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Nick: eLLeGi
Oggetto: Trovato su un sito
Data: 3/2/2005 22.22.46
Visite: 32

E' lungo , l'ho trovato su un forum dell'accademia della crusca.

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Varie sono state le interpretazioni, che si sono avvicendate a spiegare tale modo di dire. Ne offre un elenco –recente– Ornella Castellani Polidori nel saggio «Per la storia del detto Le gambe fanno giacomo giacomo», alle pagg. 333-356 in L’Accademia della Crusca per Giovanni Nencioni, il "volume [che] raccoglie l’omaggio che gli Accademici e i Soci dell’Accademia della Crusca offrono a Giovanni Nencioni, per festeggiarlo nel giorno del suo 91° compleanno", come, a incipit di quel dono –che la fiorentina Le Lettere nel 2002 ha messo alle stampe–, s’esprime l’attuale presidente Francesco Sabatini (e è da quel sacco che prelevo la farina per impastar questa nota.). Dopo aver accennato alla lettura "[d]ecisamente innovativa" del Dizionario etimologico italiano di Carlo Battisti e Giovanni Alessio –il DEI–, che attribuisce alla fatica dei pellegrini in viaggio per San Giacomo di Compostella l’origine dell’espressione e la debolezza vacillante de le gambe che fanno giacomo giacomo, dal mucchio interpretativo la studiosa ne vaglia due: quella di Ottavio Lurati e quella di Massimo Bellina. Il primo, pur ascrivendo a quell’apostolo la causa deonomastica del detto, ne sposta l’asse derivativo dal piano storico, il pellegrinaggio al santuario gallego, su quello dell’antropologia culturale, già che vi riscontra –riflessa– la concezione della morte, propria di alcune società subalterne –lo studioso fa espresso riferimento a credenze rilevate in Sicilia, in quel di Enna–, secondo cui San Giacomo s’incarica, nel momento dell’agonia, di "prendere l’anima del moribondo e la porta in cielo lungo la strada della via lattea, detta appunto la ′strada di San Giacomo′". Inserito in quest’ottica, anche un gesto semplice –se pur particolare– e di nessun’altra rilevanza se non di pratica utilità –legare i piedi del morto–, fatto com’è per ottenerne una compostezza funebre, schizza a acquistare risalto fondamentale, già che impedisce San Giacomo nell’ufficio d’assistere il vĭātŏr nel celeste cammino, sí che l’anima –per quel fazzoletto, che stringe unite le caviglie– rimane sospesa e trattenuta al giaciglio di morte e dal mettersi in via. Il tremar delle gambe, dunque, è originariamente il venir meno delle forze nell’ora ultima. Che la figura di San Giacomo sia collegata con il tema del momento estremo, lo studioso ticinese, di questo, trova conferma in due elementi presenti nel cantone dei Grigioni: un gioco per ragazzi, che si chiama la morte di San Giacomo; l’espressione fer giacum giacum, che nella località di Bravuogn significa ′morire′". Il secondo fa discendere lo svolgimento dell’espressione da una onomatopea riproducente lo strascinamento dei piedi per stanchezza, trovando fondamento alla sua intuizione nei versi d’una frottola –a cui il titolo è Bisbidis a Messer Cane della Scala– di Immanuèl Romano –ossia Manoello Giudeo, il dotto ebreo contemporaneo dell’Alighieri–, collocabile intorno al 1315: Sentirai poi li giach Che fan quei pedach, giach giach giach giach giach quando gli odi andare. Con un tipico processo di razionalizzazione semantica, poi –che interviene quando "muta d’accento / e di pensiero" diventa una parola–, il giach imitativo s’è esteso in giacomo, e il significato idiomatico della locuzione avvía, dunque, una risalita metonimica, che dall’effetto –lo strascinar dei piedi– s’attesta all’origine di esso –il tremar delle gambe–. La Castellani Polidori rigetta entrambe le letture interpretative. Quest’ultima, perché liquida come frutto di fraintendimento il senso attribuito a quell’onomatopeico giach, che, da uno sguardo allargato ai versi a quella quartina precedenti e seguenti, si comprende, invece –come già aveva, nel 19682, commentato Maurizio Vitale–, riferirsi al calpestío "marziale e fragoroso di calzature ferrate": nulla a che vedere, quindi, col senso stanco e vacillante, che si ode nel detto in questione. La prima viene respinta, perché l’espressione burlesca non conserva nulla –manco una traccia– della drammaticità della