Nick: rockgirl Oggetto: Conversazione in Sicilia Data: 29/5/2006 18.6.55 Visite: 419
"Io ero, quell'inverno, in preda ad astratti furori. Non dirò quali, non di questo mi son messo a raccontare. Ma bisogna dica ch'erano astratti, non eroici, non vivi; furori, in qualche modo, per il genere umano perduto. Da molto tempo questo, ed ero col capo chino. Vedevo manifesti di giornali squillanti e chinavo il capo; vedevo amici, per un'ora, due ore, e stavo con loro senza dire una parola, chinavo il capo; e avevo una ragazza o moglie che mi aspettava ma neanche con lei dicevo una parola, anche con lei chinavo il capo. Pioveva intanto e passavano i giorni, i mesi, e io avevo le scarpe rotte, l'acqua che mi entrava nelle scarpe, e non vi era più altro che questo: pioggia, massacri sui manifesti dei giornali, e acqua nelle mie scarpe rotte, muti amici, la vita in me come un sordo sogno, e non speranza, quiete. Questo era il terribile: la quiete nella non speranza. Credere il genere umano perduto e non aver frebbe di fare qualcosa in contrario, voglia di perdermi, ad esempio, con lui. Ero agitato da astratti furori, non nel sangue, ed ero quieto, non avevo voglia di nulla. Non mi importava che la mia ragazza mi aspettasse; raggiungerla o no, o sfogliare un dizionario era per me lo stesso; e uscire a vedere gli amici, gli altri, o restare in casa era per me lo stesso. Ero quieto; ero come se non avessi mai avuto un giorno di vita, né mai saputo cosa significa esser felici, come se non avessi nulla da dire, da affermare, negare, nulla di mio da mettere in gioco, e nulla da ascoltare, da dare e nessuna disposizione a ricevere, e come se mai in tutti i miei anni di esistenza avessi mangiato pane, bevuto vino, o bevuto caffé, mai stato a letto con una ragazza, mai avuto dei figli, mai preso a pugni qualcuno, o non credessi tutto questo possibile, come se mai avessi avuto un'infanzia in Sicilia tra i fichidindia e lo zolfo, nelle montagne; ma mi agitavo entro di me per astratti furori, e pensavo il genere umano perduto, chinavo il capo, e pioveva, non dicevo una parola agli amici, e l'acqua mi entrava nelle scarpe." (...) è stato poco tempo fa che ho cominciato a pensarci. non ricordavo bene il titolo nè l'autore... in tal caso Elio Vittorini, che io ho scambiato con Malerba. boh... ne feci un post, stavo impazzendo..sì. poi stamattina mi sono svegliata, di scatto, e ho ricordato tutto: la fase di vuoto e di astratto di Vittorini trascinati dalla sua tensione etica e populistica. Praticamente Silvestro, il protagonista, supera la situazione di inerzia e di 'astratti furori' compiendo un viaggio verso il paese siciliano in cui è nato, raccontandosi e rimandando, tramite battute, situazioni e personaggi spesso ripetuti più volte nella narrazione, alla dimensione storica e sociale della miseria e della guerra, ricalcando sull'ideologia del 'mondo offeso' in cui 'non ogni uomo è uomo', (contro gli oppressori, insomma) il tutto sapientemente filtrato ed espresso con la formula del mito, ritorno alle origini...quasi come una sorta di viaggio di inziazione. fu molto piacevole leggerlo allora e ora lo consiglio :) starei a parlarne per ore se non fosse per quella lurida della Chimica. vi bacio Eppur va tutto bene, va proprio tutto bene, manca un po' l'appetito e il valium per dormire l'ho finito. |