Guardo la TV: Carla Bruni, adagiata sui sedili di un’auto, con una chitarra tra le mani, esprime tutta la sua sensualità delicata. Nel frattanto, la voce di Nancy Sinatra fa da cornice a questo spot in bianco e nero di quell’auto sui cui sedili è seduta Carla Bruni e che a me non piace affatto.
L’auto, non Carla Bruni.
Ogni volta che il mio sguardo incrocia questo spot, il mio pensiero è sempre rimandato verso due punti. Penso a Nicolas Sarkozy, e a quanto è stato furbo e fortunato. Aveva una bella moglie, è il presidente dei cugini d’oltralpe, eppure ha avuto la possibilità di scoparsi una come Carla Bruni. E, giustamente, da buon ometto francofono e tronfio, non ha fatto nulla per nasconderlo. Anzi, ha preso a farsi fotografare in giro, sorridente nonostante gli svariati centimetri che separano il suo volto da quello della donna che tiene per mano. Questa mossa ha avuto un effetto molto più che positivo per il suo appeal e per il consenso che i galletti gli hanno riservato. Bravo Nicolas! Bravo!
Appena smetto di pensare al nanetto dalla erre moscia (che a me sembra molto somigliante a Jean Alesi), mi lascio prendere per mano dalla Sinatra, che senza troppi balli, mi porta dritto da Uma Thurman in tuta gialla e katana, mentre viene ripresa dalla sapiente camera di Tarantino.
Kill Bill.
Quello che mi lega a questa pellicola va ben al di là del rapporto che si può avere con un film che ti è piaciuto. Kill Bill è molto più di una doppia serata al cinema, di svariati pomeriggi trascorsi a guardare entrambi gli episodi di seguito in compagnia di gelato in liquefazione o pancake. Kill Bill è molto più di una colonna sonora composta da pezzi nipponici a me sconosciuti, ma ostentatamente canticchiati, molto più di sfondi per il computer, di foto celebrative ed imitazioni, delle Onitsuka Tiger gialle taglia 44,5 che ancora calzano i miei piedi. Per me Kill Bill è il simbolo di un periodo bello, trascorso, passato e che mai più ritornerà con quella forma lì, uno di quei periodi in cui tu e il tuo karma siete di comune accordo e fate girare la ruota della vostra quotidianità esattamente nel verso che piace a voi.
Quando guardo Carla Bruni e la chitarra, quando ascolto Nancy Sinatra canticchiare, quando penso a Sarkò, a Uma Thurman, a Tarantino, quando penso a me, al mio me stesso di qualche tempo fa, mi rendo conto di quante cose siano cambiate. Se mi giro indietro e guardo appena ad un anno fa ho la sensazione che ho nel guardare una di quelle foto degli anni ottanta in cui, piccolino, sono ritratto con abiti improponibili e capelli strambi. Mi viene da sorridere a guardare certe immagini, perché sono quasi ridicolo. Eppure, quel sorriso è tanto simile a quello che ho nella foto che mi hanno scattato giusto la settimana scorsa, quando di candeline sulla mia torta se ne contavano venticinque. Se penso ad un anno fa, se penso a quante cose sono cambiate, con quante situazioni ho imparato a convivere, mi viene quasi da stringermi la mano da solo e dire: “Complimenti Luigi! Io non credevo affatto che ci saresti riuscito.”.
In fondo è vero. In fondo accettare in maniera consapevole e serena cambiamenti così radicali, non è cosa poi così semplice. È un po’ come se ti dicessero che la pasta e fagioli va mangiata con la forchetta, senza pepe ed accompagnata dal vino bianco. Come si fa? Per quanto tu possa essere il mago della pasta e fagioli, il contorno che ti sarà messo a disposizione, il contorno al quale dovrai adattarti, sarà sempre una grossa limitazione. Io mi sono sforzato di mangiarla, ho provato a superare me stesso, a dosare ancor meglio gli ingredienti, a provare a raccogliere tutto il contenuto del piatto con gli appuntiti denti della forchetta. Ho tentato soprattutto di capire la logica di quegli impedimenti che mi venivano imposti. La sola risposta seria alla quale sono giunto, è che certe imposizioni sono utili solo a farmi vivere con un filtro piantato sulla testa, e se la pasta e fagioli deve vincolarmi a questo filtro, beh, io posso farne a meno. In fondo di legumi ce ne sono a bizzeffe, anche molto saporiti. E pazienza se la mia specialità erano proprio i fagioli: trovare nuovi stimoli è decisamente un’esperienza che arricchisce!
