Nick: Kashmir Oggetto: 27-01-1945. Dopo la Shoah Data: 27/1/2006 13.45.57 Visite: 404
Ho scritto una lettera, o una pagina di diario, immaginatela come volete. Ho immaginato di essere una bambina vissuta nel periodo della Shoah, ed ancora sto piangendo, e sto soffrendo per tutte le bambine come lei. Ma è giusto che sia così. E' giusto che si ricordi. E' giusto che si sappia quanto noi esseri umani possiamo fare schifo e vergognarci di far parte dell'universo. Poi io, nelle vesti di Margherita, cercherò di farvi capire il resto. Non occorre dire altro per ora. Buona lettura. "Che bella giornata che era! Io ed il mio cuginetto giocavamo a palle di neve, ridevamo come due matti mentre la mamma ci guardava dalla finestra della cucina, intenta a preparare i suoi gustosissimi manicaretti, il papà era a lavoro nella sua bottega, ed aveva promesso di portarmi un bel regalo fatto con le sue stesse mani! Era il miglior falegname del mondo! Era il mio compleanno, papà tornò a casa con un cavalluccio a dondolo fatto da lui! Era bellissimo! Ci ho giocato subito e tutti mi guardavano contenti! La mamma mi regalò una fascetta per il braccio con una stella grande grande, e mi disse che non avrei dovuto togliermela mai!
Io non me la volevo togliere, anche perché la portava tutta la mia famiglia e volevo essere come loro. La sera, mentre mamma mi cantava la ninna nanna, vennero degli strani uomini brutti in divisa, e ci fecero salire su un camion, insieme ad un sacco di altre persone con la stessa stella che la mamma mi aveva regalato. Eravamo tutti attaccati, e papà mi disse che lo facevano perché così saremmo stati più caldi. Io però sentivo freddo lo stesso, e respiravo poco. Poi siamo arrivati alla stazione centrale, dopo qualche ora, perché andavamo piano piano ed ogni tanto salivano altre persone. Avevano tutti la faccia triste ed una vecchietta piangeva, io ho chiesto il motivo a mamma e lei mi ha detto che evidentemente si era fatta male, però i vecchi non piangono quando si fanno male. Si fanno sempre male. Allora ci siamo messi tutti a cantare una canzoncina con le parole della mia preghiera preferita, e tutti noi bambini battevamo forte forte le mani, e i papà e le mamme ci abbracciavano stretti stretti.
Poi siamo saliti sul treno, ancora più appiccicati di prima, pensai che forse era tutto prenotato.
La mamma mi disse che stavamo attaccati perché saremmo andati in un luogo dove faceva freddissimo. Io nel treno mi addormentai, o forse svenni, non mi ricordo, ricordo solo che avevo fame, sete, puzzava tutto e dovevo fare pipì. Arrivammo in un posto coi cancelli grandissimi, e c’erano degli omoni bruttissimi più di quelli di prima che strillavano cose in una lingua strana, e mamma aveva detto che dovevo andare con lei perché ero femminuccia, e papà ed il mio cuginetto dovevano andare coi maschietti.
Andammo in una stanza con tantissimi letti, poi dopo ci chiamarono col megafono e uscimmo, e ci misero un numero strano. La mamma mi disse che eravamo là per fare dei controlli e per lavorare.
Il giorno dopo la mia mamma andò con altre mamme a lavorare, io andai con tutti gli altri bambini in un grande ristorante, e pulivamo i cucchiai e le forchette, e i più puliti di noi a volte potevano anche portarli a tavola. Vidi un bambino vestito bellissimo, biondo, che rideva, seduto ad un tavolo. Quando gli andai a portare il cucchiaio gli chiesi come si chiamava, ma non capì, disse una cosa strana e mi rise in faccia indicando il suo pollo al forno. Una ragazza ebrea si mise a piangere. "Perché piangi?" "Perché ho studiato un po’ di tedesco, e so cosa ha detto quello" "E che ha detto?" "Tuo padre farà la fine del mio pollo, schifosa ebrea" Io pensavo che volesse farmi solo i dispetti, ma un po’ mi spaventai e mi misi a piangere pure io. Il signore che stava in cucina mi disse di usare meno acqua per piangere e di più per pulire le posate. Alla sera tornai a casa, e la mia mamma tornò dopo di me, con un po’ di sangue che le usciva dalla fronte, stanchissima, e tutta sporca. Io le diedi un pezzo di pane che avevo trovato in cucina, e lei mi disse di tenerlo per me, ma io avevo già mangiato qualcosa e non avevo fame per la puzza che c’era la dentro. Mamma ne divorò metà e ne nascose un pezzetto dentro il vestito, e mi disse di dormire. Un giorno, con alcuni bambini, andammo a vedere cosa facevano i grandi, i nostri papà, e vedemmo una grande fabbrica con tanti fuochi, e vidi il mio papà che zoppicava e portava una cosa di metallo pesantissima in braccio. Gridai. "Papàààà!" "Margherita! Che ci fai qui? Vattene! Vai dalla mamma!" Io volevo andare da lui, e corsi verso di lui. La mamma la vedevo tutti i giorni, a lui mai. Poi mi sentii sollevare da terra, mi voltai e c’era una signora che mi urlava nell’orecchio e mi portava via, io urlavo e piangevo perché volevo il mio papà. Due uomini orribili presero papà per le braccia, dopo che gli cadde il coso di acciaio dalle braccia, e lo trascinarono dentro la fabbrica di forza. Un uomo con un’altra cosa di acciaio disse: "Ne abbiamo perso un altro, che Dio sia con lui." Quando mamma tornò quella sera, piangeva ed urlava, ed io sentii dalle sue colleghe che parlavano e piangevano che suo marito non c’era più. Il mio papà non c’era più. Piansi ed urlai, e le chiesi dov’era il mio papà. Lei mi disse che era andato fra le nuvole del cielo, ma io piansi tutta la notte e abbracciai la mia mamma, perché lo volevo vicino a me. Il giorno dopo la mamma non tornò, una signora mi disse che forse era stata trattenuta per un controllo. Il giorno l’altro neanche tornò. Io allora non uscii di stanza e mi nascosi dietro ad un armadio rotto ad aspettarla. Non tornò neanche quel giorno, uscii, e gli altri bambini e molte mamme erano tutti spariti. Avevo molta paura, e vidi due uomini bruttissimi con le torce, e mi nascosi di nuovo dietro l’armadio rotto. Il giorno dopo mi prese una signora amica di mamma in braccio e mi portò fuori. Mi disse che era il 27 Gennaio, io ormai avevo perso la concezione del tempo, e mi disse che eravamo nel 1945. Quella signora mi portò via dai cancelli da dov’ero entrata, le chiesi dov’era la mia mamma, e lei mi disse che era col mio papà. Ora sono passati due anni da quel giorno, e ancora mi mancano tanto i miei genitori, a volte vorrei che fossero qui accanto a me a stringermi forte, e anche se ora sono più grande gioco lo stesso col mio cavalluccio di legno, almeno il ricordo non me l’hanno portato via. I ricordi non si portano via, nemmeno con la forza, nemmeno coi forni e con le docce. I ricordi restano sempre impressi nel cuore e nell’anima. E il dolore. E le facce dei ceffi bruttissimi. Ed il sorriso della mia mamma quando non aveva ancora la stellina. Non dimenticherò mai. Margherita" Sarò cruda, farà male tutto ciò, ma ci fa bene ogni tanto prendere coscienza di certe cose. Almeno un giorno all'anno, il 27 Gennaio. Buona giornata della memoria.. i don't believe |