Nick: Franti Oggetto: GhirigoriFloodIntimoStop Data: 30/1/2003 15.44.37 Visite: 29
La concezione del tempo, man mano che si cresce, muta parecchio. Anzi troppo. Drasticamente. Da bambini si percepisce tutto con un’esattezza estrema. Però mancano le parole per raccontarlo. Ma forse è meglio così. Poi si cresce e l’evidenza cristallina di quelle sensazioni non si recupera più. Ciò che mi manca molto, da molto tempo ormai, è la sensazione d’indefinito che avevo quando ero un bimbo. Credo che tutti che l’abbiano avuta. In quella fase tutto il tempo è davvero davanti a te, sembra davvero infinito. Poi, crescendo, si scopre che non è così. Io ne vorrei ancora, di infinito, come allora, quando ero un bimbo. Io ogni tanto ripenso a quando ero bambino. Da bambino è tutto più facile perché fai male per gioco, vivi per gioco, vai nel negozio a comperare gli Ovetti Kinder, li apri e trovi un soldatino. Quando ne hai nove o dieci, inventi una guerra. Adesso no. Adesso, se inventi qualcosa di finto sei pazzo o minimo minimo sei esaurito. Allora ho pensato che crescendo, a un certo punto, ho incominciato a giocare a un gioco che non si capisce mai. Tu guardi gli altri che guardano giocare te. Come se tutti ci spiamo a vicenda. Ma il gioco qual è, non lo sai. Nessuno lo sa. Mi ricordo quand’ero un bimbo, magro, coi boccoli biondi stile puttino e le ginocchia grosse, seduto sulle gambe di mia madre. Giuro! Me lo ricordo benissimo. Non avevo mai visto nessuno come mia madre. Se mi avessero detto che fosse l’arcangelo Gabriele e che mi trovavo davanti al paradiso, ci avrei creduto. Non sembrava una donna, ma un angelo, un arcangelo, così come io immaginavo un arcangelo. Era nevrotico da bambino, però. Così nevrotico che mi mangiavo le unghie. Dei piedi, però. Mi sedevo sul letto e stavo mezz’ora a mangiarmi le unghie dei piedi. Adoravo mamma. A volte l’ho odiata, però. Come quando decise, lei, maestra alle materne, che “Non devi venire al mio asilo perché devi conoscere altri bambini lontano da me”. Ma io volevo stare con lei. Che mi fregava degli altri bambini? Comunque niente. Dovevo andare dalle suore. Eh si. Fu traumatico per me andare dalle suore a tre anni. Cazzo, affidato a un branco di femmine sadiche, avvolte in un saio bianco e nero, dove non si vedevano i capelli, che maltrattavano sempre me e altri tre come me. Ma che cazzo facevo per meritarmi certe punizioni tipo in ginocchio per tutta la mattina sui ceci ( li compravano apposta ), essere rinchiuso in una stanzetta buia, niente pane e nutella preparato da mamma. Pure quelle cose che non erano punizioni diventavano punizioni: tipo dormire “obbligatoriamente” dalle 14,30 alle 16 con la testa sul banchetto. Io lo dicevo a mia madre che non mi credeva. E neppure mio padre. Credeva a quelle Cape di Pezza false più di Giuda. E poi alcuni compagni più grandi che mi picchiavano senza motivo. O mi facevano piangere dicendomi che avevo una malattia. O mi pizzicavano a morte, in gruppo. Crudeli sono i bambini. I corridoi sporchi con l’intonaco che cadeva a tratti, l’odore di brodino e di trippa bollita. Mannaggia la Madonna. Sono sicuro che gli asili delle suore abbiano formato intere generazioni di bestemmiatori incalliti. Un po’ come certe scuole cattoliche/private di oggi. Quando poi sono andato a scuola, nel vedermi in mezzo a tanta gente stavo malissimo. Ho pianto tre giorni di fila, a scuola, la prima volta. Ho fatto la Primina. Che non ci potevo stare, quattro ore seduto, vestito di blu, con un fiocchetto rosso del cazzo, in mezzo agli altri, a sentire la maestra, mia zia, che si dava dell’importanza e mi prendeva pure a schiaffi quando piangevo o quando a scuola la chiamavo zia o quando non la ascoltavo. Ma chi sei, che ti devo ascoltare? E piangevo. Ho pianto tre giorni. Lei mi mandava dal direttore, la troia di mia zia. Però faceva bene. L’ho capito dopo. Alla fine ho smesso di piangere. Poi da bambino avevo già il complesso della “superiorità dei Settentrionali”. Schifavo i miei amichetti di