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Nick: Georgie
Oggetto: Un altro lato di Jim Morrison
Data: 29/4/2005 12.32.39
Visite: 101

"La strada dell'eccesso conduce al palazzo della saggezza"

Ipocrisia. I programmi scolastici ministeriali, i valori spacciati in televisione, le precauzioni, la prevenzione, le reticenze, la buona educazione, la modestia e il senso di colpa cattolici, la famiglia, gli avvocati, i legislatori e chi li vota. Tutto un grande crogiolo di ipocriti, vuoti, informi, privi di un'identità, inconsapevoli di esserlo, che forgiano altri esseri viventi affinché consapevoli non lo diventino e quindi non li smascherino rivelando la loro assoluta inconsistenza.
Detestiamo chi spezza le consuetudini, chi mette in dubbio ciò che è ritenuto valido, a meno che non sia già morto, meglio se da un bel pezzo, residente cioè in un'alterità che ci giustifica e ci assolve. Ormai privo di una voce e di una fisicità che possano sfuggire al controllo; permettiamo che si studi - mai che si ami - qualche contestatore e la sua opera, soffermandoci non già sulle spinte interiori, sulle polemiche sociali, sulle rivoluzioni, le innovazioni, le guerre generazionali, la radicalità di un pensiero storicamente nuovo, ma sulle scelte stilistiche, sulle eredità culturali di altri personaggi del passato, sull'identificazione delle figure retoriche e simili banalità. Pur senza negare l'importanza del significante, dal quale dipende la trasmissione del significato nel suo farsi rappresentazione, io rivendico la centralità dell'emozione.
Nessun insegnante, ligio alle regole delle moderne metodologie didattiche, si scandalizza se uno studente non comprende il valore artistico di una poesia, se non si innamora del poeta e non prova passione per le sue passioni, purché sappia distinguere una metonimia da una sineddoche e ricordi esattamente le date e le definizioni. In questo contesto di umana e misera esigenza di appiattimento e conformismo, non ci stupiamo se l'amore per la poesia o per la pittura nascano negli adolescenti per vie misteriose, spontanee, non volute, non cercate, non indotte, non educate. Grandi amori che non si devono agli "educatori" - insegnanti, famiglie, "operatori culturali" - ma a qualche sconosciuta alchimia dell'anima che si accende da sé, come un'autocombustione. Un vero peccato però che gli altri, la maggioranza, vengano privati della bellezza e del piacere di amare l'arte. Almeno dell'opportunità, giacché nessuno può instillarti una passione che non sia già in te, magari sopita e in attesa di riscoperta. Un vero peccato che gli adolescenti, nel leggere Leopardi, Montale, Foscolo, Dante ecc., non sentano montare dentro di sé un coinvolgimento profondo che si trasforma in pathos condiviso, compassione cioè, e amore e fervente ammirazione e desiderio di possesso e rimpianto per quel poeta che i libri di scuola e gli insegnanti rendono solo come un freddo, vecchio, distante erudito, magari un po' sfigato, uomo d'altri tempi. E' un vero peccato che sui libri si scuola non si parli mai abbastanza chiaramente delle intuizioni e delle esperienze di vita che furono veramente basilari per gli autori, e che trapelano dalle loro opere, quelle che li rendono così vicini a noi, così simili, presi dalle stesse domande, dagli stessi dolori, dalle stesse passioni, che descrissero in modo così pregnante da collocarsi al di fuori dal tempo, dalle contestualizzazioni, dalle categorie temporali di "vecchio" e "moderno".
Ed è un vero peccato che nei libri di scuola si sorvoli sulle esperienze più rivoluzionarie e "violente", più destabilizzanti, o che si liquidino appunto contestualizzandole, negandone così il loro valore e significato eterno e quindi assimilabile dai giovani in quanto valido anche per se stessi. E, ancora, è un vero peccato che per la stessa ragione si tengano accuratamente fuori dalle aule scolastiche artisti ed autori contemporanei, troppo vicini a noi, al nostro tempo, al nostro costume, alle nostre regole sociali e politiche, quindi troppo pericolosi.

