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Nick: eLLeGi
Oggetto: L'essere umano
Data: 25/2/2005 20.53.24
Visite: 174

Leggendo qua e là su un newsgroup di filosofia ho trovato molto interessante, e abbastanza condividibile da me questa visione dell'essere umano molto razionale ed estremamente atea.
Seppur lungo da leggere ero curioso di capire quanti frequentatori di questo forum hanno questo tipo di percezione della nostra vita rapportata alla religione.




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L'essere umano è un animale terreno esattamente come tutti gli altri. Nasce,
vive, muore ed è guidato dagli stessi istinti degli altri animali. Questo è
evidente a chiunque guardi se stesso in modo concreto e realistico, e si
rapporti, sempre in modo concreto e realistico, agli altri animali terreni.

La differenza tra l'animale terreno Homo Sapiens Sapiens e gli altri animali
terreni sta tutta nella evoluzione dell'organo cerebrale. La specie umana si
è evoluta e caratterizzata per questa specificità, cioè per un'evoluzione
cerebrale che ha fatto del cervello e dell'uso del cervello lo strumento
peculiare di sopravvivenza dell'animale terreno Homo Sapiens Sapiens. Nel
corso dei millenni il cervello della specie si è evoluto molto di più di
quello degli altri animali terreni (almeno per quelli che conosciamo oggi)
ed ha fornito delle straordinarie capacità di comprensione della realtà
terrena e, conseguentemente, di gestione della realtà terrena ai fini della
propria sopravvivenza.

E la sopravvivenza, in termini qualitativi e quantitativi, è l'unico
problema che ogni essere vivente di questo pianeta deve affrontare. E deve
risolvere.


L'altra faccia della medaglia di questa evoluzione cerebrale è stata la
consapevolezza della realtà della propria vita e della propria morte. Il
cervello nato per studiare la realtà che ci stava intorno è stato capace
anche di analizzare la realtà nostra personale, il nostro status, il nostro
fine.

Le altre specie viventi vivono, si nutrono, si accoppiano e si riproducono
seguendo esclusivamente il proprio istinto di sopravvivenza. L'animale Homo
Sapiens Sapiens lo fa del pari, ma in più, le sue capacità cognitive gli
consentono gli consentono oltre che di soddisfare i suoi bisogni animali in
modo molto migliore a qualsiasi altro essere vivente anche di essere
cosciente di farlo ed essere cosciente del significato delle sue azioni, e
ciò non manca di creare seri problemi come vedremo tra breve.



Questa consapevolezza, frutto dell'evoluzione cerebrale della specie, ha
prodotto al suo apparire delle conseguenze che avrebbero potuto essere
fatali per la specie. In parole povere questo strumento potentissimo per la
sopravvivenza aveva in sé incredibili controindicazioni.
Immaginate l'apparire della consapevolezza della propria morte in una specie
vivente che è guidata esclusivamente dal proprio istinto di sopravvivenza.

E' una contraddizione che manderebbe in blocco qualunque sistema operativo,
poiché contiene due istanze profondamente ambigue e illogiche:

"mentre tutto dentro di te ti spinge alla sopravvivenza e indirizza a tal
fine tutte le tue forze, il tuo cervello ti fa presagire prepotentemente che
la tua esistenza è comunque destinata a finire, che tutti i tuoi sforzi, per
quanto oggi potenzialmente vincenti, si concluderanno in un fallimento."

Appare assolutamente immaginabile l'effetto devastante che questa
consapevolezza apportò a questa specie vivente, quando, ancor poco più che
bambina, la coscienza e i primi bagliori di intelligenza umana la lambirono.

L'angoscia derivante dalla consapevolezza della propria morte rischiò di
compromettere lo stesso funzionamento dell'istinto di sopravvivenza della
specie, e di conseguenza la sopravvivenza stessa della specie.