Milano, Torino, che venivano a passare le ferie qui, nel mio paesello. Perché? Perché, cazzo, in quanto a cartoni animati stavano più avanti di noi di anni. Su quelle loro televisioni strane già furoreggiavano Gundam, Daitarn3, coi loro lineamenti quadrati e noi stavamo ancora a Goldrake e Il Grande Mazinger, con le loro forme tonde ( provate a vedere la differenza tra un braccio o una coscia di Daitarn3 e Goldrake ) e retrò. Poi Gundam e Daitarn3 e altri sono arrivati pure sulle nostre televisioni in Terronia. E io imparavo tutte le canzoni delle sigle a memoria. Per poi spiattellarle in faccia agli amichetti polentoni che venivano giù, d’estate. Per dimostrare che “…questi Robot li conosco pure io, bello!”. Solo che storpiavo sempre le sigle. Per esempio la sigla di Daltanious, io dicevo “È Daltanius bimbumbaleggiù”. Invece era “È Daltanius che compare giù”. Poi Zorro, dicevo “Zorro Zorro Zorrooo ti impicchi cattiva paura!”. Invece faceva “Zorro Zorro Zorrooooo, di te chi è cattivo ha paura!” Godsigma? Bene, dicevo “GodSigma! Scagliando la sua spada nello Spazio! Di certi suoi nemici ha preso il vizio, la forza la forza, la forza vinceràààààà”. E invece era “Ti getti sui nemici a precipizio, la forza, la forza, la forza vinceràaaa!”. Quale cazzo di vizio. E poi Capitan Harlock. Qua dicevo : ”Il suo teschio è una bandiera che lui lancia contro il mar, ma è un uomo generoso come Mal”: Su questa ancora oggi non ho capito cosa dice, ma so per certo che Mal non c’entrava nulla e che cantava la sigla di Furia Cavallo del West. E poi c’erano tante leggende metropolitane per bambini. Cioè non erano metropolitane, forse neanche provinciali, visto che il mio paesello era contava un poco più di mille abitanti. Comunque non so se voi le avete sentite ‘ste leggende metropolitane che poi erano vicende tragicissime, eh. Per esempio una riguardava la morte tragica del figlio di Pippo Franco: si diceva che fosse morto soffocato da una Big Babol, quelle fatte col grasso di topo. Un’altra era questa: il cantante dei Rockets, un gruppo elettronico fatto di pelati/argentati, morto di tumore alla pelle a causa del prodotto che usavano per dipingersi. Poi mi ricordo di quando uccisero Aldo Moro e tornai a casa. Mio padre e mia madre muti, che guardavano la televisione. Mia mamma ogni tanto parlava delle Brigate Rosse che erano delinquenti e avrebbero scatenato una guerra civile. E diceva “Vigliacchi”. Mentre mangiavo, io pensavo alle Brigate Rosse. Pensavo che le Brigate Rosse erano dei drogati che volevano far diventare l’Italia identica alla Russia. Mi sbagliavo. Pensavo che le Brigate Rosse erano degli assassini perché sparavano in continuazione a chi cazzo volevano loro e perché in Russia c’erano solo strade deserte, fabbriche e lunghe trasmissioni di discussioni di uomini politici vestiti da militari. Mi sbagliavo. Dopo sparecchiato, mia madre ha detto che il mondo che mi aspettava diventava sempre peggiore, e che il mio futuro sarebbe stato spaventoso perché non si capiva più niente di quello che stava accadendo. Cazzo, ci ha azzeccato. Poi quando ero piccolo avevo sempre questo prurito alla schiena. Forse perché mi lavavo poco. E sudavo molto. Mia nonna Pasqualina mi diede un oggetto strano, un bastoncino di una quarantina di centimetri che da un lato era calzascarpe e dall'altro era una manina per grattarsi la schiena! Che flash. E che sollievo, allora. Guardavo sempre un programma con Truciolo, poi. Truciolo faceva il ballerino in un programma con Heather Parisi. E’ morto di AIDS. E la più bella canzone di Heather Parisi, faceva “Ti rockerò, Ti shockerò, Sarò solo la tua pupa rock, Oh oh oh oh oh, Io con te sarò carina.”