Nick: mir Oggetto: Il ricordo (per me) Data: 27/1/2005 21.34.39 Visite: 76
Un tuono. Un netto e possente tuono è entrato a casa mia mentre ero immerso nei pensieri. Ed è come se mi avesse svegliato. Guardavo la televisione. Sullo schermo passavano le immagini della Giornata della Memoria e nella mia testa affioravano i ricordi di questa estate. Sono stato anche a Berlino questa estate. Ed ho visitato un campo di concentramento che sorgeva ad una ventina di chilometri dalla capitale del Reich millenario: Sachsenhausen. Lì sono passate circa 200.000 persone tra ebrei, omosessuali, zingari e oppositori del regime. Più della metà sono morti per gli stenti, per le malattie o uccisi dalle SS. Tra questi anche qualche centinaio di italiani. Fu il lager più vicino alla capitale e le baracche dei deportati si potevano vedere anche dalla vicina (e terrificantemente bella) cittadina di Orianenburg. E' difficile descrivere la sensazione che si ha ad entrare in un posto del genere. Hai l'idea che le pareti di quei posti possano parlare più del museo creato lì per ricordare gli orrori compiuti dai nazisti. E forse è così. Le guardi e ti viene un groppo alla bocca dello stomaco. Ricordo che pioveva il giorno della nostra visita, quasi a completare un'atmosfera che prendeva me e i miei compagni di viaggio e ci costringeva a comunicare con poche parole. C'erano queste baracche poste al centro di un grande campo. Lì passavano le persone da "trattare". Intorno, adesso, non c'è più niente ma allora c'erano file e file di queste baracche dove venivano stipati i prigionieri. Tutti dormivano in letti a castello di legno. Ammassati come polli da batteria, senza alcun rispetto, senza dignità, e chi dormiva sopra a tutto aveva il tetto davanti al naso. Chi ha letto Primo Levi sa di cosa sto parlando. La mia amica, che era lì quel giorno della visita, mi ha detto molte volte che "sente" di essere stata in un posto del genere in una sua vita passata e che forse lì l'ha anche conclusa. Le credo. Certe cose si sentono troppo per essere false. Tutt'intorno un alto muro di cinta è interrotto da torri. Nessuno scampo, tranne per noi turisti di 60 anni dopo. La prima cosa che ho notato erano due alberi al centro della spianata. Almeno uno di essi poteva essere stato testimone di chissà cosa e mi è venuta voglia di toccarlo: freddo e robusto come chi è sopravvissuto al peggio. Dove prima sorgevano le baracche adesso ci sono dei blocchi di cemento numerati. La tradizione ebraica vuole che per ricordare un defunto si debba posare una pietra nel luogo dove lui riposa. Su queste decine di blocchi c'erano tante pietre. Questo ricordo è un po' la mia. Fuori al terrazzo la neve si accumula in silenzio.
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