Mestruo ergo sum

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Nick: Remedios*
Oggetto: Mestruo ergo sum
Data: 7/6/2004 17.39.32
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Mi sono venute anche questo mese. Ancora una volta si è manifestato il meraviglioso ciclo biologico della donna.
Che palle.
Non è che preferivo che non mi venissero.
Però che palle comunque.
Mi attendono cinque giorni di dolori lancinanti, sbalzi d’umore, capelli indomabili, pancia gonfia e brufoli.
E niente sesso, perché a me fa un po’ schifo.
È sempre così, da quindici anni a questa parte.
Dalla gita scolastica in terza media, che culo già da allora.
A memoria credo sia stato il mio primo piccolo vero trauma.
Tutte le mie amiche avevano già avuto il primo ciclo in estate. Le avevo lasciate a giugno con dei corpi acerbi e insignificanti che a settembre invece trasudavano femminilità.
Settembre iniziava sempre con la festa del mio compleanno, che cade appunto i primi giorni del mese. Festa rigorosamente all’aperto visto che potevo vantare una terrazza molto grande che io, mamma e papà allestivamo con faretti, festoni, tavola imbandita e stereo di nuova generazione. Se si può definire tale uno stereo della metà degli anni ottanta che esiste ancora parcheggiato in mansarda, e che è li ogni volta che mi va di sentire uno di quei vecchi vinili un po’ rigati che fanno sempre saltare la puntina. Ma io sono una nostalgica. Fosse per me potrebbero benissimo esistere solo tre canali.
Devo confessare che anche digitale terrestre mi inquieta.
Insomma questa terza media non stava iniziando nel migliore dei modi, ero ancora una bambina con la camicetta con le maniche a sbuffo, la gonna lunga con i volant e i sandaletti. Ero piatta, non avevo curve, mentre la altre erano l’apoteosi del fondoschiena e delle tette.
I ragazzi non mi si filavano. Ero anche la più bassa di tutte.
Fino alla gita di terza media: una doccia a fine escursione (eravamo andati a vedere il teatro greco di Taormina) e lì succede il "miracolo".
Mamma mi aveva avvertito di quello che sarebbe potuto capitarmi nel corso di quest’anno, ma io scioccamente credevo di essermi fatta male, e più mi lavavo più non passava. Così lo dico alle mie amiche e loro, in preda a crisi di isteria collettiva, mi abbracciano, mi baciano, mi offrono tutti i loro assorbenti. Ricordo ancora adesso la frase di Bianca, che le aveva avute per prima e si sentiva un po’ la mamma di tutte. "Ora anche tu sei una donna!". Marò. Se ci penso ho ancora i brividi. Mi tenne inchiodata sul letto a parlare di ragazzi, del fatto che mi sarebbero cresciute le tette (grazie Dio!) e che loro avrebbero fatto di tutto per avvicinarmi.
In realtà era proprio quello che desideravo.
E invece iniziai a collezionare una serie di figuracce. La prima da subito, la sera stessa. Scendo nel ristorante dell’albergo, e uno stuolo di ragazze mi piombano addosso per baciarmi e congratularsi del fatto che ero diventata "signorina". Ovviamente questo trambusto altro non fece che scatenare la curiosità del sesso opposto e per tutto il resto del viaggio dovetti subire i loro dispetti.
Poi fu la volta di mia mamma e mia nonna che al rientro mi fecero trovare la mia torta preferita insieme ad uno stuolo di zie, vicine di casa, comari e comarelle, tutte che si complimentavano con me manco avessi battuto il record mondiale in apnea.
E ricordo che le guance mi bruciavano dalla vergogna, non ci trovavo proprio nulla da festeggiare.
Come aveva predetto Bianca, il mio corpo reagì a questo cambiamento e più "reagiva" più erano frequenti gli inviti dei maschietti a darmi un passaggio in motorino fino a casa; e più continuava a "reagire" più aumentavano le frenate brusche lungo il tragitto, così come i lenti alle feste in casa e gli apprezzamenti per la strada.
Finita la scuola, iniziarono le vacanze, e già sapevo che avrebbero avuto un sapore diverso.
Me ne accorsi da subito, dal primo momento che poggiai il piede su quella spiaggia che conoscevo così bene da tredici anni. Anche le amiche del mare erano cambiate. Fu la prima estate in cui per cinque giorni dovetti usare i pantaloncini e non potei fare il bagno perché avevo "preso freddo alla pancia".
All’epoca le vergini non usavano gli assorbenti interni.
I maschietti con i quali fino all’estate scorsa avevo giocato durante la contr’ora, nutrivano per me desideri poco amichevoli e molto più carnali. Alla fine scelsi di mettermi con il figlio della proprietaria della che ci affittava casa da sempre: Giovanni, alto, moro, occhi verdi, surfista.
Quanti baci dati all’ombra della sua tavola da surf, quanto desiderio in acqua, quante notti stellate sul pontile da ricordare. Non era sesso, non era il momento, ma se ci penso era qualcosa di molto più bello.
Finì così la mia prima estate da "grande", al ritorno mi aspettava il trasloco in un’altra città, senza che nessuno si fosse preoccupato di chiedere il mio parere.
Mi resi conto che per alcune persone non ero affatto cresciuta, e forse ai loro occhi non lo sono tutt’ora. Basta pensare al fatto che mio padre custodisce gelosamente nel portafogli la mia foto di quando avevo sei anni.
Io ero e sarò solo una donna non cresciuta a cui ogni mese, per cinque giorni, vengono le mestruazioni.