. E mio nonno Felice? Madò, diceva sempre che ai suoi tempi era tutto migliore. Mi raccontava che c’era il fascismo, che mio padre e mia madre erano dei traditori comunisti e che era meglio vivere un giorno da leone che cento giorni da pecora. Io capivo che durante il fascismo dovevi vivere un giorno con un leone, assieme a un leone. Che potevi insomma decidere se vivere cento giorni con una pecora o assieme a un leone, insomma. E che per lui era meglio il leone. Poi mi sono accorto che mio nonno era un idiota. E anche il fascismo. Avrei voluto dirglielo, ma nel frattempo era morto di cancro allo stomaco. Almeno così ci dissero. Mia mamma però non ha mai capito di cosa è morto nonno Felice. Il Liceo non lo voglio ricordare che mi viene un groppo alla gola, tipo quello che mi venne quando vidi Titanic, sui titoli di coda. Mi ricordo solo che ero attratto dalle Rivoluzioni, che dovevo essere un rivoluzionario, come le Brigate Rosse che avevo rivalutato. Mi piacevano i temi di italiano. I primi cominciavano cosi: “Distruggeremo questo sistema basato sul denaro e sul potere”, e regolarmente prendevo quattro. Poi capii come si prendeva sette, bastava inserire prima di “Distruggeremo questo sistema basato sul denaro eccetera”, delle frasi che avessero attinenza con la traccia dettata dal professore. Il tutto dopo un po’ veniva naturale. Ero diventato un convinto comunista. All’Università diventai Anarchico. Cominciai ad odiare la Russia, la Cina, i Paesi dell’Est, la Corea, Cuba. Là, in quei posti, tutti compravano armi, missili, satelliti, tutto per il Partito. Ed esisteva una specie di stato di polizia. E la povera gente? Divenni Anarchico. Cominciai a leggere Bakunin e Malatesta, ma ero solo. All’Università di Anarchici manco l’ombra. E così mi confusi tra i Compagni della Pantera. Ma sempre Anarchico rimanevo. Che poi tutta ‘sta differenza con un certo tipo di comunismo non lo vedevo. Adesso? Io non lo so, adesso se sono anarchico o no. Mi piacerebbe leggere di nuovo Malatesta o Bakunin o Kropotkin, mi piacerebbe essere anarchico. Però non lo so, se sono anarchico o no. Un po’ sì, però. O no? Voi siete anarchici? Sì? Beh, però io sono molto, ma molto, ma molto più incazzato di voi. Il sesso? Beh a nove anni, ero da alcuni miei zii, di terzo grado mi pare. C’era un fiumiciattolo e io andavo al fiumiciattolo insieme a mia cugina che aveva due anni in più di me. Guardavamo il fiume, il cielo, una volta l’uno, un’altra volta l’altro e mia cugina mi ha detto di farle vedere il pisello. Io mi vergognavo, ma alla fine gliel’ho fatto vedere. Lei lo toccava e mi ha detto di chiudere gli occhi. Mi diceva di stare tranquillo, e di riaprire gli occhi solo quando me lo diceva lei. Aspetta, diceva. Io mi sentivo strano. A un certo punto mia cugina mi ha detto Apri gli occhi e guarda dritto. L’ho fatto. H o visto il fiume azzurro e giallastro e tanti puntini rossi, nati dallo strizzamento degli occhi, forse. Ho avuto l’impressione che mi girasse la testa. Allora mi sono spaventato e mi sono alzato così com’ero, con i pantaloni abbassati, gridando. Mia cugina si è spaventata. Si è messa a gridare e anch’io gridavo più forte. Mia cugina mi ha detto che ero pazzo, e non mi ha mai più fatto una sega. Poi mi sono tirato i calzoni su e siamo andati a casa di mia zia a mangiare le orecchiette con le cime di rapa. La prima volta che ho fatto l’amore avevo sedici anni e mezzo, ma non mi ricordo bene perché era buio. Eravamo nella camera da letto dei miei genitori quando lei, Monica, la milanese, si è infilata sopra e io non me ne sono accorto proprio. Poi a un certo punto lei mugolava, si spostava di qua e di là, sopra di me. Io ho acceso la luce. Lei mi ha detto Cosa fai? Io nulla, le ho detto. Ho guardato bene e ho visto che era avvenuta la penetrazione. Io le ho chiesto se era vergine e lei mi ha detto alla mia età? E vabbè hai 17 anni, ho detto io. E lei ha fatto una faccia di sufficienza. Così mi sono emozionato e vergognato, non ho capito più nulla e sono venuto. Ma non era niente di speciale. Anzi. Però mi aspettavo tutto in quel momento. Questo me lo ricordo. Poi mi innamorai di Maria Lucia. Che male che provai quando non mi chiamava, se non per scopare. Avevo 17 anni. E’ come se io ero lì e pensavo fosse una storiella bella, tipo Beautiful e invece lei non mi chiamava, semmai scopava pure con un altro ( ne son’ stato sempre certo e infatti era così ) e poi magari mi diceva: Vedi non so qualificare la nostra storia, io forse non ti amo, ma non siamo né amici, né amanti…insomma sì…non riesco a definire il nostro rapporto e nemmeno mi va di farlo. Ma vaffanculo a te e Beautiful, pensavo Poi mi fidanzai con Rita di Benevento. Tre mesi insieme. Andavo a trovarla col motorino: il mio Super Bravo. Religiosissima. Lei, diceva, che bisogna essere devoti di Padre Pio. Con questa non si poteva scopare. Era peccato. Lasciata. Anzi no, ha lasciato lei me. Come Maria Lucia. Anna meglio che la cancello, dai. Come Susy, Francesca, Annarita, Simona. Pure loro però mi hanno lasciato, per restare in tema. Meglio così, però, a dire il vero. Ero già cresciuto. Parecchio pure. Minchia, ricordo pure il giorno della visita militare in cui avviene il palpeggiamento dei coglioni. C'era un medico dietro una scrivania e davanti io, nudo. Il dottore mi fece alcune domande e poi mi si piazzò davanti e cominciò a controllare le ghiandole salivari, i linfonodi, e a un certo punto guardò improvvisamente su come se avesse visto qualcosa sul soffitto. Guardai su anch'io e tac! Mi sentii palpare i coglioni. Quello dopo di me gli si presentò davanti con l'alzabandiera, il pesce rizzato insomma, e il medico gli assestò un colpo secco con una bacchetta sul pesce. E mò? E mò nulla. Sono tre anni e più che ho il pizzetto. A mio zio Achille non piaceva. Mi diceva che mi stava male. È arrivato ad offrirmi mezzo milione, se me lo tagliavo. Gli faceva proprio schifo. Adesso pur’ se me lo tagliassi, mio zio Achille non fa mica più in tempo a vedermi senza pizzetto. E a darmi il mezzo milione. È morto un anno fa. Sono pure più antipatico di una volta credo. Forse no. Cioè tutti, ci sono periodi che sono simpatici e periodi che sono antipatici. Però è difficile capirlo.. Che delle volte ti vengono delle battute bellissime, che ti fan ridere anche te che le hai dette, e invece di ridere molti ti guardano con una faccia strana. Chissà a cosa cazzo pensano. Come se fossi un Visitor ti guardano. Adesso le cose sono più brutte. Almeno così mi pare. Il funzionamento delle cose che sono immediatamente vita, pensandoci bene, mi sembra molto volgare, e allora a me va senz’altro bene la finzione assoluta. Ma vi siete mai accorti che in giro c’è pieno di professori che si danno delle arie, l’un con l’altro, per darsi delle arie e per dimostrare che sanno delle cose? Provate in un ristorante, li vedi seduti attorno ai tavolini che li senti fare dei discorsi complicatissimi. Che quando han finito, nel ristorante, non tira il fiato nessuno. Non vola una mosca. Staranno poi bene, dopo? Mah. Ma come mai siete ridotti così? Credete di essere colti, a fare questi sfoggi? Io ho preso l’abitudine che dico sempre meno di quello che so. E i tuoi coetanei? Come sono ridotti. Vai al Cinema? Bene. Ti chiedono Hai visto Film Blu? Sì, devi dire. Ti è piaciuto, ti chiedono. No, devi dire. Ma daì, ti dicono. Eh, gli dici. A me è piaciuto, ti dicono. Ma daì, devi dire. Sì, ti dicono. Molto bello, ti dicono. Allora tu devi chiedere Hai visto Film Rosso? No, ti dicono. No? devi dire. No, ti dicono, l’ho perso. Peccato, devi dire. Dopo ti chiedono Ti è piaciuto Film Bianco? Sì, devi dire. Sì? chiedono. No, devi dire, scusa. Ah, ti dicono. Ma che cazzo me ne strafotte a me di queste conversazioni? E poi vedo sempre della gente che entra, si presenta, sorride. Capisci subito se sanno fare le cose o non sanno far niente. Che la gente che non sa fare niente, ha un modo di sorridere tutto particolare. Sorridono male? Sorridono bene. Hanno dei sorrisi circolari che gratificano delle tavolate intere. Tipo “Te lo do io il promemoria”, quella pubblicità. Sorrisi a curva, che sorridono ad uno per sorridere ad un altro. Sorrisi a spirale. Sorrisi a boomerang. Sorridono, smettono, poi sorridono ancora. C’è della gente che sorride da professionista. Allora mi chiedo Cosa sa fare, quello lì, che sembra così contento? Sa sorridere. Il