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Nick: Lee_cina
Oggetto: tre giorni
Data: 19/2/2005 13.54.1
Visite: 79

l'ora la vedi da te.
e la pioggia non ci voleva. resterò in casa per i prossimi tre giorni. ho un compito difficile da portare a termine e mi richiederà uno stato di clausura. giusto mi potresti vedere scendere alle tre del mattino, camminare come un gatto nero, arrivare alla macchina, spingerle in gola ciò che senza non tira fuori un bel niente, ritirare il tutto e far ritorno al quinto piano, ai rumori dal soffitto e alle mine che mi lascio scoppiare tra le mani.
questa storia delle mine, credici oppure no, finirà un giorno perchè mi ha quasi annoiata e annichilita. ma ne ho sparse tante che è impossibile ricordarmi dove siano. almeno due in una settimana me le becco, non c'è scampo. due, se tutto va liscio. sono arrivata anche ad una mina al giorno ma erano quelli tempi in cui mi volevo meno bene. per un periodo, adesso che mi ci fai pensare ho avuto per le mani roba grossa, dispositivo a tempo, disinnescabile, nessun artificiere nei paraggi. ce l'avevo addosso tutto il giorno tutti i giorni al punto che quasi mi ci ero abituata e in un certo senso affezionata se mi lasci passare la parola affetto. però ricordo esattamente che quelle notti erano più agitate del solito per via di un ticchettio che più che martellarmi in testa come un suono udibile mi scavava invisibili tunnel nel petto, nella pancia e lungo i nervi. ogni giorno perdevo trecento grammi e la mia impronta sul letto si intiepidiva sempre più e la curva della schiena era un bastone nodoso di vertebre, aguzze come pietre tagliate a vivo. mi sarei detta spigolosa se avessi avuto il tatto giusto per accarezzarmi. avevo un corpo fatto di angoli e linee dure, solo sul volto conservavo la morbidezza di una persona viva e anche in bocca mi sembrava di avvertire il sapore di un terriccio ferroso. qualcuno diceva di amarmi anche così ed io non ci credevo perchè è assurdo anche solo pensare di poter desiderare di abbracciare un mucchietto di pietre. essere di pietra mi ha salvato. a tempo scaduto tutto è andato come doveva andare. se non fossi stata così dura e compatta, asciugata dal sangue e se avessi avuto ancora tessuti molli e organi polposi sarebbe stato uno strazio e una gran seccatura ricomporre quella che poteva essere la mia salma. avrei provato disgusto di me io stessa. invece al momento dell'esplosione tutto è rimasto legato come in un impasto di cemento e in superficie nessuna increspatura. ma dentro, dentro, più dentro che sia possibile tutto si è allagato, come da una falda fragile è venuto su a riversarsi un fiume inarrestabile. e dentro quel fiume ci stava tutto: la paura, sopra ogni cosa, la terribile paura di conoscere tutta in una volta la mia pazzia. e poi la febbre e la stanchezza con una forza, mai sperimentata prima, a combatterla al mio posto. e mentre tutte le strade interne erano invase da quell'incessante flusso chiunque avrebbe potuto credermi morta mentre semplicemente io ero nel mio corpo e lo stavo conoscendo, e amando per la sua inaspettata perfezione interna, per il calore che possedeva e non disperdeva. avevo perso tutto, dal freddo ero passata al gelo, il gelo che brucia la pelle come la cenere distratta delle sigarette fumate fino al loro estremo limite. e poi lo ricordo benissimo. io sono scoppiata a ridere, con la mano sulla pancia per sentire meglio il sussulto di quella cosa nuova che mi riempiva di dentro come un seme fecondo. ridevo e non mi riusciva di smettere e non volevo smettere affatto di ridere e sentire che dalla mia bocca saliva un rumore d'acqua vorticosa e quello era il mio canto, il mio grido, la verità taciuta troppo a lungo, il dovere e la giustizia, la semplicità di un prato di un verde tanto verde che pare artificiale, ma è reale umido com'è di pioggia piovuta e sparso irregolare di papaveri rossi e grossi come tanti cuori puri, la libertà di una barca a remi che va al largo e qualcuno sulla riva aspetta che torni con la certezza che tornerà e la trepida impazienza che accada presto e tra le labbra una preghiera per sopportare l'attesa la paura del per sempre che ondeggia verso il mai e tutto finisce lì, su quella spiaggia di polvere fine e piccole pietre colore del latte, quella spiaggia già sconfitta messa alle corde dal mare eroe che gli domandi e non risponde e resta muto e pare che invece possa parlare. e invece è muto veramente e siamo noi a dargli una voce e il massimo che lui possa portarti è un biglietto di carta consumato e neanche quella è una risposta ma un rifiuto, un piccolo no zitto, una cosa che riposa sulla spiaggia mezza polverosa di ghiaia perchè il mare è un giusto che riporta indietro ciò che non gli appartiene.
sono stanca, felicemente stanca e sai una cosa, credo di amarti, credo che se non è amore gli somiglia un sacco. e non fa nulla se per te non è lo stesso perchè a me basta sentire i brividi che mi dai, anche se non ci sei che raramente, e quanto raramente, ma se solo ti penso. e mi sento una bambina e vado a correre nel verde appena questi tre giorni saranno alle mie spalle e in mezzo alle mie guance accaldate da tutto quel correre come in un gioco senza vinti nè vincenti io so che riderò con un rumore come di acqua fresca nella gola che sale in superficie, e mi divertirò a correre evitando le mine.
sii felice anche tu che hai un viso così dolce e così bello e che io amo, sii felice, sì.
tu devi essere felice perchè tuo è il viso che più si addice alla felicità...




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