Il Rosso.
Il mio cappotto, uno dei miei preferiti. Il mio ombrello. Come la bambina di Schindler's list. O almeno così mi sembra, quando tutto il resto della città è grigia come un film in bianco e nero e i miei colori stonano con quelle pagliuzze bicolore che sono nient'altro che un'interruzione di segnale alla tv prima dell'avvento del digitale.
Avverto il ticchettìo della pioggia sulla tela che copre la mia testa, accompagnato dal bruciore della carta delle sigarette che porto cautamente alle labbra. La cenere è in pendant col resto del mondo oggi.
Ho in testa Dusty Springfield che canta The Look of Love accompagnata dal tocco di Burt Bacharach. Sono nella mia stanza e danzo, da sola, coi passi a memoria imparati un passato lontano, quando potevo anche permettermi di sognare di diventare una grande ballerina, prima di una grande pianista, prima di una grande scrittrice, prima di un grande professionista.
Il ticchettìo fa da metronomo alla musica che ho in mente.
E' il desiderio di perfezione che distrugge le persone. Perchè essere il migliore, sempre, è quello che ti abitui a dover  simulare di essere per il qualcun altro di turno, nessuno escluso.

Allora cerchi un nascondiglio sicuro dove celare le tue imperfezioni, le tue insicurezze, le tue titubanze, dove ti senti libero di essere mediocre, perchè realizzi, in un momento, che hai smesso da tempo di avere aspettative verso te stesso che rasentino l'ottimo risultato.
E' un angolo, vicino ad una finestra, da dove puoi guardare la vita degli altri mentre le goccioline d'acqua si inseguono lungo il vetro, e tu percorri dall'altro lato del mondo questa danza di corpi che corrono e si raggiungono e poi si lasciano e si rincontrano ancora, con le dita che premono delicatamente sul materiale trasparente lasciando aloni di calore che ti rammentano il sangue che continua a scorrere nelle tue vene.
Quand'è che finisce questo cinema?
Mentre le tue braccia lambiscono le tue gambe e la testa è poggiata sul metallo che incornicia la tua visuale su tutto il resto avverti una carezza col dorso di una mano vicino la guancia, che fissi alla spalla con un movimento della testa che ti allunga i lembi delle labbra. E' un sorriso che ti ha portato una tazza di the caldo, prima di sedersi al tuo fianco e coprirti la schiena dal freddo. Ora piove piano sul tuo volto, con gocce salate che si rincorrono sotto il mento e che fatichi a seguire con le dita.
Riesci solo a rompere la tempesta con un "sono contenta che mi abbia trovata". A cosa serve un nascondiglio se non speri di venire scovato, prima o poi? E a che serve rincantucciarsi a meditare, valutare, considerare se non condividi con qualcuno un momento di serenità? A che serve la perfezione quando riesci ad essere imperfetto alla presenza di una persona e accetti i tuoi nei senza l'esigenza di eclissarti?
Torni a danzare, con le braccia in aria, la gamba leggermente alzata, che ti proietta col bacino qualche centrimetro più in là e cerchi una nuova ambizione, qualcosa in cui non prevedi, almeno tu, di fallire.

E l'attesa termina, finalmente. Smette di piovere.
La città è ancora in bianco e nero.
Vorrà dire che cambierò cappotto, la prossima volta.