morte, dal cui tema antropologico il Lurati l’aveva fatta derivare; e il significato di ′morire′ dell’espressione parallela, che a Bravuogn si riscontra –ma ha soggetto, altro che le gambe–, ricondotto com’è alla sfera ludica dei fanciulli, togliendosi dal cerchio stretto e agonico dell’attimo ultimo, s’inscrive in quello largo della leggerezza e della spensieratezza. La studiosa sbroglia il groviglio interpretativo, riannodando i fili del detto all’accezione dell’omologo francese di giacomo –cioè, a jacques–, che, a partire dalla rivolta medievale del 1358 –la famosa jacquerie–, la supponenza degli aristocratici, discendendo lungo la scala –del tempo e dello "scherno"–, dall’indicare inizialmente il ′contadino′, attraverso il grado di ′semplicione′, passò a significare ′vigliacco′. Il vertice profondo dell’irrisione è presto raggiunto, se già in un testo del Cinquecento –registrato nel dictionnaire settecentesco (ma pubblicato al cominciar dell’ultimo quarto dell’Ottocento) di Jean-Baptiste de la Curne de Sainte-Palaye– con maschera cognominale –e con marcia inversa a quella deonomastica– una voce verbale disonorante accompagna lo jacques, già immaginato assicurato alla giustizia nella veste di pendart (il ′furfante da forca′ Jacques Deloges. La voce originaria è déloge, e, maiuscolandosi in cognome, si priva d’accento e si provvede di s, in maniera che meglio s’attagli –la maschera– e meglio combaci al viso, a nascondere "per l’occhio" –se non del tutto "all’orecchio"– un deridente ′Giacomo-scappa′. La liaison italo-franca si giustifica, già che sul versante cisalpino si rintracciano: Ciapo nel senso di ′contadino′ nel Tommaseo-Bellini –e si tratta dell’ipocoristico di Iacopo, del quale Giacomo è allotropo–; che in Toscana –Vocabolario maremmano di Mario Barberini– l’espressione, di cui si parla, trova varianti onomastici con Cecco e Gianni –l’uno, ′contadino′ e l’altro, ′persona stupida′–; l’estensione del modulo giacomo giacomo per là dove piú a lungo è stato il dominio francese –regioni dell’Alta Italia, Toscana, Napoli e Sicilia–. Vengono, poi, sgretolate le due piú facili obbiezioni, che a tale collegamento possono opporsi: la prima –e cioè, la diversità di senso tra i due detti, l’italico e il francese–, in quanto un originario significato traslato, che intendeva "molli" le gambe perché "scimunite" –da pari, che ne era la mente–, persane per strada la dinamicità, veniva immobilizzato a una piú immediatamente comprensibile stanchezza fisica; la seconda –e cioè, che l’espressione faire le jacques, differentemente dall’italiana, contiene l’articolo–, in quanto, almeno in un dialetto d’Italia, è possibile rinvenire un’equivalente struttura –fari lu iàcupu–, registrata nel Vocabolario siciliano di Giorgio Picciotto e Giovanni Tropea, che la preleva da un manoscritto adespoto inedito del sec. XVII –Vocabolario siciliano italiano di Antico Anonimo–, e da un altro manoscritto, pur esso inedito, del XVII e XVIII sec. –La Crusca della Trinacria. Vocabolario siciliano di Onofrio Malatesta–: lessici, entrambi del patrimonio documentale della Biblioteca Comunale di Palermo. Circa, infine, la connessa questione –avanzata da Lauraar71– che la locuzione si varî con diego diego, questo non è la banalizzazione del nome, che, originatosi da Dídaco, ha –come una tappa della sua evoluzione– un Diago; sí, invece, è –tale Diego– alterazione d’un altro Diago, evolutosi –questo– da Jago –ipocoristico iberico di Jacobus–. In Diego, dunque, agisce lo stesso Giacomo, che ha come falsificato i suoi dati anagrafici. E la falsificazione circola in Toscana: Pisa, Livorno, Pistoia, Grosseto, ma anche Arezzo, come fa sicura la Polidori il linguista Alberto Nocentini. A Siena, poi, si falsifica di piú, già che la voce suona con contadinesco tuono: ghiego. P. S.: torbida essendo l’acqua mia dell’impasto, temo d’aver coi gradi tolto e appianato pure lo spettro e i sapori del pane, che, cosí, ho fatto sciapo: ma integro si può gustare –e fragrante–, là in quella Casa del 2002.

Autore : Luigi Pizzilli - Email : luigiduilip@tiscali.it
Inviato il : 23/09/2004 alle 13.05.43

FONTE: http://forum.accademiadellacrusca.it/forum_12/interventi/5181.shtml



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