Nick: K|NT4RO Oggetto: Il parco a tema della morte Data: 2/9/2005 20.40.1 Visite: 66
Il parco a tema della morte di Robert Fisk Lunedì scorso, George Bush elogiava i politici avidi e settari di qua, che avevano mancato completamente la scadenza per la nuova Costituzione irachena, per il loro "eroico" sforzo per la "democrazia". Quasi nello stesso momento, ho incontrato per caso un amico in uno degli hotel più noti di Baghdad. È il vice amministratore, e lo conosco da più di tre anni, ma ora sembrava avere il doppio dei suoi anni. Mi ha afferrato un braccio e mi ha guardato in faccia. "Mr. Robert," mi ha detto, "ma lo sa che sono stato rapito?". Ogni giorno, oramai, incontro conoscenti iracheni, o amici che hanno cugini o padri o figli, che sono stati rapiti. Spesso vengono rilasciati. A volte vengono uccisi, e io vado dalle famiglie a porgere delle condoglianze che sono specialmente dolorose per me, perchè sono un occidentale che viene a dire quanto gli dispiace a dei parenti che danno la colpa all'Occidente per l'anarchia che ha ucciso i loro cari. Questa volta il mio amico è sopravvissuto, ma per un pelo. Un altro buon amico, professore di università, viene a trovarmi per un caffè il giorno dopo. La mancanza dei nomi in questo racconto vi dice tutto quello che serve sapere sul terrore in cui è immersa Baghdad. "Stavo sorvegliando l'andamento degli esami finali al dipartimento di linguistica, e ho visto uno studente in età matura che imbrogliava. Sono andato da lui e gli ho detto di credere che stesse copiando. Lui mi ha detto che non era vero. Io gli ho detto che avrei ritirato il suo compito, e lui si è chinato verso di me e mi ha spiegato che mi avrebbe ammazzato se gli avessi impedito di completare il suo esame. Sono andato dal capo di dipartimento. Pensavo che gli avrebbe dato una lezione e gli avrebbe tolto il compito. Ma lui gli ha parlato, e poi ha detto che avrebbe potuto continuare il suo esame. Il mio capo di dipartimento ha tradito la mia fiducia". Il mio amico professore ama la letteratura inglese, ma ora ha altri problemi. "Molti degli studenti sono ora molto orientati all'Islam. Vogliono che le lezioni vengano impartire attraverso il prisma della loro religione. Ma io che posso fare? Non posso insegnare l'esistenzialismo, perchè verrebbe visto come anti-islamico, il che vuole dire niente più Sartre. Gli stessi studenti mi chiedono qual è il messaggio religioso nelle commedie di Eugene O'Neill. Che gli posso rispondere? Non posso insegnare più. Capisci? Non posso insegnare". Dalla "liberazione" di Baghdad ad aprile 2003, 180 professori e maestri di scuola sono stati assassinati in Iraq, e poco dopo la visita del mio professore, ricevo una chiamata da uno dei suoi colleghi. "Hanno rapito il vecchio Amin Yassin e suo figlio, due giorni fa. Non sappiamo dove siano". Amin Yassin non era un ex Baathista come alcuni dei suoi colleghi. Era un linguista in pensione che insegnava grammatica nel dipartimento di inglese dell'Università di Baghdad. Suo figlio, 30 anni, insegna alla scuola superiore. I due sono stati presi nel quartiere Khavrana, dieci chilometri ad ovest di Baghdad. Giovedì, alla stazione degli autobus di an-Nahda, due bombe fanno a pezzi 43 persone, quasi tutti musulmani sciiti, e all'ospedale al-Kindi, che pure riceve una bomba a poca distanza, i parenti dei dispersi urlano mentre cercano di identificare i morti. Il problema è che i becchini non riescono ad attaccare gli arti ai corpi giusti, e in qualche caso, le teste ai tronchi giusti. Me ne vado al Palestine Hotel, dove una delle più grandi agenzie di stampa occidentali ha il suo quartier generale. Prendo l'ascensore e vado ad uno dei piani superiori, dove trovo una guardia e un grande muro di acciaio che blocca il corridoio dell'hotel. Mi perquisisce, fa controllare il mio documento di identità, e qualche minuto dopo una guardia irachena mi fissa attraverso una griglia e apre una porta di ferro. Entro, e trovo un altro grande muro di acciaio di fronte a me. Chiusa con fragore la porta esterna, la porta interna si apre, e