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Nick: Kashmir
Oggetto: Potando i petali di un fiore
Data: 10/9/2006 3.12.41
Visite: 147

In Europa è stata approvata una mozione assurda.

L'autorizzazione alla somministrazione di Prozac ai bambini.

Per chi non ne fosse a conoscenza, il Prozac è un potente antidepressivo, capace di rendere un "vegetale" anche un adulto in piena salute fisica.

Il bambino è "cattivo"? Non riesce a relazionarsi con i coetanei? Risponde male ai genitori? Pronuncia frasi da serial killer? Alza spesso le mani?

Cercare di capire i suoi problemi è troppo complicato, meglio sedarlo e tenerlo "a cuccia" vero?

Ma vaffanculo, se becco un genitore che osa dare una cosa del genere al figlio gli infilo tutta la scatola su per il culo, dopo avergli fatto inghiottire tutte le pillole assieme.

I bambini non nascono "pazzi", a meno che non abbiano qualche difetto a livello neurologico, e, in questo caso, non è il Prozac il medicinale adatto da somministrare, non c'entra un cazzo.

C'è sempre qualcosa che lo condiziona, spesso parte dall'ambiente, ma nella maggior parte dei casi il problema è la FAMIGLIA.

Ma è troppo semplice prendersela col bambino e tenerlo a bada con dei sedativi. SIETE DEI MOSTRI.

CI ARRIVA ANCHE UN PURPO A CAPIRE CHE UN MEDICINALE CHE PRODUCE EFFETTI DI QUESTO TIPO, VA DIRETTAMENTE AD AGIRE ALL'INTERNO DEL CERVELLO, ATTACCANDO CON DETERMINATE SOSTANZE, E SCATENANDONE LA PRODUZIONE DI ALTRE.

Ma a chi scambia i figli per "cicciobello" di tutto ciò non frega assolutamente un cazzo.

A me sì però. E anche alla maggior parte degli psicologi italiani ringraziando al cielo, è grazie a loro che questa mozione ancora non è stata approvata in Italia (è in fase di discussione).

Ah, la brillante idea viene da quei geni degli americani eh.

Immaginate vostro figlio in che stato potrebbe trovarsi dopo la somministrazione di una merda del genere (che io non darei neanche ad un depresso adulto).

La depressione...e così si combatte? E soprattutto si attribuisce una diagnosi del genere ad un bambino tanto facilmente? E, pur volendo, la si cura così??

Vi invito a riflettere. E se quando saremo completamente tutt'uno con gli americani faremo di queste stronzate, non ascoltate medici che intendono fare una cosa del genere ai vostri bambini. E' disumano. Imparate ad amarli.

Vorrei farvi un piccolo esempio con un raccontino di quelli miei nati da potenti seghi mentali momentanee che scrissi tre mesi fa.

Buona lettura.









Erano le quattro di notte, una notte illuminata solo da un paio di stelle, e da un sottilissimo spicchio di Luna che a stento si vedeva, nascosto fra le nuvole.
Faceva un freddo cane, era da tredici anni che non si gelava così.
Lucy si alzò dal letto come suo solito, presa dall’insonnia. Prese la vestaglia dalla sedia e la indossò. Era gelida anche quella. Scese in cucina e si fece una camomilla, prese la tazza fra le mani e si avviò verso il terrazzo.

Rimase accanto al vetro a fissare i fiocchi di neve che scendevano delicati sul prato del suo giardino, ogni fiocco sembrava sparire al contatto col terreno, come un bruco che nasce e che muore, dopo esser diventato farfalla ed essersi riconciliato con la sua vera, splendida essenza.

Nonostante la doppia camomilla, non riusciva proprio a prendere sonno. Così decise di godersi quel magico silenzio che regnava incontrastato nella notte. Indossò i primi vestiti che trovò nell’armadio, il giaccone, ed una sciarpa rosa attorno al collo, dopodichè uscì.

Si incamminò presso il vialetto fuori casa sua, ai lati c’erano delle villette a schiera, con degli alberi accanto ai marciapiedi, e le ricordava tanto uno di quei paesaggi mistici che si vedono all’interno di quelle stupide palle col Babbo Natale idiota all’interno che suona la sua stupida campanella mentre cade quella sottospecie di plastica bianca, e tu pensi sadicamente che sia merda di piccione.

