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Nick: Kashmir
Oggetto: Una culla dell'anima..sporcata
Data: 3/5/2005 2.4.47
Visite: 86

Da bambino usciva spesso col padre, ogni Domenica, quando la messa era già finita, e la madre era intenta a cucinare quella pasta al forno che lasciò una traccia indelebile nella sua infanzia, forse per il profumo che usciva dalla cucina e attirava il piccolo Sam ogni volta che rientrava, e correva fra le braccia della mamma assaggiando una polpettina mentre sentiva l’odore della sua pelle, un misto di profumo di orchidea e di quel sugo cucinato con tanto amore per i suoi due uomini di casa, quell’aroma che solo dalla donna che ti ha messo al mondo si può sentire, quell’inebriante tepore, dolce e avvolgente, come ogni suo abbraccio, come il bacio sulla fronte che gli riservava ogni notte prima di andare a letto, e ogni qualvolta ne avessero bisogno, entrambi.

Il padre le porgeva una rosa rossa ogni volta, accompagnata da un dolce bacio, di cui il semplice schiocco faceva sorridere il piccolo Sam, che si cullava nell’amore che regnava in quella dimora piccola e serena, che, nonostante i problemi finanziari e le scaramucce tra i parenti, era la casa da dove non avresti mai e poi mai voluto separarti, vi regnava un qualcosa di magico, unico, che non si sarebbe rotto mai.

O almeno così credeva.

Bastò poco tempo, un paio d’anni, e le uscite domenicali divennero sempre meno piacevoli.

Il fioraio non ricevette più la visita del padre di Sam, che era troppo intento a fare il dongiovanni con le mamme degli altri bambini, ad ammirare i loro culetti sodi sotto le gonne che arrivavano sino al ginocchio, come si portavano in quel periodo; a parlare del più e del meno mentre l’occhio, inevitabilmente, andava a finire in una morbida scollatura.

Chiamatela "crisi di mezza età", chiamatela come volete, ma i bambini sono svegli, hanno una sensibilità particolare, che gli fa percepire, come un campanello d’allarme, qualsiasi evento, persona o azione che avrebbe potuto compromettere la felicità in cui si cullavano.

Sam se ne accorse.

"Papà chi era quella signora?"

"La mamma di un tuo amichetto"

"Quello non è un mio amichetto. Non lo conosco."

"Potrebbe sempre diventarlo, dopotutto ti porto qui a giocare ogni Domenica, proprio come fa la sua mamma con lui."

La situazione lo infastidiva, gli dava un senso di ansia, e di disagio, riusciva a leggere la malizia negli occhi del padre e di lei mentre mischiavano i loro sguardi su quella panchina piena di scritte e di briciole di pane lasciate da vecchiette sorridenti che nutrivano le decine di piccioni del parco.

Una sera il padre di Sam decise di uscire con quella donna, Sam ne era ignaro, come la sua mamma d’altronde, ma che quel tepore di sugo che c’era nella casa diventava sempre più simile al fetore di un uovo marcio, se n’erano accorti tutti.

"Dove vai, caro?"

"A vedere l’ultimo film uscito al cinema della piazza."

"Bene, allora puoi portarti anche Sam, è da tanto che vuole vederlo."

Lui è stato meno furbo di lei, come al solito, e, caduto ormai in contraddizione, non poté fare al meno di caricare il piccolo Sam nella vettura.

Presero la superstrada, e Sam cominciò a capire che non era al cinema che stavano andando, e la sua emozione cominciò a spegnersi.

"Papà, ma dove lo fanno vedere il film?"

"Non vedremo nessun film, ancora non è in programmazione"

"E perché hai detto una bugia alla mamma? Dove mi porti?"

"La mamma non deve sapere nulla, è una sorpresa, ora andiamo da alcuni amici per organizzarla."

Rupert era nervoso, non riusciva neanche a guardare il figlio in faccia, forse per il nervosismo, o forse per la vergogna.
Fu un viaggio di venti minuti, di completo silenzio.
Le sopracciglia dell’uomo erano tese, le braccia dritte e rigide, la gamba gli tremava e per distrarsi accese lo stereo ad un volume assordante, che zittiva i lamenti di Sam che non era contento del suo viaggio.

Arrivarono in un locale, uno di quei luoghi putridi, sporchi, con un paio di donnette seminude che servivano ai tavoli, le stesse che lanciavano ciò che rimaneva dei loro perizoma alla folla di uomini assetati di un qualcosa che non riuscivano a trovare da nessuna parte, forse un qualcosa che placasse almeno per una sera quegli stati d’animi frustrati e amareggiati dalla dolorosa routine a cui erano stati costretti dalla vita.

Rupert teneva per mano distrattamente Sam, con una presa molto leggera, quasi stesse mantenendo il suo fazzoletto di stoffa perennemente sporco, lo affibbiò ad una delle donnette nude che gli sbattè in faccia un sorriso finto come le sue labbra gigantesche, stringendogli le guance e agitandogli la testa come se fosse un bambolotto, mugolando un mucchio di frasi strane con un linguaggio infantile che persino Sam stentava a comprendere.