E' il caso di Jim Morrison, che un fenomeno sociale come quello della mitizzazione delle rockstar e la spocchia di molti intellettuali benpensanti hanno tenuto lontano dalla categoria "letteratura", né hanno mai osato prenderlo seriamente in considerazione come poeta, e poeta di talento, sulla scia di molti altri artisti "maledetti" riconosciuti, ma morti troppi anni fa per essere avvertiti come minaccia. Mi riferisco in primo luogo a Rimbaud, che amò tanto da scrivere una lettera appassionata ad un autorevole accademico americano che ne aveva curato la traduzione, Fowlie Wallace, ringraziandolo per il suo lavoro. A distanza di anni da quell'evento e dalla morte del giovane Jim, l'anziano accademico esperto di letterature comparate, ha scritto un saggio molto affascinante "Rimbaud e Jim Morrison. Il poeta come ribelle" (ed. Il saggiatore). Quanto è lontana quest'immagine di Jim Morrison da quella descritta dal film di Oliver Stone e da tanto sensazionalismo fondato sulla ben nota ed ormai logora trilogia "sesso, droga & rock and roll"! La realtà è che nel 1968, l'allora venticinquenne Jim Morrison, nel pieno del suo successo, quando le cronache raccontano solo le sbronze epiche, gli abusi di droghe e le avventure con le grupies, è al contempo un fine lettore di poesia e letteratura francese, talmente inebriato dai versi del poeta "maudit", da sentire l'urgenza di scrivere all'illustre accademico - con la presunzione e la sicurezza che solo un'artista consapevole delle proprie qualità può permettersi - per complimentarsi con lui per il suo libro su Rimbaud. Questo è solo un aneddoto ed uno dei moltissimi elementi che rivelano un Jim Morrison sconosciuto ai più: il grande poeta che egli sentiva di essere, al punto da rinnegare, negli ultimi mesi di vita, quel ruolo di rockstar che il fato gli ha cucito addosso con la complicità del suo ego e di un pubblico giovanile desideroso di trovare uno sfogo ed una rappresentazione alla sua ansia di ribellione alla bigotta società americana degli anni '60.
Jim Morrison era uno studente brillante, originale, un divoratore di libri, anche insoliti e sconosciuti dai suoi stessi insegnanti, che lo adoravano per la sua intelligenza fuori dal comune e per la passione che infondeva nello studio, uno studio non ortodosso, non costante, con convenzionale, ma così vitale, autenticamente vissuto, da indurre i professori a lasciarlo fare ed anzi, a confrontarsi con lui in lunghi ed eruditi dibattiti che spesso lasciavano a bocca aperta i compagni di classe, e questo sia negli anni di liceo sia all'Università di Cinematografia dove si laureò.

Jim amava Nietzsche e il suo attacco serrato alle convenzioni sociali e al concetto di moralità. Del grande filosofo tedesco sentiva particolarmente affine la tagliente critica all'attualità, la capacità di leggere la storia ed il passato in chiave innovativa ed essenziale, indagando quelle dinamiche psicologiche e relazionali che generano i mostri della frustrazione, del dispotismo, della discriminazione, dell'incongruenza.
"Sono interessato a tutto ciò che concerne la rivolta, il disordine, il caos, e in particolare alle attività che sembrano non avere alcun senso", diceva Jim. E il suo spirito si nutriva con la Nascita della Tragedia, trovando nella mitica lotta tra ordine e caos, apollineo e dionisiaco, la metafora archetipica del mondo e dell'animo umano. Jim scelse senza esitazioni l'identificazione con Dioniso, l'ebbrezza, la vertigine, l'indistinto che tutto contempla e nulla esclude e divide. E il pubblico riconobbe la legittimità di questa identificazione riconoscendo in lui gli stessi valori salvifici ed immortali che i greci dovevano riconoscere in Dioniso, e poi i cristiani, tramite la trasposizione del mito greco, in Cristo, in virtù di quella divinizzazione che contemplava anche la resurrezione, oltre che l'associazione del sangue al vino, dell'ebbrezza mistica a quella edonistica ecc. Questo accostamento non paia blasfemo ed eccessivo: se ragioniamo tenendoci lontani dal senso del sacro, dalle remore culturali e cercando di immaginare la storia umana ed i miti umani come rappresentazioni delle medesime eterne esigenze dello spirito, vedremo che l'amore e l'idolatria che portarono e portano gli uomini ad amare, venerare e seguire un altro essere umano, riconoscendo in lui doti particolari di elevazione dello spirito sono gli stessi; che siano virtù taumaturgiche e salvifiche o edonistiche, poco importa, se il puro piacere è in grado si sollevare lo spirito e in definitiva di "salvare" l'istante presente. "Ti dirò questo, nessuna ricompensa eterna ci perdonerà adesso per aver sprecato l'alba" (Jim Morrison, The Wasp).

