Nick: Mr_LiVi0 Oggetto: Il giornale del giorno Data: 30/6/2006 9.25.25 Visite: 143
GUAI A CHI AIUTA PRODI di VITTORIO FELTRI Il governo rischia sull'Afghanistan. Lasciamolo affondare Spero Prodi non si offenda; se si offende fa lo stesso. Farebbe bene a dimettersi. Dai mortadella, ciappa su e va' a ca tua. Non è lo sfogo di uno cui i comunisti stanno sui rognoni; è una semplice considerazione politica. Vado nel dettaglio. Qui si tratta, a giorni, di votare in Parlamento il rinnovo della missione italiana (di pace, sì di pace, uffa) in Afghanistan. Dovrebbe essere una operazione routinaria per una maggioranza normale. Ma quella di centrosinistra normale non è. E rischia di finire male, con uno sbandamento letale per il premier. Difatti l'Unione non è d'accordo, nella sua totalità, sull'approvazione del decreto. Quercia, Margherita e spiccioli sono per il sì; mentre Verdi, Comunisti italiani e Rifondazione sono per il no. Spaccatura. C'era da aspettarselo. Era nota da mesi, da anni, una diversità di vedute in proposito. Tuttavia Prodi ha affrontato la campagna elettorale con la tipica leggerezza, scambiata per ottimismo, di chi ha in mente soltanto di governare. Sicché ha confidato nel buon senso di chi non ne ha, ossia l'ala estremista e massimalista della sinistra. Errore. Ora quell'ala, coerente con i propri pregiudizî, dichiara senza vergogna di bocciare la missione afgana. Il che significa governo in minoranza e in caduta libera. Stante la situazione, prossimamente Mortadella si troverà sotto e con il cerino in mano. In pratica, però, succede che il centrodestra (a cominciare dall'Udc), smanioso di risalire alla ribalta, ha detto di essere disponibile a regalare suffragi all'avversario nel nobile intento, rinunciando al tipico ruolo dell'opposizione, di consentire ai nostri militari di proseguire il loro lavoro in Afghanistan. Bello. Davvero bello che la Cdl dia una mano all'Unione disunita affinché non vada a ramengo e non sia costretta a richiamare in Patria i soldati. Casini e Berlusconi e forse anche Fini e Bossi colmeranno il vuoto lasciato nella maggioranza dai soliti comunistardi pacifisti nichilisti eccetera. Ok. Abbozziamo. Ma si rendono conto di essere stupidi se corrono gratis in soccorso degli avversari? Mi auguro di sì. Siamo tutti persuasi che i militari italiani debbano rimanere laggiù. La responsabilità di lasciarceli se la assuma tuttavia il presidente del Consiglio con la sua coalizione, se ne è all'altezza, senza bisogno di chiedere voti in elemosina all'opposizione. Non è in grado? Rassegni le dimissioni davanti all'evidenza: se non possiede i numeri per far passare un provvedimento, non ha altro da fare che salire al Quirinale e dire al Capo dello Stato le cose come stanno. Bandiera bianca. Invece no. Egli non molla. Accetta, pur di sopravvivere, la stampella della destra. E rimane lì, come nulla fosse accaduto. Il guaio maggiore è che la Cdl ci sta. Non fiata. Non pretende nulla in cambio. E questo è da polli. Sinceramente: da cretini. Ovvio, per non rimangiarvi la parola, cari "destri", fate bene ad anteporre l'interesse internazionale a quello di bottega; però c'è modo e modo di calare le brache. Offrite pure a Prodi la vostra collaborazione, ci mancherebbe. A una condizione: sì alla missione in Afghanistan, che d'altronde noi abbiamo voluto, però subito dopo l'approvazione del decreto tu, signor Mortadella, togli il disturbo. Lo togli perché non hai una maggioranza concorde sulla politica estera. Ovvero non hai una maggioranza che la pensi alla stessa maniera su questioni fondamentali. Se Casini, Berlusconi & Company non profittano della congiuntura per licenziare il premier e rinegoziare gli equilibri parlamentari sono da fucilare. Il governo non ha la forza di confermare la presenza italiana in Afghanistan? Si arrangi. Chiede un aiutino al centrodestra? Lo paghi. Morto un premier, che non aveva valutato di non poter contare su una maggioranza, se ne faccia un altro. Oppure si costruisca una nuova maggioranza. Tertium non datur. O meglio, si torni alle urne. Ultime da sinistra: rubare ai morti di ALBERTO MINGARDI Rimettete la tassa di successione? Pazienza, ma almeno evitate di farci la morale e di proporre di rubare al morto (ricco) per dare al vivo (povero ma pur sempre vivo). Che il governo mediti di allungare le mani sulle eredità, non è precisamente una sorpresa: ne aveva parlato, inciampando sulle soglie, Romano Prodi incampagna elettorale, poi l'ha confermato Vincenzo Visco. Per la sinistra, del resto, sarebbe una controriforma simbolicamente caricatissima. Vorrebbe dire cancellare quello che tutti ricordano come il primo atto di Berlusconi. L'idea non ci piace, ma comprendiamo. Unpo' più difficile da capire è come mai si vanti, come argomento per la risurrezione della tassa, la sua evidente inutilità. Così ha fatto ieri Salvatore Bragantini, auspicando un ritorno dell'imposta proprio perché «essa non serve ai conti pubblici». Insomma, per le tasse non vale l'unico principio che accomoda tutte le sofferenze della vita, cioè che finiscono con l'ultimo battito del cuore. Ma se il fisco c'inseguirà anche da morti, non sarà neppure per mettere ordine nel bilancio dello Stato. Quel che l'ex commissario Consob propone è un'imposta concepita non come strumento per placare la fame del settore pubblico. Cosa, per noi contribuenti, sgradevole di per sé ma perlomeno comprensibile. Bragantini sogna