l'uomo e la bambina

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Nick: Viola'
Oggetto: l'uomo e la bambina
Data: 28/1/2004 14.51.47
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A volte, durante l’anno, lui veniva a prenderla.
A volte era per portarla in un museo, altre volte all’Edenlandia, dove gli piaceva giocare a boccette, anche se non vinceva mai.
Lei aspettava che arrivasse, seduta su una sediolina di paglia per le bambole, messa di fronte alla porta, ostinatamente, per ore.
Quella volta fu per portarla in viaggio,
solo lui e lei.
In realtà forse quel viaggio non fu l’unico, ma lei ne ricorda uno solo, forse sono vari messi insieme.
La macchina correva sull’autostrada, i finestrini aperti per un caldo soffocante, e lei che applaudiva ogni volta che superavano qualche macchina, era una gara infinita, lunga quanto l’autostrada.
Ogni tanto si fermavano ad un autogrill, dove lei sarebbe rimasta per ore, era un mondo delle meraviglie, pupazzi, caramelle, i giochi più assurdi.
Comunque finiva sempre per farsi comprare delle caramelle a forma di ciucciotto, di vari colori,
che faceva durare giorni e giorni, lasciando sempre per ultime quelle verdi, che non le piacevano, ma alla fine le mangiava lo stesso.
Arrivati quasi al limite, prima che l’Italia finisse nel mare, si fermavano in una trattoria, che lui conosceva bene.
Seduti uno di fronte all’altra, lei seria seria che studiava il menù, tanto alla fine avrebbe preso una cotoletta, come sempre.
In realtà non le piaceva molto la cotoletta, ma le piaceva che lui gliela tagliasse, con la cura che metteva in tutte le cose.
Quella volta c’era un gruppo di uomini seduto poco lontano, e una ragazza dal tavolo a fianco esclamò a voce alta: "mamma, ci sono i Pooh!".
"Chi sono?" gli chiese lei.
Lui rideva e rispose: "Un complesso"
"Sono bravi?"
"Insomma…"
"Che cantano?"
"Mi dispiace devo andare, il mio posto è là…"
"Non mi piace"
"Nemmeno a me"
Molti anni dopo, ogni volta che c’erano i Pooh in televisione, ripetevano quella frase, ridendo:
"mamma, ci sono i Pooh!".
Poi arrivava il momento dell’imbarco dell’auto sulla nave.
Ore ed ore di fila sotto al sole, tra lamiere roventi, con la pelle che si attaccava ai sediolini dell’auto, scendi che la fila è ferma, no, risali che ci stiamo muovendo.
Finalmente l’imbarco, il sole calava e si stava appoggiati al parapetto a guardare le onde nere.
Lei sperava sempre di vedere uno squalo, un delfino, una balena, un’orca, lui le diceva che lì non c’erano, e le prometteva che l’avrebbe portata all’acquario, come poi fece, molte volte.
Quando ormai era notte, sbarcavano sull’isola.
Era troppo bello viaggiare di notte, luci dappertutto, ogni luce una storia che lei poteva immaginarsi.
Poi si addormentava, e si svegliava nella casa di lui, con la signora dai capelli bianchi a cui tutti davano del voi, che diceva: "dormi, adesso", e poi aggiungeva: "sei proprio uguale a lui".
Intendeva che gli assomigliava molto, e questo la rendeva felice, anche se la signora si ostinava a chiamarla col suo secondo nome, che era appunto quello di lei, non aveva mai accettato che non gliel’avessero messo come primo, e non l'accettò mai.
Siccome era estate, andavano tutti i giorni a mare.
Secondo lui, non era possibile che lei non sapesse tuffarsi di testa, che avesse paura.
Le disse come mettere i piedi, le mani, il peso.
Lei aveva paura di sbattere su uno degli scogli sommersi, sembravano così vicini, ma lui le diceva è solo un’illusione ottica.
Tieni le gambe unite, è solo un attimo.
Lo fece, lo fece per lui, solo per lui l’avrebbe fatto.
"brava, era perfetto!", e da allora lei passò l’estate a tuffarsi, tanto che una volta vinse anche una gara, anni dopo, glielo disse al telefono, e lui rispose: "ti ricordi quella prima volta?".
Certo, è qui ed ora.
Poi le insegnò come muoversi sugli scogli, come arrampicarsi dappertutto senza farsi male, raccontandole storie di come da bambino non andava a scuola per venire con gli altri su quegli stessi scogli, e quando tornava a casa la madre se ne accorgeva, perché lo annusava e sentiva l’odore di mare.
"E che ti diceva?"
"Niente. Poi mi chiudeva nella stanza buia per ore"
"E tu piangevi?"
"No, mi addormentavo"
"Ma non avevi paura?"
E allora lui si metteva a ridere, perchè in realtà non aveva mai paura di niente.
Lei invece aveva paura , dopo che aveva letto un fumetto dove c’erano dei fantasmi, teneva sempre gli occhi chiusi, al buio.
Una volta lui la chiuse in una stanza e spense le luci, si mise poco più in là, aspettando che lei li aprisse.
Apri gli occhi, le diceva.
No, lei li strizzava forte, ho paura.
Aprili, ci sono io, qui.
Non te ne andare.
Non me ne vado.
Alla fine li aprì, e appunto vide solo buio.
Che vedi? Niente. Appunto.
Non devi avere paura delle cose che non esistono, mai mai mai.
E lei non ebbe più paura. Lui invece sì, ma fu tanto tempo dopo.
Stranamente, quell’estate le crebbero i capelli. Diventarono lunghissimi in poco tempo.
Allora cominciò a portarli sciolti, sulla schiena, dicevano tutti che sava bene, e una volta lui la portò al cinema, e la cassiera disse: "mì, quant’è bella, pare un quadro!".
E lei rispose: "sì, sono uguale a lui".
Andarono molte volte al cinema, quell’estate, sempre film che piacevano a lui, polizieschi, horror, roba che lei non capiva bene, però finì per piacerle.
Anni dopo, era lei che li cercava sul giornale,
e glieli proponeva.
Comunque se la portava dietro dappertutto, al circolo con i suoi amici, alle feste, per le strade di quella città, per fargliela conoscere in ogni angolo, voleva che le restasse impressa, e così fu.
Poi l’estate finì, e lui la riportò indietro.
Ce ne furono altre, ma diverse.
Una volta lei rifece quel viaggio, da sola, per andarlo a prendere e riportarlo indietro, per sempre.
Non poteva essere nessun altro a farlo.

Buon compleanno *