Nick: Zanardi Oggetto: Universi Paralleli Data: 29/7/2007 13.24.17 Visite: 305
Quando nacqui mia madre mi fece una promessa. Mi promise che per me lei ci sarebbe sempre stata, che m’avrebbe sempre protetto, qualunque cosa fosse accaduto. Ma le promesse sono come i cuori, fatte apposta per essere spezzate. Io ero sempre stato piccolo per la mia età. Alla nascita pesavo poco più di due chili e mezzo. Nell’incubatrice sembravo incredibilmente minuscolo. La prima volta che permisero a mia madre e a mio padre di vedermi, i dottori dissero loro di avermi sistemato un tubicino nel naso. Mio padre, scherzando, disse che sembrava uno scivolo d’acqua. Mia madre, più che altro, aveva provato una sensazione di panico che iniziò a salirle dentro vedendo il mio piccolo torace alzarsi e abbassarsi impercettibilmente dentro quell’utero di metallo, circondato da quelli che sembravano migliaia di fili elettronici. "Mio Dio", pensava. "E’ così inerme". I dottori dissero ai miei di non preoccuparsi: tutto rientrava nella normalità. Ovviamente loro continuavano a preoccuparsi. I primi mesi mio padre restava sveglio la notte, accanto al monitor dove io ero attaccato. Mia madre si rifiutava di prendere l’automobile per paura di un incidente: è incredibile come macchinari striduli e rumorosi trasformino una persona normalmente razionale in un rottame in preda al panico. La mia era una vita splendida e minuscola e tutto quello che poteva succedermi sarebbe stata colpa loro. Questo pensavano i miei. Una volta abituati alla situazione, i miei cominciarono a rilassarsi. Io avevo un carattere particolarmente vivace, ma rispettavo i miei ritmi di veglia e di sonno senza creare troppi problemi. Dopo un po’ i miei si ritrovarono a passarmi da una parte all’altra della "mia" stanza, per allattarmi o cambiarmi i pannolini. Imparando a lasciarmi stare per conto mio, anche se cadevo e battevo la testa talmente leggera e minuscola. Mia madre concluse che era impossibile farmi male. Dissi le mie prime parole che erano "Da dà". Mio padre si commosse. Poi iniziai a camminare. Poi a tirare la coda al gatto. Quando compii un anno, il gatto era il mio migliore amico. Per il mio secondo compleanno i miei mi fecero una foto per Natale. Mio padre, nell’occasione, voleva mettersi una busta in testa e mia madre minacciò di ammazzarlo. Io ero minuscolo e per questo mi volevano ancora più bene. La vita era perfetta. I miei ed io ci trasferimmo in un’altra casa. Mio padre cantava ogni sera la sua ninna nanna e mia madre lo guardava. Mentre mia madre osservava l’amore tra me e mio padre che cresceva, tutt’a un tratto la realtà della mia condizione la colpì. Non ero piccolo. Chi sapeva riempire così il cuore non poteva esserlo. Durante il mio secondo anno di età mio padre tentò di riprendermi con una videocamera, mentre giocavo con Elmo. "Sembra che tu sappia usare davvero quel coso. Ma lo hai letto il manuale?", esclamò mia madre a mio padre. "Devono averlo stampato in greco o in chissà quale lingua", rispose mio padre. E poi aggiunse: "Sbaglio o P. è diventato più piccolo?". Era un commento casuale ma venne fuori che mio padre aveva ragione. Avevo perso un chilo. I dottori dissero loro di controllare il mio peso, quindi mi fecero fare una visita di controllo. I dottori mandarono i miei da altri medici, poi da altri ancora. L’ultimo medico mandò loro e me in ospedale per tranquillità. Ma mia madre non era affatto tranquilla. I dottori e gli specialisti iniziarono d’un tratto a parlare a voce bassa. Gettando, verso i miei, sguardi preoccupati di traverso. Il Primario chiese loro che io restassi sotto osservazione per quella notte. Mi fecero una serie di test. Ci fu più di un momento di panico quando gli esperti capirono che i risultati potevano indicare una cosa soltanto… "Sta ringiovanendo.". Era un’anomalia genetica. Ero un Mutante. E ringiovanire era la mia mutazione. Dissero ai miei che sarebbe potuto succedere a chiunque. In effetti stava accadendo. Le conseguenze erano imprevedibili. Dissero ai miei che occorreva aspettare. E i miei aspettarono. E io ringiovanivo. E i miei continuavano ad aspettare. Mia madre non resse e cominciò a bere. Bere