Babbo Natale, da quanto tempo non ci credeva più? Già da troppo. All’età di nove anni il padre le disse bruscamente che il grande omone con la barba bianca non esisteva, e che quell’anno non c’erano soldi per comprare quella dannata bambola che lei desiderava tanto.

Ma lei già ne era cosciente dall’età di sei anni, dal giorno in cui utilizzò la ricreazione a scuola per scrivere la sua letterina, con le guance paffute che erano rosse per il freddo, o per l’enorme sorriso che stava sfoggiando; e ad un certo punto arrivarono due ragazzini della terza e le dissero:

"Che stai facendo, formica??"

"Che stai facendo, che stai facendo?"

E lei, li guardò sorridendo, un po’ intimidita, e disse:

"Sto scrivendo la letterina a Babbo Natale…voi l’avete fatto?"

Loro le risero in faccia, dicendole che quel vecchio grassone non esiste e che era soltanto un’invenzione dei genitori per far stare buoni i bambini almeno un giorno all’anno.

Lei non voleva credergli. Ma volle accertarsi di persona della cosa. Ed imbucò la letterina di persona, la prima che aveva scritto con le sue mani. In genere le raccoglieva la mamma, ma questa volta voleva essere lei a spedirla.
Quando la madre le chiese dove fosse la letterina, lei le rispose che si era personalmente occupata di inviarla.

Allora il padre le disse di riscriverla, in quanto loro conoscevano una posto speciale presso cui recapitarla, e che le cassette normali della posta non andavano bene.
Lei capì tutto. Ma fece finta di nulla e cercò di vivere il Natale con la stessa magia con la quale lo viveva sempre.



Quella notte aveva ripercorso quella stessa identica sensazione, nonostante ora avesse ventitrè anni e fosse passato già un bel po’ di tempo da quell’evento.

Camminava, e continuava a pensare, senza pensare a ciò che potesse esserci davanti a lei. Il silenzio le permetteva di dare anima a tutti i suoi pensieri.
Ma proprio la completa immersione in questi, la fece inciampare in una radice di un albero; andò a sbattere col ginocchio sullo spigolo del marciapiede, avrebbe voluto urlare a squarciagola, ma le grida si spezzarono in gola per timore di destare tutti gli abitanti da quella zona dai propri sogni, tutti quelli che potevano averne.

"Ti sei fatta malissimo, eh?"

Una voce giovane, proveniente dalle labbra di un ragazzo. Aveva un giaccone marrone, un basco di colore scuro ed il viso leggermente illuminato dalla luce del lampione, ma abbastanza da evidenziarne i giovani contorni.

"Non immagini quanto! Se avessi gridato si sarebbe svegliato tutto il quartiere!"

Lui le tese la mano, e si incamminarono verso il boschetto adiacente alla zona abitata, ed una volta stancatasi di zoppicare, Lucy gli propose di sedersi ai piedi di una quercia.

"Sei stato così gentile con me ed io così sgarbata da non chiedere neanche il tuo nome…"

"Mi chiamo Robert, e non sei stata sgarbata, stai soltanto trattenendo ancora quel grido!"

Risero timidamente, e cominciarono a parlare, chiedendosi entrambi cosa facesse l’altro in giro a quell’ora di notte.

Robert non soffriva di insonnia, semplicemente amava la notte perché gli permetteva di evadere dalla routine quotidiana, da un mondo che sentiva lontano da sé, come se non gli appartenesse.
Lei nei suoi occhi non vide malinconia, ma una sorta di serenità che riusciva a trovare solo quando era in completa simbiosi col proprio essere.

Era una sensazione che lui avvertiva tutte le notti, quella che per la prima volta avvertì anche Lucy.

Parlarono della loro infanzia, ripercorsero passo dopo passo i momenti salienti di quando erano ancora piccoli e senza pensieri, confrontando i loro sogni, le loro sensazioni, ed emozioni che credevano ormai di aver perduto per sempre.

Ad un tratto lei decise di raccontargli l’episodio che aveva ripercorso poco prima di inciampare in quella radice, e mentre lo narrava aveva gli occhi rivolti verso il basso ed un lieve accenno di sorriso.

Lui rimase attonito, quasi sconvolto, dal racconto di un momento che per molti sarebbe potuto sembrare banale, e la guardò in volto con gli occhi sbarrati, a bocca aperta.

