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Nick: Viol4
Oggetto: 11 settembre 1973
Data: 11/9/2003 0.16.7
Visite: 45

"Que lo sepan, que lo oigan, que se lo graben profundamente: dejaré La Moneda cuando cumpla el mandato que el pueblo me diera, defenderé esta revolución chilena y defenderé el Gobierno porque es el mandato que el pueblo me ha entregado. No tengo otra alternativa. Sólo acribillándome a balazos podrán impedir la voluntad que es hacer cumplir el programa del pueblo"

(Salvador Allende, 11 de septiembre de 1973, del mensaje a los ciudadanos transmitido por Radio Corporación a las 8,45 de la mañana).








L'11 settembre 1973 un colpo di stato militare capeggiato dal generale Pinochet pose fine al governo di Salvador Allende.

La morte di Allende, 20.000 desaparecidos, 2 milioni di esuli... è il prezzo che il Cile pagò agli USA affinché questi potessero trasformarlo nel primo laboratorio latino-americano delle teorie economiche ultra-liberiste dei "Chicago boys".

Quelle stesse teorie che hanno portato oggi altri paesi, come l'Argentina, sull'orlo della bancarotta.

Dopo 30 anni non è stata fatta alcuna giustizia.

Né poteva essere fatta, visto che la transizione dalla dittatura esplicita ad una debole pseudo-democrazia è stata possibile solo a patto dell'impunità per i responsabili del genocidio cileno.

Da qualche anno sono state de-classificate le carte relative al ruolo avuto dagli USA e dalla CIA nel golpe. Scopriamo quindi ufficialmente quello che sempre si era saputo e cioè che solo con l'aiuto determinante all'imperialismo nord-americano Pinochet e la sua cricca di assassini poterono imporsi sul popolo cileno.

Oggi, a 30 anni di distanza da quell'11 settembre 1973, rendiamo omaggio a quella coraggiosa parte del popolo cileno che seppe affrontare il fascismo al prezzo del proprio sacrificio.











11 SETTEMBRE 1973
LA VERA MORTE DI UN PRESIDENTE
di GABRIEL GARCIA MARQUEZ
PATRIA GRANDE

Nell'ora della della battaglia finale, con il paese alla mercé delle forze della sovversione, Salvador Allende continuó afferrato alla legalitá.
La contraddizione piú drammatica della sua vita fu quella di essere, contemporaneamente, nemico della violenza ed appasionato rivoluzionario, e credeva di averla risolta con l'ipotesi che le condizioni del Cile consentivano una evoluzione pacifica verso il socialismo, all'interno della legalitá borghese.
L'esperienza gli insegnó troppo tardi che non si puó cambiare un sistema dal governo, ma dal potere.
Questa tardiva constatazione forse fu la forza che lo spinse a resistere fino alla morte, tra le macerie fumanti di una casa che non era nemmeno sua, una residenza costruita da un architetto italiano destinata alla zecca dello Stato, e terminó convertita in un rifugio per un Presidente senza potere.
Resistette per sei ore, impugnando il mitra che gli aveva regalato Fidel Castro, fu la prima arma che Salvador Allende usó in vita sua.
Il giornalista Augusto Olivares che rimase al suo fianco sino alla fine, ricevette numerose ferite e morí dissanguato in un ambulatorio pubblico.
Verso le quattro del pomeriggio, il generale di divisione Javier Palacio, riuscí ad occupare il secondo piano, con il suo aiutante capitano Gallardo e un gruppo di ufficiali. Lí, tra le poltrone finto Luigi XV, il vasellame di dragoni cinesi e i quadri di Rugenda del salone rosso, Salvador Allende stava aspettandoli. Aveva un casco da minatore, stava in maniche di camicia, senza cravatta e con i vestiti macchiati di sangue. Impugnava il mitra.
Allende conosceva il generale Palacio. Pochi giorni prima aveva detto ad Augutso Olivares che quello era un uomo pericoloso, perché manteneva stretti contatti con l'ambasciata degli Stati Uniti. Come lo vide apparire dalla scalinata, Allende gridó: "Traditore!" e gli riuscí di ferirlo ad una mano.
Allende morí a seguito dello scambio di raffiche con questa pattuglia. Poi, tutti gli ufficiali, quasi seguendo un rito di casta, spararono sul suo corpo. Alla fine, un ufficiale lo sfiguró con il calcio di un fucile. Esiste una forografia: la scattó il fotografo Juan Enrique Lira, del giornale El Mercurio, l'unico autorizzato a fotografare il cadavere. Era tanto sfigurato che, alla signora Hortensia, sua moglie, mostrarono il corpo solo quando stava nella bara. E non permisero che scoprisse il volto.
Allende aveva compiuto 64 anni in luglio, era un Leone tipico: tenace, deciso e imprevedibile. Quel che pensa Allende lo sa solo Allende, mi disse una volta un suo ministro. Amava la vita, amava i fiori e i cani, era di modi galanti come si usava in altri tempi.
La sua maggiore virtú fu quella di essere conseguente, peró il destino gli riservó la rara e tragica grandezza di morire difendendo con le armi l'anacronistico diritto borghese; difendendo una Corte Suprema che lo aveva ripudiato e che poi legittimó i suoi assassini; difese un miserevole Parlamento che aveva contestato la sua legittimitá e che poi finí per arrendersi agli usurpatori; difendendo i partiti dell'opposizione che avevano giá venduto la loro anima al fascismo; difendendo tutti gli ammennicoli di un sistema tarlato che si era impegnato ad annichilire senza sparare una sola pallottola.
Il dramma accadde in Cile, per disgrazia dei cileni, peró passerá alla storia come qualcosa che irrimediabilmente coinvolse tutti gli uomini del tempo, destinato a rimanere per sempre nelle nostre vite








