( 7/4/2011 09:19:23 N. 377056) - alylia ![]() ![]() |
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E poi ci sono quei momenti, chiari come le lenti degli occhialini da piscina dopo una passata di sputo, che hai un solo pensiero, netto: "MA CHI ME L'HA FATTO FARE?" |
( 6/4/2011 22:42:55 N. 377055) - Midori* ![]() ![]() |
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Sole,P bellini,chiacchiere sulle scale con un'amica,aperitivo all'azar,vedervi un pò più vicini...vederti sorridere un pò di più papà...cercare di mantenere questo poco di equilibrio
...un pò di vuoto.Potrei colmarlo sfogandomi con qualcuno.Ma a quanto ho capito devo imparare un pò a conviverci. Finalmente dopo 10 anni rivedo mia zia e le mie cugine ![]() blog modificato il: 06/04/2011 23:47:56 |
( 3/4/2011 01:03:25 N. 377049) - Aù ![]() ![]() |
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è Da uN SeCoLo ke noN Mi coNNeTTo.
QuaNTi RiCoRDi SoNo LeGaTi a QueSTi BLoG ...PeCCaTo aVeRLi PeRSi... |
( 1/4/2011 15:48:33 N. 377046) - mitty ![]() ![]() |
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"Che bello riaverla qui con noi...Sono davvero contento. E lei, è contenta o sta maledicendo tutto e tutti?" Ma che domande sono? Come potrei non essere contenta? Vengo spedita in giro e faccio mille cose, ma la verità è che per voi farei anche molto di più, perché i sorrisi, l'allegria ed il calore che mi regalate sono impagabili. Prima sono passata anche al Boston, non ci andavo da prima di Natale per lo scambio di auguri, trovandomi a passare non ho potuto fare a meno di fermarmi per un saluto. Dopo un po' di chiacchiere ed aggiornamenti, sono stata ingaggiata da 3 ragazzi amici di Alessio e Manuel che erano lì in pausa pranzo per fare dei pesci d'Aprile telefonici. Il risultato? Un sacco di risate, due scherzi ben riusciti e filmati, complimenti per l'interpretazione ed una coca-cola offerta in cambio! Continuo a dire e pensare che venirvi a trovare per me resterà per sempre una gioia. Ci sono cose che non hanno prezzo, per tutto il resto...Mastercard, ma vafancul'! Per tutto il resto c'è una vita così, esattamente così, come la mia attuale, non ho bisogno di comprare alcunché. blog modificato il: 01/04/2011 16:14:14 |
( 1/4/2011 01:33:12 N. 377045) - TOTTINA88 ![]() ![]() |
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http://www.youtube.com/watch?v=rYEDA3JcQqw blog modificato il: 01/04/2011 01:35:32 |
( 31/3/2011 21:32:49 N. 377044) - †D4Rk_L|gHt† ![]() ![]() |
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Ma ho promesse da mantenere e miglia da fare prima di dormire. Robert Frost |
( 29/3/2011 19:50:2 N. 377039) - debbyy ![]() ![]() |
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waaaaaa il cippo a forcella xDxD
Che emozione ritornare qui dopo anni e anni mamma mia quanto cazzo è veloce il tempo e neanke ce ne accorgiamo...... ![]() |
( 29/3/2011 17:34:37 N. 377037) - giGGinocon2G ![]() ![]() |
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NUMERO 280
IN BRUGES
Erano giorni quelli in cui vivevo spensierato quell’esperienza di scambio culturale in compagnia dei miei compagni di scuola, catapultati in una realtà diversa dalla nostra che ci aveva accolto così bene. Avere 16 anni ed essere italiano in Belgio ti regala un’aura di felicità e di autostima clamorosa, grazie alla passione ed alla predilezione che tutti hanno nei tuoi confronti, soprattutto se questa passione te la dimostrano donne decisamente più disinibite rispetto agli standard a cui noi tutti eravamo abituati. Anche quel giorno in cui eravamo in visita a Bruges incontrammo un immigrato italiano, meglio, napoletano, all’interno del suo ristorante. Lo aveva ornato con ogni tipo di iconografia pagana che rivendicasse, con ostentato orgoglio, le sue origini. Reti da pesca, corni, peperoncino, immagini di Totò, di Troisi, della Loren, tamburelli, una maschera di pulcinella. Non trascorse più di un minuto tra il nostro ingresso e l’apparizione del padrone del locale, giunto quasi di corsa dinanzi a noi direttamente dalla cucina. Gli occhi gli si illuminarono, si inumidirono. Ebbe