"Beh, è un fatto così assurdo? Ho detto qualcosa di male?"

"Tu…"

"Io…cosa?"

"Tu sei…formica"

Lei gli prese di scatto il viso fra le mani, lo studiò attentamente con lo sguardo, con le dita, e col pensiero, e rivide i tratti di quel bambino che la prese in giro quel giorno, rivide le stesse labbra, gli stessi occhi, e la stessa sfumatura scura che aveva nello sguardo diciassette anni prima.
E scoppiò a ridere, si alzò in piedi, rideva infilandosi le mani fra i capelli ripetendo "Non è possibile!".

Ma lui rimase seduto, stavolta con un’aria malinconica, a guardarla.

Lei gli chiese il motivo di questa malinconia…

Stavolta cominciò il suo di racconto…quello in cui era immerso poco prima di tendere la mano ad una ragazza con la testa fra le nuvole inciampata nel cuore della notte.

Aveva cinque anni, era la notte di Natale. Era già passata mezzanotte da un bel po’…la mamma era distesa sul divano, il papà ancora non era tornato, e lui decise di andare a sbirciare comunque sotto l’albero per vedere ciò che gli aveva portato Babbo Natale.

Andò accanto all’abete, ma non vide nulla, cercò a fondo fra i rami, ma non c’era niente di niente.
Si sedette con le ginocchia piegate, fra le braccia, col musetto triste che vi era poggiato sopra, in attesa di chissà quale suono, chissà quale luce, chissà quale improvvisa magia.

Ad un certo punto sentì una porta sbattere violentemente…era il papà che era tornato.
Lui corse per abbracciarlo, ma il padre andò verso la mamma, per dirle che finalmente era riuscito a trovare quel diavolo di giocattolo, e la trovò addormentata con la bottiglia di whisky fra le mani.
Gettò il pacchetto in terra. La prese per il colletto del vestito e cominciò a schiaffeggiarla, lei mugolava appena, e lui inziò a gridare, furibondo, ed a riempirla di calci. Nel frattempo il piccolo Robert guardava la scena terrorizzato, completamente immobile. Il padre gli si avvicinò dicendo:

"E tu apri quel dannato regalo e fila in camera tua, altrimenti ce ne sono anche per te!"



Robert pianse, quasi in singhiozzi, che sembrava cercare di trattenere.

Non il Robert bambino, quello di venticinque anni.

Lucy lo strinse forte a sé, gli tolse il basco per accarezzarne i capelli, lo baciò sulla fronte e lo fece adagiare sul petto. Pensando che sono esistiti modi peggiori del proprio di venire a conoscenza del fatto che il caro ciccione peloso non esiste. E che c’era un motivo se quel bambino le diede quella rivelazione in modo così crudo.

Sembrava quasi cullarlo, lui si asciugò in fretta alle lacrime, ma allo stesso tempo si abbandonava al calore di quell’abbraccio, e sembrava non volersene privare mai più.

"E chi è adesso che si trattiene?" Sussurrò dolcemente lei.

Si alzarono lentamente, lei gli afferrò il braccio, con la scusa che zoppicava, quando in realtà riusciva ormai a camminare benissimo, e lui ne era ben consapevole.

Ma decisero di crogiolarsi in quella dolce bugia per restare abbracciati fino a quando lei non fosse tornata a casa.

Ripercorsero quel vicoletto insieme, condividendo quei pensieri che prima erano racchiusi all’interno del proprio guscio, semplicemente con la magia di quel silenzio, e col calore di quei corpi gelidi.

E davanti all’uscio della porta, lei gli carezzò il viso, lo guardò negli occhi, e raccolse per lui un grande fiore rosso, infilandoglielo nel taschino del giaccone.

Gli diede un bacio sulla fronte, sussurrandogli:

"La vera magia non è quella che si costruisce, ma quella che nasce all’improvviso in momenti inaspettati, come quella che sorge per via di una radice cresciuta un po’ troppo."


E la neve si scioglieva…ogni volta che incontrava il calore della Terra…


"Ciao, bimba. Ti andrebbe di fare delle scale diatoniche sul mio flauto di pelle?" -Daniele Luttazzi-



"La tecnica non conta..io mi occupo di e



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