapponesi, i russi, gli inglesi, gli americani, i francesi e altri ancora...in 42 lingue!
Nelle sabbie infuocate del Sahara o nelle gelide steppe russe, nelle trincee o sui mezzi da sbarco, sui monti e sui mari, in cielo e in terra.
Ovunque Lilì Marlen è la "fedele compagna" che a casa aspetta non il suo impavido guerriero, ma il suo semplice uomo e basta, lo aspetta ogni sera con gli occhi umidi, e alcune "Lilì" gli occhi li avevano grondanti di lacrime, quando i silenzi erano lunghi, troppo, troppo lunghi.


"Se chiudo gli occhi
il viso tuo m'appar
come quella sera
nel cerchio del fanal."


Al "Fronte" questa canzone  diventa un  sogno d'amore e di vita  sia quando è quasi urlata dopo una epica vittoria, oppure quando è appena sussurrata dopo una cocente sconfitta;
fra bombe e granate, tra i lamenti dei feriti o quando alla sera mancano sia agli uni che agli altri gli amici caduti, resi muti e sordi dalla morte.
Lale Andersen è perfino preoccupata, anche se è tempestata di richieste di concerti, che si svolgono sempre un clima affliggente, che allarmano sempre di più gli alti comandi tedeschi.
Lale è la prima a rendersi conto che sta devastando le coscienze;
nelle sale dove canta vede sempre tante lacrime, tanti visi tristi, e non riceve applausi quando sta per terminare la canzone, ma ci sono invece tanti religiosi silenzi.
E lei, come a non voler turbare queste surreali atmosfere, canta con una voce sempre di più fievole, sempre di più con l'anima.
Quando termina l'ultima strofa, la parola finale Marlen è solo più un sospiro rauco in regressione, pieno di tensione, quasi uno spasimo, al confine tra l'erotico e il drammatico, sembra esserci dentro l' orgasmo di un atto d'amore e nello stesso tempo è un grido di dolore, una maledizione per la guerra, pieno di disgusto, disfattistico.


Lala per queste interpretazioni avvolte di pathos, viene infatti da alcuni biasimata, rimproverata, vituperata, ostacolata, perseguitata;
infine teme perfino per la sua vita.
E i timori non sono infondati.
Mentre è in Italia per un concerto, piuttosto allarmata, approfitta della situazione, non rientra in Germania, ma prende un treno per la Svizzera.
Ma la Gestapo che la controllava non se la fa sfuggire, viene arrestata prima della fuga.
La portano a Berlino sotto scorta.
Lala è messa in cella, teme ormai di finire rinchiusa nel campo di concentramento di Buchenwald;
lì vanno a finire tutti i disfattisti del Reich; 
nello sconforto Lale tenta il suicidio avvelenandosi, lasciando scritto...


"La lanterna si spegne, ma io non sono disperata perchè ho vissuto con gioia. Non mi pento di nulla.".


La salvano in extremis.
La esiliano nei mari del Nord.
La guerra poi termina, viene liberata, ritorna in Germania.
Ma il destino si accanisce ancora su Lale Anderson.
Nel famoso processo di Norimberga contro i capi nazisti, viene paradossalmente anche lei chiamata sul banco degli imputati, accusata di aver fatto con quella canzone della propaganda nazista.
Finisce così un'altra volta dietro le sbarre, dentro in una cella, come una criminale.


"O trombettier
stasera non suonar..."


Questa volta a salvarla in extremis da questa immotivata responsabilità è il maresciallo inglese Montgomery con una sorprendente dichiarazione alla corte giudicante:
"Propaganda nazista quella di Lale Anderson? 
Ma scherziamo?
Ma se io e i miei soldati nel deserto quando davamo la caccia a Rommel, dopo le fatiche, le battaglie, con la fame la sete e il sole, alla sera avevano soltanto il conforto di quella voce, di quella canzone, e di Lale-Lilì!".
Lale fu assolta.
Venne poi invitata a cantare a Londra proprio dai reduci di Al Alamein.
Altrettanto fecero gli ex di Rommel in Germania.
E sia i "topi del deserto" che le "volpi del deserto", a quell'incontro con la "compagna fedele" che "aveva aspettato  sotto quella lanterna tutte le sere" non trattennero le lacrime.
Finiva veramente un incubo, ricominciava la vita, tante Lilì Marlen senza distinzione di lingua non aspettavano altro che di essere nuovamente riabbracciate dal loro amante.