suo mestiere, è essere gradevole. Che gli altri si ricordino che lui è simpatico, persona che fa piacere averla vicina. Abbraccia benissimo. Delle strette di mano che manco immaginate. Il periodo più esaltante della mia vita, non è che sia stato un periodo privo di dispiaceri. Solo, reagivo bene. Mi sembrava che non valesse la pena di prendersela. Mi sembrava anche di avere capito un sacco di cose, e scrivevo. Ero anche pieno di donne. Invece adesso dormo male, mangio troppo. Mi sveglio con delle idee tutte nuove, nella testa. Ma al primo rutto dimentico tutto. E non mi viene più nulla in testa. Adesso, quando sto male, io non dico niente a nessuno. Io non telefono ai miei amici a dire “Sto male”, se non raramente. E quando sto davvero male. E nessuno mi chiama. Porca puttana. Mi chiama solo uno che mi dice Avvocato Franti? Sì, gli dico. Silenzio. Avvocato Franti?, ripete. Sì, sono io. Sono Tizio, Avvocato. Buongiorno, gli dico, ma non mi ricordo di lei. Non è che cerca l’altro Avvocato che fa pure Franti di cognome?. Sì, può essere, anzi, sicuramente, risponde. Allora deve chiamare a un altro numero, gli dico. Ah, mi dice, infatti, non riconoscevo la voce. Ci sono dei momenti che mi sconforto. Che mi dico Ma secondo te com’è possibile che tu riesca a fare qualcosa di buono? Ma guardati, mi dico. Guarda il disordine. Com’è possibile che combini qualcosa uno che ha sempre le coliche renali, uno che si è laureato a 24 anni e che è diventato controvoglia Avvocato a 27, uno che ha fatto il carabiniere ausiliario, uno che campa guadagnando poco più di un operaio, uno che passa un sacco di tempo in chat perché ha finito il contratto a mò di scusa? Invece di stare chiuso in casa tutti i giorni, perché non vai a cercare un lavoro che ti piace fare, mi dico. O perché non cerchi di fare quello che veramente vuoi? Ad un certo punto non mi rispondo. Mi sembra di avanzare nel miele. Ma sono cresciuto. Sono sempre la stessa persona. Non sono cambiato così tanto. Sono cresciuto. Ho paura di invecchiare. O forse spero di invecchiare. So soltanto che certe cose non se ne vanno mai. Certe cose si aggrappano a te con tutta la forza che hanno e non mollano la presa. Si nascondono in qualche posto buio dove tu non ti sogneresti mai di cercarle e aspettano. Aspettano un sacco, aspettano che tu cresca e le dimentichi, il tempo non è un problema per loro. E poi magari, un giorno, quando ormai sei diventato grande e grosso, e la tua vita assomiglia ad una vita felice, quelle Cose sbucano fuori dal loro nascondiglio ed incominciano a fare un sacco di chiasso. E non c’è modo di zittirle. Devi fare come dicono loro. Quelle cose finiscono sempre per spuntarla. A volte è meglio avere delle amnesie. O meglio, non sempre. Però le amnesie le vorrei avere volentieri per cose come Anna, Pol Pot, la morte di mia madre e Michael Jackson. Me ne andrò al Nord, credo, anzi ne sono sicuro. A dire il vero lo spero. Ho delle cose ancora da fare e mettere a posto. Che mica è facile, eh, farle e metterle a posto velocemente. Sarò ossequioso a quell’infantile “complesso del Settentrione”. Niente a che vedere con i cartoni animati dei Robot, stavolta, però. Vado a fare quel’ che voglio. Tardi? Non è mai tardi. Solo, vorrei non avere mai dubbi. Spesso sì, ho questo dubbio: penso che voglia fuggire da questa dimensione e da me stesso. Ed è impossibile. Come diceva Freccia “…da te stesso non fuggi neppure se sei Eddie Merckx”. Credo che Freccia abbia ragione. E che non c’è ragione per autocommiserarsi. Ma per ricordare, sì. Posto? Posta và, che cazzo te ne fott’. Vittorio Emanuele P.S. _ Un ringraziamento per quel che ho scritto al Diavolo che Canta, a Culochebatte, a Nori, a Nove, al Collage, al Web, alla Faccia di cazzo, al Riciclaggio, al Copia&Incolla, alla Memoria, ai Franti, a Purtuallino, a Berlusconi a cui pensavo per incazzarmi, all’Alpino Moderato |Antalm|, a Ciruzzo, a Mary e…ad Evi|Arma. P.S.2 – Minchia! Meglio dell’Analisi.
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