La soluzione fu trovata dallo stesso cervello che aveva, per così dire,
creato il problema con la sua evoluzione. Seguendo la sua funzione naturale
ed istintiva di strumento di sopravvivenza dell'organismo, il cervello si
sottomise alla prima necessità: quella di sopravvivere e ad essa sacrificò
una parte della sua obiettiva capacità di lettura della realtà.

Inventò così delle visioni fantasiose e metafisiche della realtà che
permettessero all'organismo vivente di superare quelle angosce che una
lettura troppo precisa, obiettiva e onesta della realtà avrebbero
inevitabilmente creato.

E siccome le angosce derivavano essenzialmente dalla coscienza della propria
mortalità

e proprio in questo campo della realtà che il cervello umano si prodigò di
più a creare fantasie metafisiche alternative all'esperienza diretta che i
suoi sensi gli davano tanto non importa quanto assurde o ridicole persino,
ma tanto più radicate come idea non criticabile dal pensiero razionale in
quanto meccanismo ansiolitico primigenio.

In pratica tutte le culture umane si son dette, del tutto inconsciamente: la
morte umana non esiste, e così l'angoscia derivata dal conflitto di cui
sopra si è un po' attenuata.

E sono invece nate idee metafisiche del tutto astratte da qualunque realtà,
quali: anima, dio, vite eterne e, soprattutto, la religione.

Non esiste cultura umana storica o preistorica che abbia presciso da simili
necessità, pur essendovi sempre stati atei e razionalisti, e questi
ovviamente tra gli individui in cui la tendenza razionale era così forte, o
il coraggio contro l'angoscia di dover non più essere era superiore alla
media, che le fantasie fideistiche consolatorie venivano ricacciate come
pure fantasie inutili e fallaci.

Ma la maggioranza dell'umanità si è sempre dovuta piegare a simili fantasie
proprio in ragione della sua fragilità psicologica animale.



Purtroppo le conseguenze di queste invenzioni fantasiose crearono (e
continuano a) delle conseguenze molto negative per la qualità della vita
della nostra specie.

Il pensiero, in qualunque modo religioso o mistico con cui potremo definire
questa tendenza all'autoinganno sulle realtà più dolorose dello status
umano, porta ad un allontanamento dalla realtà in generale, alla rinuncia di
usare il proprio cervello anche nei casi in cui è l'unico strumento che ci
consente di sopravvivere al meglio, nella visione negativa dell'intelligenza
e della cultura che ne è strumento. In pratica accade in parte quello che
negli schizofrenici accade in maniera devastante: la parte emotiva del
sistema psichico umano attacca la parte razionale, in quanto la reputa
colpevole di tutti gli stati di sofferenza di cui soffre, e ovviamente, la
distrugge, non risolvendo i problemi del malato ma lasciandolo solo senza un
sistema di analisi dei propri problemi che, solo, avrebbe potuto invece
aiutarlo a proteggersene.

Così, anche se in misura meno drammatica, il cervello evolutosi nel corso di
centinaia di migliaia di anni allo scopo di fornire alla specie un potente
strumento di sopravvivenza (attraverso la lettura sempre più precisa della
realtà e attraverso la creazione di risposte sempre più razionali ai
problemi, che essa realtà, presentava) viene paradossalmente usato in senso
contrario, non per vedere la realtà, ma per negarla, a volte come nella
schizofrenia, anche a costo della distruzione del cervello stesso.


Inutile parlare delle conseguenze negative di questo approccio fantasioso al
reale, perchè esse sono assolutamente ed immediatamente percepibili da
tutti. Il cervello non viene più rivolto alla realtà terrena per osservarla,
capirla e comprenderla allo scopo di migliorare la qualità della vita
terrena, ma assurdamente rivolto verso la costruzione di visioni alternative
e fantasiose della realtà che

allontanano sempre più la specie dal suo habitat naturale, cioè quello
terreno, unico in cui essa possa trovare una qualche felicità!