un attimo di esitazione, che scomparve subito. Cinque volti di adolescenti accolsero le lacrime ed il dopobarba, la storia di un viaggio e la gioia di un incontro vissuta da un uomo che aveva dovuto abbandonare la sua città, i suoi amori e la sua infanzia per cercare la speranza di un futuro. Ci offrì un caffè, il più buono che abbia bevuto in terra belga. Ce lo preparò con la sua moka personale, con flemma, con ritualità. Quando ci salutò, ci chiese di spedirgli una cartolina da Napoli e ci disse che il caffè che avevamo bevuto ci sarebbe servito per la salita verso la cima della torre che dominava il Markt, la piazza principale di Bruges, un tempo sede del mercato, nella quale il suo ristorante si affacciava. La torre di cui ci parlava, il Belfort, è in realtà un campanile che, dall’alto dei suoi 83 metri, domina la città. Ci proposero di salire fino in cima, per ammirare il panorama e per ascoltare il suono del carillon che, animato da 47 campane, rende l’atmosfera ancor più magica. Qualcuno rimase giù a fumare ed a mangiare gelati, Claudio e Marco continuarono la loro corte a delle ragazze fiamminghe incrociate qualche ora prima lungo uno dei canali della cittadina. Io decisi di salire. Con me un piccola rappresentanza del nostro gruppo italo belga, una coppia di anglofoni, una guida con dei turisti locali, un signore magrissimo con dei baffi ottocenteschi. Il nostro percorso era segnato da una scala a chiocciola composta da 366 scalini, così stretta che si proseguiva in fila indiana. Più si saliva, più il passaggio diveniva angusto, più l’aria cominciava ad essere frizzante. La guida raccontava in fiammingo una storia che non capivo, gli anglofoni affannavano scontando il peso di un’alimentazione ricca di grassi, Giorgio rideva rumorosamente chiedendosi quando saremmo arrivati, l’omino magro chiudeva la fila. Aveva uno sguardo partecipe, come se fosse avvezzo a quella situazione, come se conoscesse già la storia che ascoltava provenire qualche gradino più su. Ad un tratto la nostra ascesa si interruppe, e la guida ci mostrò un’enorme campana, la Campana Trionfale, con un diametro superiore ai 2 metri e che, avevamo letto, veniva fatta suonare solo in occasioni particolari. Fu una visione maestosa. Era incredibile vedere come quella campana così grande rimanesse ferma, nonostante il vento le sferzasse contro e come, allo stesso tempo, tutta la sua struttura vibrasse silenziosamente, in una sorta di dialogo intimo tra lei ed il dio dei venti. Riprendemmo il nostro cammino e, dopo qualche minuto, finalmente fummo in cima. Il panorama toglieva il fiato: la città era ai nostri piedi e la vista a trecentosessanta gradi ci permetteva di riconoscere i luoghi visitati qualche ora prima: i canali, il parco dove ci eravamo fermati a pranzare, i nostri amici non più grandi di uno spillo colorato. Sotto i nostri piedi, tra le intelaiature della struttura e centinaia di tiranti, c’erano le campane di bronzo del carillon. Erano molto più piccole e meno maestose della campana che avevamo visto qualche gradino più in basso, ma il loro insieme, l’armonia con cui si sposavano con la struttura che le circondava, che le custodiva, tra le colonne e i grandi ingranaggi che le governavano, donava a quella piccola terrazza un equilibrio armonioso. Ero perso in quella visione, quando la guida disse qualcosa che fece prima gemere di dispiacere i belgi presenti e, poi, li fece esplodere in un applauso entusiasta. Fu in quel momento che mi resi conto che il mingherlino baffuto aveva scavalcato uno dei muretti che cingevano l’area calpestabile, si era infilato tra delle colonne ed aveva cominciato ad armeggiare con le sue mani vicino a delle ruote degli ingranaggi che erano poste in uno dei bordi del complesso. Non riuscii subito a capire cosa stesse succedendo, e fui quasi spaventato nel vedere una figura umana in degli spazi che credevo inaccessibili custodi di tempi ancestrali. Chiedemmo cosa stesse succedendo, ed i ragazzi belgi ci spiegarono che c’era un problema con il carillon: qualcosa ne aveva bloccato gli ingranaggi impedendogli di suonare. Riuscivo