Nelle radio dei cinque continenti, Lilì Marlen, fu trasmessa 600.000 volte, la cantarono 200 milioni di soldati di ogni razza, amici o nemici;
fu tradotta in 42 lingue, e si calcola che è stata ascoltata nel corso degli anni, almeno una volta da 9 miliardi di persone, appartenenti a cinque generazioni.
Per gli anziani di allora fu un flash di romanticismo negli ultimi anni della loro vita, per i maturi diventò un frammento della loro vita, e per i giovani entrò a far parte della loro gioventù.
Per quelli che vennero dopo, almeno una volta l'hanno ascoltata, ma come una delle tante canzoni del passato, senza coglierne il profondo significato, non conoscendo questa storia;
che è anche Storia.
Hitler non riuscì a conquistare il mondo, ma Lilì Marlen ci riuscì. 


Il mondo amò Lilì Marlen come nessun altra canzone.
Nel dopoguerra, pur avendola adorata perdutamente, molti questa Lilì la ricacciarono in fondo all'anima, per dimenticare i sacrifici e le tante sofferenze che erano associate a questa canzone.
Ma bastava poi una sola nota per farli nuovamente sobbalzare, riemergeva subito viva Lilì Marlen, e con lei i mille e mille ricordi;
quelli che non volevano più richiamare alla mente.
Ed erano tanti; 
gli uomini, e anche i brutti ricordi.


Lo sconosciuto autore, Hans Leip in quel lontano 1914 non avrebbe mai immaginato il destino riservato al suo testo, così Norbert Schulze che la musicò.
La quasi sconosciuta Lale Anderson quando la incise nemmeno.
E quell'ufficiale Richard che alle ore 22 del 10 febbraio 1942 scelse quel disco, neppure.


Nessuno dei quattro immaginava che quella canzone con nulla di epico, avrebbe rappresentato invece proprio un'epoca;
unendo razze, etnie e uomini di lingue, culture e storie diverse.


Diverse?
No!
Un'unica Storia!
Gli uomini sul pianeta ne hanno una sola!
Se ne fanno tante di storie, si tenta di separare il banale dallo straordinario, ma poi il banale che ha con sé i limpidi sentimenti umani, sconvolge tutti i piani strategici, le ideologie, le filosofie della forza.


Ogni tanto gli uomini mettono in pratica, per fortuna, un verso di Dante:
"Uomini siate, e non pecore!"


La versione Tedesca di Lili Marleen, quella che la rese famosa.


Vor der Kaserne
Vor dem großen Tor
Stand eine Laterne
Und steht sie noch davor
So woll'n wir uns da wieder seh'n
Bei der Laterne wollen wir steh'n
|: Wie einst Lili Marleen. :|


Unsere beide Schatten
Sah'n wie einer aus
Daß wir so lieb uns hatten
Das sah man gleich daraus
Und alle Leute soll'n es seh'n
Wenn wir bei der Laterne steh'n
|: Wie einst Lili Marleen. :|


Schon rief der Posten,
Sie blasen Zapfenstreich
Das kann drei Tage kosten
Kam'rad, ich komm sogleich
Da sagten wir auf Wiedersehen
Wie gerne wollt ich mit dir geh'n
|: Mit dir Lili Marleen. :|


Deine Schritte kennt sie,
Deinen zieren Gang
Alle Abend brennt sie,
Doch mich vergaß sie lang
Und sollte mir ein Leids gescheh'n
Wer wird bei der Laterne stehen
|: Mit dir Lili Marleen? :|


Aus dem stillen Raume,
Aus der Erde Grund
Hebt mich wie im Traume
Dein verliebter Mund
Wenn sich die späten Nebel drehn
Werd' ich bei der Laterne steh'n
|: Wie einst Lili Marleen. :|


http://eri.ca/refer/lilimar5.MP3



La versione Italiana:


Tutte le sere
sotto quel fanal
presso la caserma
ti stavo ad aspettar.
Anche stasera aspetterò,
e tutto il mondo scorderò
|: con te Lili Marleen :|


O trombettier
stasera non suonar,
una volta ancora
la voglio salutar.
Addio piccina, dolce amor,
ti porterò per sempre in cor
|: con me Lili Marleen :|


Prendi una rosa
da tener sul cuor
legala col filo
dei tuoi capelli d'or.
Forse domani piangerai,
ma dopo tu sorriderai.
|: A chi Lili Marleen? :|


Quando nel fango
debbo camminar
sotto il mio bottino
mi sento vacillar.
Che cosa mai sarà di me?
Ma poi sorrido e penso a te
|: a te Lili Marleen :|


Se chiudo gli occhi
il viso tuo m'appar
come quella sera
nel cerchio del fanal.
Tutte le notti sogno allor
di ritornar, di riposar,
|: con te Lili Marleen :|


http://eri.ca/refer/lilimar3.MP3





"Tutte le sere
sotto quel fanal
presso la caserma
ti stavo ad aspettar.
Anche stasera aspetterò,
e tutto il mondo scorderò
con te Lili Marleen..."


Tratto Da:
Cronologia.it
ingeb.org/garb/lmarleen.html




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Le Sere, Ti Stavo Ad Aspettar   21/1/2005 13.30.21 (148 visite)   NEVERLAND
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