Nick: jeanee Oggetto: Keats Data: 13/10/2006 23.6.29 Visite: 4321
Ode su un'urna greca (traduzione) I Tu, ancora inviolata sposa della quiete! Figlia adottiva del tempo lento e del silenzio, Narratrice silvana, tu che una favola fiorita Racconti, più dolce dei miei versi, Quale intarsiata leggenda di foglie pervade La tua forma, sono dei o mortali, O entrambi, insieme, a Tempe o in Arcadia? E che uomini sono? Che dei? E le fanciulle ritrose? Qual'è la folle ricerca? E la fuga tentata? E i flauti, e i cembali? Quale estasi selvaggia? II Sì, le melodie ascoltate sono dolci, ma più dolci Ancora son quelle inascoltate. Su, flauti lievi, Continuate, ma non per l'udito; preziosamente Suonate per lo spirito arie senza suono. E tu, giovane, bello, non potrai mai finire Il tuo canto sotto quegli alberi che mai saranno spogli; E tu, amante audace, non potrai mai baciare Lei che ti è così vicino; ma non lamentarti Se la gioia ti sfugge: lei non potrà mai fuggire, E tu l'amerai per sempre, per sempre così bella. III Ah rami, rami felici! Non saranno mai sparse Le vostre foglie, e mai diranno addio alla Primavera; E felice anche te, musico mai stanco, Che sempre e sempre nuovi canti avrai; Ma più felice te, amore più felice, Per sempre caldo e ancora da godere Per sempre ansimante, giovane in eterno. Superiori siete a ogni vivente passione umana Che il cuore addolorato lascia e sazio, La fronte in fiamme, secca la lingua. IV E chi siete voi, che andate al sacrificio? Verso quale verde altare, sacerdote misterioso, Conduci la giovenca muggente, i fianchi Morbidi coperti da ghirlande? E quale paese sul mare, o sul fiume, O inerpicato tra la pace dei monti Ha mai lasciato questa gente in questo sacro mattino? Silenziose, o paese, le tue strade saranno per sempre, E mai nessuno tornerà a dire Perché sei stato abbandonato. V O forma Attica! Posa leggiadra! Con un ricamo D' uomini e fanciulle nel marmo, Coi rami della foresta e le erbe calpestate - Tu, forma silenziosa, come l'eternità Tormenti e spezzi la nostra ragione. Fredda pastorale! Ancora tu ci sarai, eterna, tra nuovi dolori Non più nostri, amica all'uomo, cui dirai "Bellezza è verità, verità bellezza," - questo solo Sulla terra sapete, ed è quanto basta. L'ode descrive sostanzialmente la reazione del "narratore" (con ogni probabilità Keats stesso) di fronte alla bellezza e suggestività di un'opera d'arte greca, considerata come sublime e perfetta manifestazione del genio umano. Nella prima stanza, viene fornita una descrizione della reazione immediata del narratore al primo impatto con l'urna greca cui si trova di fronte (ed alla quale si rivolge apostrofandola, come fosse un essere vivente): è immediatamente percepibile un senso di riverenza, di meraviglia. Nella seconda parte della stanza, inizia una serie di domande: il narratore, che ha precedentemente chiamato l'urna "Narratrice", si chiede chi siano quelle figure rappresentate sull'urna stessa, quali leggende narrino, da dove vengano. Il narratore entra poi più nel dettaglio: probabilmente uno dei rilievi rappresenta un gruppo di uomini che inseguono delle donne. Nella seconda stanza, il narratore si sofferma su un'altra immagine dell'urna, che rappresenta un giovane che suona un flauto. Il narratore si rivolge al ragazzo, affermando che le melodie inascoltate sono più dolci di quelle mortali, poiché il tempo non può alterarle. Inoltre, dice al ragazzo che non deve addolorarsi per il fatto che non potrà mai raggiungere e baciare la sua amata, poiché la sua bellezza non svanirà mai (l'opera d'arte ha infatti cristallizzato quel momento). Nella terza stanza, il narratore osserva gli alberi che circondano gli innamorati, ed è felice, poiché questi non perderanno le loro foglie, e perché l'amore non finirà mai, al contrario dell'amore mortale, che pian piano scivola nella "vivente passione umana", per poi svanire, lasciando solo "il cuore addolorato e sazio, La fronte in fiamme, secca la lingua". Nella quarta stanza, viene esaminata un'altra immagine, che rappresenta un gruppo di contadini che conducono una giovenca al sacrificio. Il narratore si chiede dove stiano andando queste persone, e da dove vengano. Immagina una piccola città, le cui strade rimarranno per sempre vuote, poiché i suoi abitanti sono ora immobili sull'urna. Nell'ultima stanza, il narratore si rivolge nuovamente all'urna, dicendo che essa, come l'Eternità, "tormenta e spezza la nostra ragione". Egli pensa che, una volta che la sua generazione si sarà estinta, l'urna rimarrà, e conserverà per i posteri la sua enigmatica lezione: "Bellezza è verità, verità bellezza". Il narratore dice che questo è tutto ciò che l'urna sa, ed è tutto ciò che deve sapere.
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