a stento a vedere il blu del suo cappello e una gamba cinta attorno ad un appiglio, ma si potevano intuire i suoi movimenti, decisi ma sapienti, rispettosi ma precisi, compiuti con la volontà di individuare la causa di quella che sembrava essere più una malattia che un problema tecnico. Ad un tratto si sentii uno stridio molto forte, quasi animalesco, fendere l’aria. Seguirono lunghi momenti di apparente paralisi: nessuno voleva muovere un muscolo. Tutti eravamo in attesa di qualcosa. L’omino si mosse e cominciò a divincolarsi dalla struttura nella quale si era così perfettamente incastrato. Ripercorse al contrario le stesse mosse e lo stesso percorso che lo aveva accompagnato qualche minuto prima. Mentre si avvicinava notammo che aveva un braccio infilato nel cappotto, appoggiato al petto. Un’espressione sofferente gli faceva stringere gli occhi. Ricordo che qualcuno provò ad offrirgli un braccio per aiutarlo a superare l’ultimo ostacolo prima di essere di nuovo sulla zona calpestabile della terrazza, ma lui rifiutò in maniera decisa. In quel momento il suo aspetto schivo e burbero divenne ancor più netto di quanto non fosse apparso prima. Si appoggiò ad un muro, e con la mano libera, scrollò la polvere che aveva sporcato il suo cappello e la sua giacca, quindi, lentamente, cominciò a tirare fuori il braccio che nascondeva sotto il cappotto. Il suo sguardo accompagnava quel movimento lento e accorto, influenzato forse dalla danza che aveva compiuto fino a qualche attimo prima tra le ruote dentate ed i tiranti. La verità si mostrò agli occhi di noi tutti. Al centro della sua mano c’era un insieme di foglie e fango duro di forma circolare dal quale si scorgevano due, forse tre becchi minuscoli e gialli che si accanivano sulle dita vecchie e lunghe di quell’uomo. Fu una visione incantevole, come quella di un padre che protegge dal vento il suo bambino, stringendolo a se, riparandolo dal freddo e dagli sguardi. Durò un attimo, che a me sembra ancora lunghissimo. Nascose nuovamente il braccio nel cappotto, si alzò e, come se fosse la cosa più naturale del mondo, si sporse da uno dei bordi della torre e fece un fischio lunghissimo verso la piazza, che squarciò l’aria; ci fece poi cenno di seguirlo lungo le scale, con un sorriso che lasciava trasparire gioia, orgoglio, soddisfazione. Avemmo il tempo di scendere appena qualche gradino quando sentimmo la torre prendere vita, animarsi dentro, dalle viscere. Gli ingranaggi cominciarono a muoversi, lentamente, azionando tiranti, ruote dentate, pistoncini. Poi ci fu l’esplosione. La musica delle campane ci investì violentemente. Dal basso, dall’alto, dalle pareti intorno a noi, il suono ci rimbalzava addosso, confondendoci, spaventandoci, emozionandoci. In quel momento mi sentii come se fossi anche io parte di quel grande organismo che animava quella struttura, come se la mia presenza fosse stata necessaria alla salvezza degli uccelli, alla rinascita della musica. Pochi minuti prima un nido minuscolo e delicatissimo bloccava una ruota enorme e perfetta. Ora tutto era al suo posto, ogni cosa stava riacquistando la propria dimensione, il proprio luogo, il proprio spazio, il proprio tempo. Ed era stato tutto così magicamente facile. |
( 28/3/2011 03:53:55 N. 377033) - StraLuNata ![]() ![]() |
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..ascoltando i miei battiti ancora da solo confondo ma resisto.... blog modificato il: 28/03/2011 03:54:33 |
( 21/3/2011 12:28:18 N. 377017) - Linda King ![]() ![]() |
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Rod- Cosa pensi? Carl- Che ti amerò per sempre. Rod- (ride). Carl- Che non ti tradirò mai. Rod- (ride ancora più forte). Carl- Che non ti mentirò mai. Rod- L'hai appena fatto. [...] Rod- Senti. Te lo dico una volta per tutte. Ora ti amo. Ora sto con te. Farò del mio meglio, momento per momento, per non tradirti. Ora. Tutto qui. Solo questo. Non mi costringere a mentirti. Carl- Io non ti sto mentendo. Rod- Cresci. Carl- Non ti lascerò mai. Rod- Carl. Tu scegli uno. Beh, chiunque sia, da qualche parte del mondo c'è chi se l'è scopato fino alla noia. |