Nick: Cyrano622 Oggetto: The Noble Art & A Gentlemen Data: 18/10/2005 0.23.9 Visite: 112
Il vecchio Madison Square Garden era gremito in ogniordine di posto. L'atmosfera era perfetta, un giusto mix tra le luci ababglianti di un cabaret di provincia e puzzo di sudore di una palestra di periferia. Quando uscii dal tunnel il pubblico mi accolse con freddo distaco e con qulla vertigine di scetticismo, di quella che ti crea un solco immezzo agli occhi, che si riserva allo sfidante. All'uscita del mio avversario, del campione, il pubblico andò in disibilio, il tifo era assordante, l'aria si era elettrificata sino alla rottura del dielettrico. Sui volti della gente, in estasi di fronte al campione, si leggeva il trasporto mistico, tutti erano li ma nessuno era presente. Le loro facce urlanti fissavano un punto all'infinito dove il nulla si materializzava, in una sorta di ritiro asceti collettivo. La mia eccitaziome mista alla rabbia che avevo in corpo e che guizzava dai miei occhi in zampilli di sangue, mi stava conducendo drtitto all'orgasmo. Nei occhi del mio avversario leggevo la stessa rabbia, la stessa quantità di rabbia, ma la mia rabbia era diversa. La mia rabbia era mista alla fame di vittoria, alla brama di rivalsa, la mia rabbia era canalizzata chirurgicamente in un apparente serenita, in un freddo distacco, in un glaciale autocontrollo. Io ero un pugile suonato, a fine carriera, io stesso non avrei puntato un centesimo su me stesso, ma in quello risiedeva il mio enorme vantaggio, la mia forza io non avevo nulla da perdere, volevo solo concludere dignitosamente una carriera assai mediocre. Gli occhi del campione erano iniettati di rabbia, ma era una rabbia caotica, senza controllo, vi era arroganza. La stessa arroganza che aveva sciovinato nelle conferenze stampa, urlando come un direttore di un circo di paese che vuole convincerti a vedere i suo fenomeni da baraccone. Nei suoi occhi vi erano sentimenti destabilizzanti e contrastanti, la voglia di affermarsi mista all'appagamento dell'aver conquistato il titolo, la sicurezza di chi il titolo ce l'ha già si mescolava alla paura di chi il titolo lo puo solo perdere e non conquistare. La sua rabbia era diversa dalla mia, la sua rabbia era cieca senza controllo. Le istruzioni dell'arbitro scivolarono via, come se la vasellina che avevo sul volto fosse penetrata anche nell'orecchie fin dentro al timpano. Solo l'inaudita potenza del colpo che assestò il mio avversario sui mie guantoni in segno di saluto mi riporto alla realtà, strappandomi un amaro sorriso. Ne avevo visti di pugili che sprecavano la maggior parte delle loro energie nel tentare di impressionare l'avversario nel saluto e poi crollavano alla prima ripresa. Lo guardai con sufficienza, probabilmente gli risi in faccia... non ricordo. Il suono del gong fu una liberazione per entrambi. Lui si scaglio contrò di me con ferocia, io avanzai mollemente. Un sinistro, un destro ed ancora un sinistro. Un ottima combinazione, se mi avesse colpito mi avrebbe mandato in come per una settimana, ma i colpi erano portati con troppa rabbia. Li schivai tutti. Con il chirugico tempismo e la certosina puntualità che solo l'esperienza ti può dare, misi a segno due colpi precisi, perfetti, che se non fossero stati troppo poco potenti sarebbero stati da manuale. Il primo lo portai alla milza e mentre abbassava la guardia lo colpii tra lo sterno e la bocca dello stomaco togliendoli l'aria. Barcollo senza fiato e si accascio al suolo, fu un attimo e l'arbitro era su di lui a contare. Mi guardai in torno trinfante, il pubblico era ammutolito, ora ero io quello che era lì tronfio a ed arrognate a volersi autocelebrare. Lei era lì in prima fila con il suo vestito di seta a fiori e la colalna di perle, venuta anche