Antonio Skàrmeta, esule cileno, scrittore:

Non era certo la tremenda sorpresa seguita allo schianto di due aerei contro le Twin Towers, ma la conferma che la nostra rivoluzione pacifica era arrivata a un crocevia dove l’attendeva la violenza.
Poco più di un’ora dopo, aerei militari bombardavano il palazzo presidenziale con precisione meticolosa e qualche minuto più tardi i sostenitori del presidente spodestato venivano arrestati, messi in carcere, torturati, perseguitati, fatti sparire. In poche ore, come è successo a New York, l’11 settembre cileno apriva una crepa in un terreno fino ad allora sicuro, e introduceva una divisione insolita, inedita nella nostra società, fra oppressi e oppressori. La divisione tradizionale fra conservatori e progressisti, fra gente di destra e gente di sinistra, doveva considerarsi superata dal momento in cui le bombe e le pallottole si erano sostituite alla discussione e al dialogo.
Possiamo ritenere la destituzione di Allende uno in più fra cento episodi fatidici che attraversano la storia contemporanea. Lasciamo stare la passione, diciamo solo che Allende aveva sperimentato la via cilena al socialismo, cioè il percorso di una rivoluzione originale capeggiata da un presidente marxista. Il quale, nella legalità delle istituzioni, si proponeva di rendere più consistente la democrazia.
Questo progetto, nuovo e pacifico, suscitava l’attenzione della Spagna, dell’Italia, della Francia, Paesi in cui, ancora, i gruppi più progressisti della società non avevano accesso ai rispettivi organici di governo.
In quel mattino dell’11 settembre 1973, in Cile, si praticarono senza limiti la violenza e la brutalità. Furono giorni di sofferenza, settimane che inaugurarono un lungo terrore incapace di affievolirsi per anni ed anni. Nonostante i rischi, i partiti democratici si sono lentamente ricostituiti e forze nuove li hanno ingrossati, fino a trovare la strada per sconfiggere, alle elezioni del 1988, la dittatura di Pinochet.
Migliaia di persone in tutto il mondo sono rimaste esterrefatte per l’incredibile coincidenza: il disastro dell’11 settembre a New York è avvenuto un martedì e alla stessa ora dell’Apocalisse cilena del 1973.
Quelli che allora ebbero compassione per i cileni democratici e quelli che hanno costruito la loro formazione politica spinti dalla brutalità con la quale fu infranto un sogno di giustizia, sentono che l’11 cosmopolita degli Stati Uniti, l’11 che si è trasformato in un festival delle comunicazioni di massa, l’11 che ha reso “democratico" il terrore nel mondo, ha steso un manto di dimenticanza su quell’11 cileno, umile, nascosto dietro le Ande.
Certo, qua e là qualche giornalista ha menzionato la coincidenza e l’ha analizzata con dolore, ironia o distacco. Eppure il ricordo del Cile non ha bisogno di una data precisa per essere attuale in ognuna delle persone che ha partecipato, molto o poco, alla resistenza che ci ha condotti alla democrazia. Può essere che la spettacolarità tragica del “nuovo" 11 ci abbia rubato parte del simbolo che il mio Paese è stato nel mondo. Ma il fatto sostanziale, il linguaggio della solitudine, la tenerezza, la fraternità nei confronti delle decine di migliaia di emigranti che hanno raggiunto l’Europa, rimane una chiara e rotonda vittoria che ha contribuito a formare, politicamente e umanamente, generazioni intere.
Con queste virtù nei nostri cuori non vedo perché contendere alle Twin Towers, e al terrorismo fanatico, la spettacolarizzazione del suo protagonismo.






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11 settembre 1973   11/9/2003 0.16.7 (44 visite)   Viol4
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