Nascono i deliri religiosi, i compiacimenti per la visione della Terra come
valle di lacrime e/o luogo di passaggio per giungere a deliranti mondi
nell'aldilà in cui si

svolgerebbe la vera esistenza (del tutto innaturale e quindi in felicissima,
basterebbe solo pensare a quello che è il paradiso cristiano razionalmente
per doverne inorridire! Quello musulmano è molto più sanamente naturale,
anche se, del pari, del tutto irrazionale).

Nasce, poi, la separazione dell'individuo e della sua sana e naturale
unicità corporale in una delirante visione schizofrenica di se stessi come
anima e corpo; nascono le concezioni e le visioni punitive del corpo e della
vita terrena (perché essa, unica che ci dia felicità, se vissuta serenamente
ci allontana ovviamente da quelle fantasie irrazionali,e sostanzialmente
prive di qualunque piacere o utilità a parte l'effetto ansiolitico).

Questo permette il (ridicolo) paradosso per cui, si giunge persino a
rinunciare alla propria vita terrena - l'unica esistente - in funzione di
una ipotetica e fantomatica vita nell'aldilà in cui si avranno tutta la
serenità e felicità senza dolori che sulla terra ovviamente non si possono
avere. E così pur di sognare di non aver più nessuna angoscia, si rinuncia
anche a quel poco di buono che la vita reale ci offrirebbe, l'unica vera
felicità concessa dal destino e dalla natura a noi uomini.

Ma così facendo si va anche contro la regola aurea della sopravvivenza come
fine supremo e legge unica della vita sulla terra, cui l'uomo non può
evadere senza conseguenze disastrose.

Negando la realtà, negando i nostri istinti e istanze sane di animali (pur
razionali) noi ci allontaniamo tanto di più dagli obiettivi che ci darebbero
una vita migliore, sia come individui che come specie.

Questo è il risultato della paura e dell'angoscia relativa e, come molti
sentimenti umani, retaggio del nostro passato di mammiferi inferiori o anche
rettili, si vede come crei molti più danni di quelli che tenta di risolvere.

Noi, oggi, specie razionale e con possibilità culturali enormi, (si pensi
allo studio che ci permette di poter partecipare di pensieri e soluzioni
partorite da milioni di altri individui, molti morti, ma da cui noi possiamo
ancora attingere il sapere per creare un mondo migliore) noi oggi abbiamo
molte possibilità di fronteggiare questa paura irrazionale e le sue
conseguenze devastanti quanto ridicole.

Occorre coraggio, occorre umiltà.

Coraggio, di guardare in faccia il nostro status per quello che è, senza
concessioni al nostro desiderio narcisistico di voler vivere per sempre;
umiltà, di riconoscere che molte delle nostre idee innate, per quanto
radicate, sono in fondo sciocchezze e nascondigli psicologici di un animale
piccolo e fragile, non del padrone dell'universo o di un semidio
onnipotente, non siamo dei, né semidei, siamo solo l'animale più
intelligente di questo pianeta (e forse qualche specie ci tallona da vicino,
vedi delfini).

Se noi avremo questo coraggio e questa umiltà sapremo affrontare nel modo
migliore i nostri problemi di sopravvivenza e, non già risolverli, ma
contenerli e conviverci al meglio; continuando nel contempo a crescere come
specie, sempre e comunque nella massima armonia dell'ambiente che ci
circonda, non tanto per sciocca venerazione della natura come emanazione
divina, ma come razionale ed egoistica constatazione che è la nostra sola
casa e lo sarà certo per molto tempo a venire.

L'uomo non è egoista, è solo pauroso; se la nostra intelligenza e
razionalità avrà ragione delle nostre paure, potremo comunque rendere
migliore la nostra società e senza inutili e frodabili precetti moralistici,
perché questo è certo un ideale egoistico e sarebbe sciocco da parte nostra
non dedicarcisi tutti altruisticamente.



Amleto, il danese.
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(fonte usenet: it.cultura.filosofia)



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