Nel frattempo il padre si lanciava fra le braccia del famoso "amico" che doveva incontrare, che tanto amico non sembrava, somigliava più a quella mamma incontrata al parco, solo che ora la gonna era più corta, aderente, rossa, sottile…

Rupert afferò la vita della donna, e cominciò a ballare con quella musica assordante di sottofondo strusciandosi contro il suo corpo, e man mano che le luci si facevano sempre più intermittenti, le due figure si dileguavano nell’ombra.

Sam cercò di seguirli con gli occhi, ma sparirono così improvvisamente che neanche la sua attenta ansia poté trovarli, neanche quel famoso radar che hanno le anime pulite dei bambini.

Mentre la donnetta che badava a lui si alzò per riscuotere una discreta cifra all’interno delle mutande da parte di un componente della banda dei frustati che sbavava come un cane davanti ad un osso di maiale, Sam riuscì a divincolarsi fra quelle braccia fredde e quelle voci finte, andando alla ricerca del papà che lo avrebbe dovuto riportare a casa già da una buona mezz’ora.

Sentì la sua voce provenire da una stanzetta, dalla quale fuoriusciva un odore putrido e nauseabondo, accompagnato da un’altra voce, femminile.

Le due voci sembravano ansimare, e talvolta emettere qualche gemito secco, che diventava sempre più forte man mano che Sam si avvicinava.
Aprì la porta di scatto per recuperare il padre, quando lo vide con le mutande abbassate sino ai piedi, di spalle, con la testa alzata e le gocce di sudore che gli scivolavano dense sulla fronte, mentre spingeva il bacino fra le cosce aperte e vogliose di quella specie di donna che ogni tanto emetteva un grido simile a quello dei maiali quando vengono scannati, con una scarpa a terra e l’altra in equilibrio, un seno fra le labbra del padre e l’altro che gli toccava l’orecchio, entrambi, senza aver fatto caso all’intrusione continuavano imperterriti, lui la penetrava selvaggiamente, quasi con violenza, e lei sembrava apprezzare quella carne che si insinuava nella sua fessura bagnata, aperta a tutto, e a tutti.

Solo quando Sam gridò, i due si accorsero di non essere soli, e senza dire nulla, il padre infilò nuovamente l’uccello nei pantaloni, prese il bambino fra le braccia e sbattè la porta alle sue spalle, lasciando cadere col culo a terra la puttanella dimenticata nello stanzino.

Mentre correvano verso l’automobile, Sam piangeva, urlava, si dimenava, e Rupert gli dava delle carezze sulla testa per calmarlo, vergognandosi come un verme.
Riuscì pian piano a calmarlo, ma una volta partito, gli intimò delle frasi che suonavano quasi come un ricatto.

"Non dire a mamma ciò che è successo, a nessuno, o io e te non ci vedremo mai più e lei mi caccerà di casa".

Sam aveva 10 anni.

Era un bambino.
Innocente, dolce, puro, immenso.

Sam ora ha 32 anni.

Lavora presso uno stabile di un amico, guadagna quanto basta per mangiare e per infilare qualcosa nelle mutande di una sinuosa spogliarellista pronta a soddisfare, anche solo con la mente, ogni sua fantasia erotica.

Era diventato un frustrato.

Ogni sera andava lì per bere qualcosa, e tentare di baciare qualche parte del corpo di una delle donzelle che gli servivano il suo solito Malibù, che andavano via sorridendo, facendo l’occhiolino, e il segno dei soldi con la mano.

Durante una di queste sere, vide un bambino all’interno del locale, accanto al bancone del bar, seduto su un piccolo sgabello.
Indossava una camicia bianca a righe azzurre, un piccolo gilet grigio e dei pantaloni alla pescatora dello stesso modello, un paio di scarpe nere, nuove di zecca insieme a dei calzini bianchi corti, e portava i capelli sistemati precisamente con una punta di gel.

Forse voleva fare colpo su qualche fanciulla, forse voleva farsi dare le patatine gratis, forse credeva di doversi vestire elegante, per andare in un locale.


Forse avrebbe voluto essere in qualsiasi altro posto.

Sam lo prese fra le braccia, incurante del padre del fanciullo che era ormai disteso a terra con la bottiglia di cognac mezza vuota che gli ciondolava sulla pancia, e lo portò via, lontano, senza sapere dove di preciso, ma più lontano possibile da lì.

"Dove abiti piccolo?"

"Abito cinque isolati più in là, ma non voglio tornare a casa."

"Perché?"

"Dovevo tornare con papà."

Erano soli, in quella macchina, era tardi, ma non troppo.


"Ti va di andare al cinema?"

Il bambino vide il film più bello dell’anno. Il padre lo ritrovò dopo tre ore, abbracciandolo e chiedendogli scusa per avergli fatto aspettare tanto, non lo avrebbe fatto mai più, la paura di perdere lui, o forse il suo amore, era troppo forte.

Sam vide il calore dell’abbraccio della mamma, l’emozione più bella della sua vita.
Negli occhi di quel bambino.

"Sole e Luna in una mistica armonia
Si guardano, si scrutano, colmati di magia
Da cento, mille luci in un astrale abbraccio
Si scaldano di amore in questo grande intreccio"

"La tecnica non conta, io mi occupo di emozioni" -Jimmy Page-

BaMbO|O libero



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Una culla dell'anima..sporcata   3/5/2005 2.4.47 (85 visite)   Kashmir
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