Nick: Remedios* Oggetto: Data: 16/4/2004 12.46.58 Visite: 153
Sono nata alle pendici di un vulcano ed il mio sangue è misto alla lava incandescente che arde e si muove sotto di lui, minaccioso e imprevedibile fecondatore della terra madre che nutre e sostiene quel calderone di razze che è la mia gente. In questo luogo le case fatte di mattoni e calce si confondono con i resti di quello che fu un passato glorioso e tutto sembra fermo, specialmente certe domeniche di primavera quando l’aria profuma di ginestre e da Porta Marina si vede il golfo di Castellammare che si estende fino a Sorrento. Ogni tanto soffia solo un’ impalpabile brezza che smuove dalle rovine un po’ di polvere lavica che ritrovi nelle scarpe, nei capelli, nell’incavo delle dita e senti il suo sapore che si mischia a quello della crema dei dolci rubati dalla credenza prima del pranzo e divorati di nascosto, leccandosi le mani. Con il pretesto che fino ai quindici anni l’entrata era gratuita, trascorrevo lì le mie mattine di "marinaresche divagazioni" da scuola per andare a lezione di baci. Le gradinate dell’anfiteatro erano il nostro casto talamo, ogni tanto qualche turista romantico ci scattava una fotografia e quando al pomeriggio le ombre si allungavano ci sedevamo sotto un albero a sognare una vita al di là degli edifici pericolanti e decrepiti, delle folle urlanti, dei custodi che non custodiscono, delle lattine di coca cola buttate a caso. All’epoca percepivo il futuro come qualcosa di spaventosamente lontano nel tempo e nello spazio. Ed ora che sono trascorsi diversi anni e vivo a molti chilometri di distanza, quando desidero sentirmi a casa mi basta chiudere gli occhi ed immaginare i baci rubati di Luigi tra le mura delle antiche ville patrizie, l’odore del ragù di nonna che bolliva per ore e che profumava i miei risvegli, il mare e le isole che si vedevano dal terrazzo della casa dei miei genitori, il luogo della mia pace interiore, la prima cosa che ricomprerò quando sarò ricca.
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