Tumore al cuore
Ida era mia zia. Una di quelle zie che friggono tutto e ti danno sempre da mangiare. Una zia-mamma. Aveva una salumeria e portava addosso un profumo di pane fresco.
Anche Pacifico era mio zio. Era fedele al suo nome. Mite. Un’ombra. L’ho visto poco.
Un altro zio era Salvatore, minuto falegname che aveva le mani callose e una timidezza serena. Ho visto poco anche lui.
Il signor Giovanni, invece l’ho visto una volta sola: era il papà di una cara amica e mi diede la sensazione di un uomo protettivo e forte. Un po’ come il dottor Vincenzo, che ho avuto di fronte nei banchi del Consiglio comunale dieci anni fa. Di Rifondazione io, di An lui. Scontri belli, di contenuti. Sorrisi complici. Il rispetto per chi ha ancora un valore.
Ida, Pacifico, Salvatore, Giovanni, Vincenzo hanno due cose in comune.
La prima è che, in un modo o in un altro, hanno incrociato la mia strada.
La seconda è che sono morti in questi giorni di tumore. In pochi mesi. Hanno scoperto la scimmia rancida da un mal di pancia. “Mi sento disturbato, ho dolore allo stomaco, non mi va di mangiare oggi”.
Tre settimane dopo erano sotto terra.
Ci sono emozioni private in queste vicende: ricordi, parole, fotografie. Poi ci sono emozioni più allargate: la paura che potrebbe capitare ad altri, l’orrore di vedersi consumati in un lampo. Poi c’è una suggestione di tutti: il tumore nell’area a nord di Napoli. Fegato e polmoni, i peggiori. Ci sono studi che dimostrano che in alcune zone della Campania, negli anni scorsi, il cancro è esploso come un’epidemia. Percentuali più alte che nel resto d’Italia. Ma anche queste cifre non la dicono tutta, almeno per il Giuglianese.
Se in tre mesi, io ho perso tre zii (giovani, tutti meno di 70 anni) e due conoscenti, con la stessa malattia e allo stesso, fulminante, modo e tutti cresciuti tra Marano e Mugnano; se la cerchia limitata dei miei conoscenti e parenti conta una percentuale così alta di morti fulminanti con tumori al fegato e ai polmoni, cosa sta succendo nella altre famiglie di questo territorio?
Sarebbe interessante andare a spulciare ed analizzare i dati scientifici, nuovi, quelli degli ultimi anni. Ammesso che sia concesso davvero a qualcuno di fare una verifica seria. Ormai siamo privi della possibilità di intavolare qualunque ragionamento sul tema rifiuti. Se dici una parola, ti bollano come irresponsabile; se ne dici due, stai proteggendo il tuo giardino; se ne dici tre, hai interessi da coprire; se ne dici quattro, i giornali di regime ti mandano addosso un cronista, se ne dici cinque, ti portano in questura.
Ma lo sconcerto rimane. Hanno militarizzato i siti destinati a discarica; trovano amianto e militarmente lo sotterrano; hanno abbandonato interi pezzi di territorio alla camorra e alla criminalità; hanno consentito l’infezione purulenta dell’intreccio tra miope individuali e collettive, il saldarsi di interessi minimi e grossi. La camorra ha comprato i terreni per metterci vernici tossiche del nord, i generali arrivano oggi, aprono discariche sugli stessi terreni, ci depositano le stesse vernici tossiche, legalizzandole, e ci dicono “dove eravate?” senza spiegarci dov’erano loro, con le mostrine e i carrarmati. I contadini, magari gli stessi che oggi protestano, hanno irrigato i campi con il percolato e ci hanno portato frutta e verdura a tavola, vendendola su rassicuranti camion che girano per i paesi e ti spacciano l’illusione della genuinità. “Non vengono dalla Cina, è roba nostra”, dicono le voci dal megafono dei treruote.
Noi, intanto, contiamo i morti.
E moriamo ogni giorno del dolore di restare qui. Impotenti. A consumarci di un tumore nuovo, quello al cuore.
Pubblicato da antoniomenna a 13.24
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