Nick: Bostik Oggetto: re:la "gioia" di vivere Data: 10/1/2004 23.22.27 Visite: 72
Tempo fa, un mucchio di anni fa, se ci penso, avvenne che mi trovai avanti ad una persona che aveva deciso di uccidersi. Ma io non lo sapevo. Era una persona malata, lui lo sapeva. Non ritenendo di avere più niente che lo legasse a questa Terra, si ammazzò. L'ultima cosa che ricordo è uno sguardo: eravamo in un corridoio, io sapevo del suo cancro e lui sapeva che io sapevo. Sai, da buon napoletano, quando tiri il mento all'insù come per dire: "così va la vita..". Lui così fece. La sua vita così andava. Ma forse aveva già anche deciso che così non doveva andar più. Seppi solo dopo, che l'aveva fatta finita, da buon chimico, con una delle cose che attentamente ci faceva studiare. Trovai giusto, quando morì, servire la messa. E' passato un sacco di tempo, avevo altre idee, la chiesa e la Chiesa non erano cose per me. Ma lo feci, sapendo che altrimenti nessuno l'avrebbe fatto. Indossare goffamente abiti da chirichetto era il modo di uno che avrebbe in quel periodo sottoscritto tranquillamente la frase "cloro al clero", particolarmente "in auge", in quel periodo. Poi il suicidio mi ha toccato in altri modi. Una volta tocco' i miei calzoni, le mie scarpe, il mio bloc notes da aspirante stregone giornalista di cronaca: lavoravo e un signore di mezza età decise di farla finita sotto il mio naso. Il mio lavoro non mi permise di archiviare la cosa. Dovetti aspettare, capire, vedere. E ora, in quella strada ogni volta che ci passo, vedo solo un corpo riverso in mille pezzi. E lo vedo in decine di altri posti a Napoli. La giovane studentessa, l'uomo giù dal Jolly Hotel... E sono passati tanti anni e ho accumulato dolore estraneo. Te lo scrivo perchè vederlo dall'esterno forse fa comprendere che non sono solo scelte affettive quelle che mandano avanti l'idea del suicidio. "eppure donnette l'han fatto, non ci vuole orgoglio ma umiltà.." scriveva Cesare Pavese, doloroso, in quel quadernone verde che poi divento' "Il mestiere di vivere" dopo che Pavese si uccise.. Sono dell'idea che siano tantissime, innumerevoli, profonde e imperscrutabili le ragioni di un suicidio, anche ad un caro amico, ad un parente. La rabbia è giustificata.. Sai quella stronzata psicologica delle "fasi del dolore" secondo me è giusta: la prima fase del dolore è la negazione..l'ultima è l'accettazione. Ed è la più difficile. Quando parli di tuo nonno che , diosanto, ne ha passate tante quante il mio, partigiano, che dovette prendersi i calci in culo di mezz'Italia per ritornare a casa sua scampare a guerre, massacri.. Dico, quando parli di lui ti rendi conto che parli di altra tempra, altra psicologia, altra gente. Questa è gente che ha fatto la guerra, temprata dio solo sa a quante tragedie. Ora siamo ovattati, piangiamo per non meglio precisati "esaurimenti nervosi", ridiamo ascoltando applausi finti dalla tv.. Non è certo la stessa cosa rispetto a gente che ha visto la vita, la morte e ancora la vita, ha attraversato il baratro e la speranza e che, probabilmente, è molto più abituata di noi a parlare, capire e capirsi, senza troppi giri di parole, ma concretamente, onestamente, "pane e puparuoli" direbbe qualcuno..
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