Nick: JacKn|Fe Oggetto: Il ruolo (frainteso) del jazz Data: 29/1/2005 15.16.38 Visite: 134
Ricollegandomi all'editoriale apparso su Musica Jazz di Gennaio, ad opera del direttore Filippo Bianchi, mi preme fare delle riflessioni. Bianchi sostiene che il jazz non è più jazz perché non alla portata di uno studente qualunque e bla bla bla. Ok, ma il punto, a mio avviso, è un altro. Ieri, suonanva Romano Mussoli con Rick Pellegrino, Giorgio Rosciglione e Lucio Turco, in un locale del Vomero (che non è l'Around....). Formula cena/concerto. Antipasti di polipo con surimi, gamberetti, e mais, poi di alice marinate col limone. Per primo, quella pasta grossa (mi sa che si chiamano Paccheri o qualcosa del genere) con un delizioso sugo a base di tonno - per la mia signora, senza tonno. Secondo, squisiti gamberoni, e per la mia lady un bel piatto di roastbeef condito con un ottimo sugo e funghi. Insalata. Macedonia. Un buon vino bianco di cui non ricordo il nome. Cameriere che, efficientissime, cambiavano i piatti con celerità ed accortezza. Ora, credo che una cena del genere sarà costata non meno di 50-60 euro a persona. Prendendo questo come caso limite, e passando in rassegna i biglietti dei vari teatri e club, ci si accorge di come il jazz non solo non sia fruibile dal pubblico di studenti, ma ancora, non è alla portata neanche del comune lavoratore salariato. Diciamoci la verità, ad ascoltare Wes Montgomery ci andavano gli zappatori. Lo stesso bebop, nacque col charleston (e cassa, spesso) in levare, per evitare che i jitterbugs (ballerini bianchi benestanti) ci scorazzassero su. Per evitare che la musica fosse un lavoro negro, finalizzato a far ballare il padrone bianco. Ed ora, cos'abbiamo? Musicisti che a fine mese fanno i conti (sempre amari, ahimé, a meno che non si tratti di Jarrett e simili) con la bolletta del gas. E padroni benestanti che pagano fior di quattrini per ascoltare i loro concerti. Ovviamente, questo tipo di platea è quella che meno ne capisce di musica, che meno possiede quelle velleità - almeno minimamente artistiche - che consentono di capirci qualcosa. E meno di tutti si emozionano. Intanto, loro siedono al tavolo in prima fila, ed uno studente, ma anche un lavoratore dipendente, è costretto a fare come tanti "negri" squattrinati. Come quei "ragazzacci" che, non avendo i soldi per comprare dischi e bobbine, restavano fuori ai locali, porgendo l'orecchio, per tutta la durata del concerto (o finché non venivano cacciati). Noi, studenti, lavoratori, con la voglia di ascoltare buona musica, fuori, con l'orecchio teso. Loro, danarosi con la voglia di dire "ievi, cava, sono stata al concevto di quel bvavissimo pianista...", dentro, al caldo, con le orecchie tappate da orecchini d'oro bianco. Ma come si domandava l'autore dell'articolo citato all'inizio, cosa c'è di jazz in tutto questo?
|