lei solo per farsi guardare. Incrocia il suo sguardo compiaciuto e incredulo di chi presagisce di aver sbagliato e ammicando cerca di recuperare, ma quell'aria falsa e ipocrita come la carita che si fa a Natale mi fece stupire nuovamente di come l'avessi potuta amare. Lei era stata con me fino quando ancora dicevano che potevo diventare un campione, ma appena iniziai a perdere gli incontri spari senza dire una parola, senza nemmeno salutarmi. Solo dopo vennia sapere che si era messa col mio attuale avversari, lui si che era un reddito sicuro. Ma ora stavo vincendo io, tutta quella gente stava parlando di me, ero io ad essere al centro dell'attenzione per una sera, al centro del ring col pubblico urlante. Ero sulla vetta del mondo e lei liggiù con la sua espressione sconcertata e incredula che la relegava ancor di più seduta su una sedia in baratro insignificante. Non mi ero accorto che il mio avversario si era rialzato ed un sinistro al volto e un montante sul labbro cancellarono la maschera di arrogante supponenza che ora si era impressa sul mio di volto. Crollai al tappeto con uno squarcio sull'occhio e le labbra sanguinanti. Per un attimo persi i sensi. Poi vidi l'arbitro che contava, ma il conteggio era ancora basso avevo ancora un po' di tempo per recuperare, posso rilassermi, pensai. Svenni nuovamente. All'impovviso assaporai una forte sensazione di caldo misto a salato che si dirompeva nalla mia bocca, era il sudore misto al sangue. La cosa mi fece riprendere. Alzai gli occhi e vidi il mio secondo che stava per gettare la spugna. Mi voltai, non volevo vedere, ma incontrai ancola lo sguardo di lei che ora sorrideva tronfia. Ebbi un sussulto, mi voltai di scatto verso l'allenatore e lo pregai con lo sguardo di non gettare al spugna. Mi rialzai, faticosamente, tra lo stupore genrale. Fissai il mio avversario. Ora erano i suoi occhi ad essere arrganti. Mi guardava sicuro della vitottoria, il suo sguardo di sfida e scherno era quello del gatto vuole giocare col topo. Si avvicino a me con fare spavaldo, saltellando e abbassando la guardia. Quando mi fu vicino raccolsi tutte le forze e prima ceh lui potesse accorgersene, raccolsi tutte le forze e lo colpii di slancio. Uno diretto al mento che non se ne vedevano da quando Jack "Raging Bull" La Motta incontrò Ray "Sugar" Robinson. Lui crollo al suolo lo avevo steso definitivamente alla prima ripresa. Ne io ne il mio angolo aspettammo il conteggio del giudice per esultare. Knockout alla prima ripresa chissa quandi allibratori sarebbero saltati quella serà. Lei era lì sconfitta con la testa tra le gambe e i capelli tra le mani, immobile e tragica come una statua di marmo bianco di Paro. Qella sera ero io il campione. Scorsi il suo viso fresco e sensuale come un fummetto di Crapax, di cui portava anche il nome, lì in seconda fila, era reduce da un lungo viaggio. Solo allora capii e la cercai. I nostri sguardi si cercarono tra la folla. Scesi lentamente e con pesantezza del ring e mi avvicinai a lei, volevo dirle che avevo capito di amarla solo allora, furono i miei occhi a comunicarlo. Lei carezzo dolcemente la ferita al sopracciglio e con il dito sporco di sangue disegno il contorno delle mie labbra tumefatte e le bacio delicatamente. Mi risveglia in una camera d'ospedale, lei era li che mi teneva la mano. La radio trasmetteva una vecchia canzone , diceva "sapessi com'è strano sentirsi innamorti a MIlano..." le sorrisi. Lei capì e si avvicino le chiesi di cambiare canzone. Mi sorrise si avvicino alla radio scelse un cd e fece partire la canzone... ... "I'm an alien I'm a legal alien I'm an Englishman in New York"... "Ho messo la testa dove gli altri non osavano mettere nemmeno i piedi" J.P. Rives
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