allevia per un po’ un cuore devastato. La mia mutazione si aggravò. Il giorno in cui si festeggiò il mio quarto compleanno, il mio corpo era quello di un bimbo di sei mesi. Una delle infermiere disse a mia madre di avere fede. Che forse la mutazione si sarebbe interrotta. E intanto io scivolavo e scivolavo. Mia madre maledisse Dio, il bere, se stessa. Maledisse mio padre. Mio padre se ne andò per sempre. Mia madre ne fu felice. Non voleva che lui la vedesse morire dentro. Durante i miei ultimi giorni, mia madre, seduta nella stanza dell’ospedale, vicino all’incubatrice, spesso mi leggeva dei libri. Voleva credere che io riconoscessi il suono della sua voce, pur non potendo più comprendere le sue parole. A volte mia madre mi dormiva vicino, sognando di essere in spiaggia e poi a nuotare in mare. Nuotavamo pigramente sulle onde, lasciandoci andare. Lontano. E fu così che, durante quel sogno, mi allontanai definitivamente, nella realtà. E questa è la mia storia. La mia storia. La storia di P. morto per una bizzarria genetica che aveva fatto regredire la sua fisiologia. Questo era il mio universo parallelo. Tutti ne abbiamo tanti. In verità io credo di trovarmi nell’universo parallelo sbagliato. Un universo dove i prezzi della benzina sono alle stelle, la stagione degli uragani negli Stati Uniti d’America dura da gennaio a novembre e la guerra in medio Oriente prosegue come sempre e i kamikaze sono costretti a fare i kamikaze e vinceranno ogni guerra, perché in guerra vince chi muore e loro, se muoiono, hanno vinto. Un universo dove il sentiero che si inoltra tra le nubi si fa ancora più incerto se ci si dirige verso luoghi sconosciuti e nessuno ha una mappa da mostrarvi. Un universo che sembra un enorme ospedale psichiatrico, un enorme manicomio. Ove chi vi risiede non vede la luce da anni. C’è la feccia della feccia e tutti li/ci hanno dimenticati. Un manicomio dove alcuni sono dei criminali e quasi tutti sono pazzi senza possibilità di guarigione. Ma tutti sono esseri umani. E non immaginate con quanta rapidità coloro che si illudono di vivere nel mondo esterno dimentica la loro/nostra triste esistenza, data la mentalità tipo "butta via la chiave". Una volta si offriva ad un uomo con il cervello a pezzi un buon pasto e la possibilità di riabilitarsi, con la prospettiva di permettergli di riparare ai danni fatti e magari di fare del bene. Nel gigantesco manicomio di questo universo, invece non succede niente. L’idea di "fare del bene" ha fatto la fine dei Dodo e della musica di qualità. Ormai è quasi estinta, grazie a un universo dominato da tutto ciò che è istantaneo ed immediato: cibo pronto all’istante, gratificazione immediata. Non ce ne importa niente di quel che non possiamo vedere, a meno che non si tratti dell’ossigeno o non si trovi ai primi posti della classifica dei dischi più venduti. Il gigantesco manicomio di quest’universo qua non fa neppure "effetto" esteticamente. Tutti si aspettano di veder comparire un monumento con dei corvi che svolazzano gracchiando, ma sulle mura esterne si vedono solo escrementi di piccione. E, all’interno di esso, il raro onore che ci viene concetto è quello di osservare un ambiente sorprendentemente sterile, come l’incubatrice dove sono morto nell’altro universo. A ben pensarci, però, la mutazione che mi ha colpito né mio universo parallelo, è tutta mia pure in quest’universo. Spesso dimostro quindici anni. Ma anagraficamente ne ho più di trenta. Non che mi importi tanto. C’è un’altra cosa che mi preoccupa di più. Devo tornare alla vita del mio universo, dove non sono un mutante. Devo, altrimenti, seppur non m’allontanassi di nuovo, come minimo rimango nel gigantesco manicomio per sempre. E non credo sia una bella sensazione restarci. L’altro giorno feci una consulenza per un’importante azienda. Problema difficile da risolvere. Io l’ho risolto. Entrai in sala riunioni e mi applaudirono. Clapclapclapclapclap! Se ci fosse stata mia madre, avrebbe di sicuro pensato: "Dopo la tua prima risata a tre mesi d’età, nel tuo universo parallelo, è la musica migliore che abbia mai sentito". Ps - Grazie a Wolvie Tutti abbiamo una parte femminile, è vero. La mia è lesbica. |