Un’amica che non vedevo da un anno dice di avermi trovato cambiato, diverso da come mi ricordava. Migliorato, forse. Certo, tante cose sono cambiate, dall’approccio alla quotidianità al modo di guardare il mio viso allo specchio. Eppure credo che la base dalla quale mi sviluppo sia sempre la stessa. È un po’ come quando prepari un frullato di banane. Lo assaggi, ti piace. Poi ricordi che in frigo ci sono giusto due fragole, e ce le metti dentro, rifrullando di nuovo tutto. Il colore ora è più rosato, sai che il sapore avrà delle punte di gusto nuove, che lo renderanno forse più gradevole, forse no. Di sicuro la banana la farà sempre da padrona.
Credo che non ci potesse essere momento migliore per festeggiare il mio primo quarto di secolo, per siglare il mio passaggio simbolico, ma sentito e consapevole, nel mondo degli adulti, di quelli che le cazzate le fanno, ma con uno stile diverso.
Eppure, nonostante i miei progressi, c’è ancora una cosa che non riesco a superare, che non voglio accettare. Ho sempre ascoltato tanta musica, e l’ho ascoltata in maniera viscerale, cercando di raccogliere delle emozioni, di legare dei brani a delle situazioni più o meno piacevoli, a degli stati d’animo. Ci sono delle canzoni che sono le MIE canzoni, quelle intime, quelle che mi fanno piangere, quelle che raccontano di me evitandomi di aprire la bocca e raccontare. Quelle melodie, quei testi, impressi a fuoco in angoli diversi del mio io, e che gelosamente ho nascosto per tanto tempo, ormai sono per le orecchie e gli occhi di tutti.
E allora grazie, esperti di marketing, per aver permesso a tutti di conoscere i Portishead.
Vi ringrazio pubblicamente, pubblicitari delle grandi multinazionali, così bravi a scovare tra le mie play-list quei brani ascoltati raramente, ed assaporati come gocce di miele prezioso.
Grazie a voi, maghi della comunicazione, che avete studiato il soggetto Luigi, scoprendo la potenza che esercitano sugli stati emozionali le voci di Beth Gibbons, di Lou Rhodes, di Nina Miranda. Tutti voi mi avete messo in crisi, mi avete denudato di fronte al mondo intero che in metro canticchia quei motivetti a me cari, storpiandoli, distorcendoli, interpretandoli in maniera così pietosa.
Non mi lasciate altre soluzioni: mi tocca osservare Carla Bruni, adagiata sui sedili di un’auto, con una chitarra tra le mani, mentre esprime tutta la sua sensualità delicata. Sono obbligato ad ascoltare la voce di Nancy Sinatra fare da cornice a questo spot in bianco e nero di quell’auto sui cui sedili è seduta Carla Bruni e che a me non piace affatto.
L’auto, non Carla Bruni.
Non posso fare altro che complimentarmi con Sarkozy, per il suo potere e per la sua compagna.
Non posso esimermi dal ringraziare Quentin ed Uma, per i bei momenti che mi hanno regalato.
Non posso non confidare nella bravura dei virtuosi della musica, nel loro spirito creativo e nella mia capacità di emozionarmi: qualcuno, da qualche parte, sta scrivendo una nuova canzone apposta per me.
Non sono i popoli a dover aver paura dei propri governi, ma i governi che devono aver paura dei propri popoli. [V]