mi ritrovo nel corridoio vecchio e malandato. I giornalisti stanno seduti in una stanza dall'aria pesante, con una piccola finestra da cui si vede il fiume Tigri. Uno di loro, un americano, ammette di non essere stato fuori "per mesi". Un giornalista arabo lavora nelle strade per loro; un americano può girare per l'Iraq, ma solo come "incorporato" nelle truppe USA. Nessuno dei giornalisti americani in questo ufficio va per le strade di Baghdad. Questo non è giornalismo da hotel, come una volta l'ho chiamato. È giornalismo da prigione. Uno degli Americani, un vecchio amico coraggioso che conobbi ai tempi di Beirut, mi viene incontro. "Guarda questa, Fisky", mi dice. Queste sono le stronzate che di questi tempi ci danno gli Americani, questo è quello che vogliono che scriviamo." È un comunicato dell'ufficio stampa della Coalizione, i maestri della propaganda delle truppe di occupazione. "I comici portano risate a quintali alle truppe speciali a Baghdad", dice. Torno indietro, attraversando Baghdad. C'è un ingorgo enorme perchè la Guardia Nazionale Irachena (gli Iracheni addestrati dagli Americani che dovrebbero salvare la carriera a Donald Rumsfeld e permettere alle forze USA qui presenti di ridursi di numero) hanno messo su un posto di blocco. La maggior parte di loro sono così spaventati che portano un passamontagna. Come tutti gli Iracheni che incontro, neanche io mi fido della Guardia Nazionale Irachena. Sono stati infiltrati da insorgenti sia sunniti che sciiti, ed ora hanno la fastidiosa propensione a condurre raid porta a porta nelle aree sunnite, per arrestare gli uomini e poi rubare tutti i soldi che riescono a trovare in casa. "Prima arrestano mio figlio, e poi si prendono tutti i miei gioielli", si lamenta una donna su un canale arabo via satellite, che manda in onda un servizio su questa milizia corrotta. Vado a casa, accendo la televisione, e trovo la BBC che racconta di truppe irachene "d'elite" che vengono addestrate a combattere il terrorismo in Gran Bretagna. Eccoli lì, i ramoscelli frondosi attaccati ai caschi, che saltano siepi e freschi ruscelli. Nelle montagne del Galles. Venerdì notte. Nel cuore di questa vasta città che sembra un forno, ecco la Zona Verde, dieci chilometri quadrati di palazzi, ville e giardini barricati, murati, sigillati. In quello che una volta era il centro imperiale del regime di Saddam dimorano oggi il Governo iracheno, il Comitato Costituzionale, l'Ambasciata USA, l'Ambasciata britannica, e diverse centinaia di mercenari occidentali. Molti di loro non hanno mai incontrato un iracheno. Donne in pantaloncini fanno jogging tra letti di rose; "contrattisti" armati, uomini e donne, stanno sdraiati al lato della piscina. Qui c'erano almeno tre ristoranti, almeno fino a quando uno di essi è stato fatto saltare in aria da attentatori suicidi. In un negozio locale si possono comprare accessori per il telefono, giornali, DVD porno. Per ragioni tattiche, gli Americani sono stati costretti a inglobare decine di case di Iracheni benestanti nella Zona Verde, una decisione che ha ha fatto infuriare molti dei residenti. Spesso, questi devono aspettare quattro ore per passare i posti di blocco. E il colmo dei colmi è che la tomba di Michel Aflaq, fondatore del partito Baath che una volta comprendeva sia Iraq che Siria, si trova all'interno della Zona Verde. Venerdì notte, questo castello di crociati era inondato della sua solita luce artificiale. Mentre guardavo le stelle sulla città, ecco un suono sordo e un bagliore dentro la Zona Verde. Da qualche parte, non lontano da me, qualcuno aveva lanciato un colpo di mortaio alla boccia di pesci rossi che è diventata il simbolo dell'occupazione per tutti gli Iracheni. In molti si chiedono cosa ne verrà fatto quando l'intero edificio occidentale sarà crollato. Alcuni dicono che diventerà il quartier generale dei ribelli, altri che sarà il prossimo parlamento. Quello che penso io è che chiunque comandi in Iraq una volta crollata l'occupazione trasformerà il tutto in un parco a tema. O forse solo in un museo. Ride the snake |