Da sempre in alcune culture si ricorre all’uso di sostanze psicoattive che causano degli stati alterati di coscienza, analoghi a quello che yogi e asceti sperimentano naturalmente grazie all’addestramento psicofisico e alla meditazione. In alcuni gruppi etnici del passato solo i grandi iniziati potevano accedere all’uso di quelle sostanze, poiché non si trattava certamente di un gioco adolescenziale per evadere dalla realtà, bensì di un modo per penetrarla più a fondo grazie al ricongiungimento con la coscienza cosmica. Oggi, invece, l'uso delle droghe è associato di fatto solo al tentativo di evasione dei giovani e per questo bollato in toto come negativo, quindi da perseguire e scoraggiare. Purtroppo però, con il proibizionismo e la criminalizzazione dei consumatori di droga, si tagliano i ponti con le nostre radici, ci viene preclusa l'opportunità di ricavarne i benefici in ambito farmacologico e psicologico e ci viene impedito di provare esperienze mistiche, estetiche e conoscitive che un tempo furono accessibili a Baudelaire, Freud, Huxley, contribuendo anzi alle loro intuizioni e all'elaborazione delle loro opere.
A mio avviso anche Jim Morrison rientra in questa tipologia di artisti ed intellettuali, e per questo - oltre che per l'unicità ed il valore delle sue performance e delle sue poesie - non può essere assolutamente liquidato con la semplice etichetta di rockstar tossicodipendente e alcolizzato, modello negativo privo di spessore per adolescenti ribelli. Jim Morrison, però, a differenza dei suoi illustri predecessori sopra citati, viveva già in un epoca piena di conformismi, logiche preventive ipocrite e perbeniste; l'America degli anni ' 60 era assai bigotta e conservatrice eppure i suoi figli migliori furono quelli che ne contestarono le attitudini repressive, riattingendo invece a quei semi che ne fecero e ne fanno ancora la sua grandezza: la lotta per la libertà, le inquietudini e le ebbrezze delle frontiere lontane e infinite, la molteplicità delle esperienze e delle culture che si incontrano attraversando il suo territorio immenso, le popolazioni autoctone amerindie così permeate di sciamanesimo e misticismo. Movimenti musicali ed artistici percorsero gli Stati Uniti sfidando i tentativi di appiattimento e Jim, come molti altri, cavalcò l'onda, figlio del suo tempo, lasciando un segno indelebile che vive tuttora nella musica, nel teatro, nella poesia.
"L'alcol era la panacea di Jim, la pozione magica che rispondeva ai suoi bisogni, risolveva i suoi problemi e gli appariva storicamente come 'la cosa da fare'. La sua distruzione era armonica rispetto all'immagine dionisiaca con cui si era identificato e che amava diffondere; era anche saldamente radicata nella tradizione culturale americana" (tratto da "Nessuno uscirà vivo di qui", J. Hopkins, D. Sugerman, ed. BluesBrothers). Jim era perfettamente consapevole anche quando beveva. Amava dichiarare: "quando ti ubriachi, sei completamente controllato...fino a un certo punto. Ogni sorso che bevi è una scelta. Hai tante piccole scelte. E' come...credo che sia la stessa differenza che corre tra il suicidio e la lenta capitolazione". E il valore di carburante creativo che attribuiva all'alcol e quindi il suo grande amore per la poesia sono espressi in questi versi:


Perché bevo?
Così posso scrivere poesie.
Talvolta quando si è a fine corsa
e ogni bruttura recede
in un sonno profondo
c'è come un risveglio
e ogni cosa rimasta è reale.
Per quanto devastato è il corpo
lo spirito cresce in energia.
Perdona a me Padre poiché io so
quello che faccio.
Io voglio ascoltare l'ultima Poesia
dell'ultimo Poeta.
(da "Tempesta elettrica")

[...]Allo stesso modo il pubblico dei suoi concerti non lo ammirava per la sua musica, per la sua carica comunicativa, ma per la sua bellezza e per il suo erotismo: arrivò al punto da rendersi volontariamente "brutto", lasciandosi crescere la barba, dismettendo quegli abiti di pelle che rendevano il suo corpo più provocante e desiderabile e a nulla valsero le lamentele e le preghiere degli agenti, dei discografici e degli amici preoccupati per l'effetto che questo nuovo look avrebbe avuto sulle ragazzine adoranti. Gli ultimi anni della sua vita da rock star furono sofferti e solitari. Era finito un capitolo ma nessuno voleva lasciarlo andare. A lui non interessavano la fama e la ricchezza, non interessava una gloria eterna nella quale magnificarsi. Conosceva il suo valore, non aveva bisogno di conferme ma di comunicazione e condivisione. E questa non c'era più. Gli venne però una grande soddisfazione dall'incontro con il poeta inglese Michael McClure, al quale sottopose con timidezza i suoi libri "The new creatures" e "The Lord" nei quali riconobbe, come affermò in seguito, la mano e l'anima di un artista.

Come un moderno alchimista, Jim si è tuffato nel mare oscuro della Nigredo, incurante dei flutti, ben cosciente che per raggiungere la luce non c'è altra via che attraversare, prima o poi, quelle acque. "La strada dell'eccesso conduce al palazzo della saggezza", affermava Blake, ma il nostro Jim, non ha avuto tempo di ritornare su, dopo aver toccato il fondo di uno dei due aspetti complementari e fondanti dell'esistenza... o forse sì, chissà...
Noi ti aspettiamo Mr. Mojo.




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Un altro lato di Jim Morrison   29/4/2005 12.32.39 (100 visite)   Georgie
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