Lioce, Biagi e D'Antona

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Oggetto: Lioce, Biagi e D'Antona
Data: 16/5/2003 11.7.8
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Il gip di Bologna ordina la custodia cautelare per la brigatista
Ci sarebbero le prove del suo coinvolgimento nell'attentato

"Nadia Lioce nel commando
che uccise Marco Biagi"

BOLOGNA - Nadia Lioce era davanti al portone di via Valdonica, a Bologna, la sera del 19 marzo 2002, quando un commando brigatista uccise Marco Biagi. La convinzione della procura di Bologna è stata fatta propria dal gip Gabriella Castore che ha firmato un mandato di custodia cautelare in carcere per la brigatista arrestata dopo una drammatica sparatoria sul treno Roma-Firenze in cui morirono il brigatista Mario Galesi e l'agente di polizia Emanuele Petri. La conferma verrebbe al gip dai documenti trovati alla brigatista al momento dell'arresto sia da alcune inquadrature riprese dalle telecamere della stazione di Bologna. In più il gip aggiunge che l'arma che ha ucciso Biagi è la stessa che sparò e uccise Massimo D'Antona.

La Lioce aveva rivendicato i due assassini delle nuove Br ma ora il gip bolognese attribuisce a Nadia Lioce un ruolo "sia nella progettazione e organizzazione dell'attentato", sia "nella scelta della persona da uccidere", nello "svolgimento delle ricerche sulle attività intellettuali e sulla raccolta delle informazioni sulle attività personali della stessa" e "del suo pedinamento". Nadia Lioce ha avuto un ruolo nella "scelta dei complici, delle modalità dell'attentato e dei mezzi da impiegare". Insomma, un capo, non un semplice esecutore.

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E, sempre secondo le accuse, ha avuto un ruolo "sia nella partecipazione alla realizzazione dell'attentato stesso, con svolgimento di attività di pedinamento ed osservazione della vittima presso la sua abitazione e negli altri luoghi dalla stessa frequentati".

Precisato questo, il gip Gabriella Castore scrive che la brigatista ha partecipato "al gruppo di persone che erano presenti nel luogo e nel momento dell'attentato, con funzioni di protezione esterna del gruppo di tre persone che si avvicinò e sparò alla vittima. Il gruppo di protezione esterna controllava il passaggio dei veicoli e delle persone nelle vicinanze della casa di Biagi, ed era pronto ad intervenire in caso di necessità".

Un quadro coerente con quanto ricostruito dagli investigatori bolognesi secondo cui ad agire, quella sera di marzo, "sono stati almeno tre uomini, due dei quali travisati e uno a volto scoperto. Una sola delle persone è stata vista sparare". Quanto al momento immediatamente successivo all'omicidio "i dati testimoniali -si legge nell'ordinanza di custodia in carcere per Nadia Lioce- consentono di ritenere che due dei tre uomini si sono allontanati a bordo di uno scooter, a bordo del quale saliva dapprima uno dei due, raggiunto subito dopo dal secondo, descritto come 'abbastanza robusto, pesante, poco agile'. Entrambi indossavano un casco".

Uno di questi uomini poteva essere Mario Galesi, il brigatista deceduto in seguito alla sparatoria del 2 marzo scorso sul treno Roma-Firenze, al quale il giudice attribuisce le medesime responsabilità di partecipazione al delitto imputate a Nadia Lioce.

Quanto all'arma usata per il delitto secondo il gip è la stessa che fece fuoco in via Salaria a Roma quando fu ucciso Massimo D'Antona. "le cartucce esplose nei due episodi sono state sparate dalla medesima arma" scrive il Gip. "L'arma utilizzata per sparare ed uccidere è stata una sola - è scritto nell'ordinanza - e deve ritenersi che sia stata utilizzata una pistola semiautomatica calibro 9 per 17 millimetri (9 corto) la cui canna presenta al suo interno 6 principi di rigatura diverso destrorso". E ancora: "l'analisi comparativa sui tre bossoli calibro 9 millimetri browning corto marca Sellier & Bellot rinvenuti sulla scena del crimine in occasione dell'omicidio del professor Biagi, consente di affermare che sono appartenuti a cartucce sparate da un'unica arma".

(da "La Repubblica" del 16 maggio 2003)