una tassa che serva, per così dire, per far cultura. L'Italia, spiega, è malata di familismo. Diagnosi ineccepibile. Non è chiarissimo, però, come mai debba essere «familismo» il legittimo desiderio diun padre e di una madre di lasciare ai propri figli quanto hanno conquistato in una vita di lavoro. L'imposta di successione, prima di incorrere nella mannaia del governo Berlusconi nel 2001, era già stata tagliata dall'Ulivo, che nel 2000 aveva ridotto fortemente le aliquote ed ampliato la fascia di esenzione. Essa davvero serviva pochino ai conti pubblici: il suo gettito, prima della riduzione, era comunque inferiore a 300 milioni di euro l'anno. Cifre inimmaginabili per una persona normale, ma una goccia nel mare per lo Stato. Salvatore Bragantini vorrebbe questa «tassa inutile » perché immagina servirebbe a costruire «l'eguaglianza dei punti di partenza», che a sua volta farebbe parte del corredo ideologico della democrazia liberale. Così, i pochi spicci delle successioni andrebbero investiti in una sorta di "fondo", con l'obiettivo di finanziare una «redistribuzione intergenerazionale». Insomma, che i figli dei poveri e quelli dei ricchi possano scambiarsi di posto, se così suggeriscono meriti o demeriti squisitamente individuali. L'argent de poche raccolto con la «tassa inutile» verrebbe buono per aiutare i meno fortunati. Come, non si sa (del resto il gettito non sarebbe «vincolato» a nessun utilizzo preciso, spiega Bragantini), ma presumiamo staccando loro un assegno ad un certo punto della vita. Quando? Quando si entra all'università? Quando ci si getta nel mercato del lavoro? Con quali vincoli e per fare che? Buio pesto. L'uguaglianza dei punti di partenza gode ancora di buona stampa, ma alla fine in che cosa è diversa dall'uguaglianza dei punti d'arrivo? Qui, addirittura, si parla di sequestrare, in parte rilevante, le successioni: è l'uguaglianza dell'estremo punto d'arrivo. È verissimo che chi ha la fortuna di nascer ricco fa meno fatica. Se per questo, anche chi viene al mondo in una famiglia che gli vuole bene. Chi ha neuroni che funzionano meglio. E della fortuna sfacciata e vergognosa che hanno i belli e le belle, che con un sorriso strappano quello che a noi bruttacci costa mille parole, ne vogliamo parlare? Non c'è giustizia in queste diseguaglianze. Ma qualcuno vorrebbe forse sfregiare quelli che fra noi hanno il naso più fine, per non far sfigurare gli altri? Vogliamo segare le gambe ai più alti, strappare i genitori ai più amati, obbligare al sei politico gli intelligenti? Diciamola tutta. I figli asini dei ricchi spesso finiscono poveri. Perdere quattrini è facilissimo: è farli, che è difficile. La possibilità di costruirsi un patrimonio la garantisce un mercato libero, sul quale chi vale ha l'occasione di farsi i muscoli. Invece di educarci a tollerare le nostre congenite sfighe, ora ci promettono l'eguaglianza dei punti di partenza tassandoci in quell'unico momento in cui tutti uguali finalmente lo siamo, è innegabile. L'impressione è che la botte sarà vuota, e la moglie sobrissima. Vincono i sindacati Pagheremo tutto noi di FRANCESCO FORTE Il ministro dell'economia Tommaso Padoa Schioppa ha annunciato che la "manovrina" estiva sarà di sette miliardi, tutti sul lato delle entrate, per un totale pari allo 0,5% del Pil del corrente anno. Di contenimento di spese non si parla perché è in corso la concertazione con i sindacati confederali e - dicono il premier e i vari ministri - sarebbe di cattivo gusto parlare di minori spese, quando si concerta con loro. Dunque, sarà una stangata per la classe media, per il risparmio, per gli operatori economici medi e minori. Che non rientrano fra le categorie a cui il concerto con i sindacati offre protezione. Reputoche il ministro dell'Economia sia una persona seria e competente. Ma, ciò premesso,mipare che questa operazione di cosiddetto risanamento dei nostri conti pubblici parta male. È tutta sul lato delle entrate, senza toccare le spese, il cui andamento è stato giudicato anomalo dagli stessi esperti, incaricati dal nuovo governo, dopo le elezioni, di fare una verifica dei conti pubblici. Ma non si può chiedere al contribuente di pagare di più, dopo avere ammesso che le spese sono eccessive. E non si può pretendere di avere un consenso eticamente motivato, da parte dei contribuenti, quando le spese non vengono poste sotto controllo per non disturbare il concerto con i sindacati. I quali non rappresentano tutti gli italiani, né tutti i lavoratori, ma solo una parte di essi, che è una minoranza. Anche se si tratta di una minoranza decisiva per la coalizione che governa il paese. E far decidere la politica fiscale dal concerto con i sindacati è ben poco corretto, in una democrazia in cui la sovranità dovrebbe essere del Parlamento. Dove è andata quella Costituzione di cui ci si è così tanto riempita la bocca, per motivare il recente no nel referendum riguardante la sua modifica? Una stangata si preannuncia per i risparmi investiti in titoli pubblici e privati, dai risparmiatori che si fanno gestire i soldi dalle banche. Fra di loro ci sono, naturalmente, molti pensionati. Ma nella demagogia sindacale italiana il pensionato che risparmia è un percettore di rendite, che va tassato per ragioni di equità (!!!). La Costituzione stabilisce (articolo 47) che la Repubblica favorisce e tutela il risparmio in tutte le sue forme. Ma questa norma è come non scritta, per l'attuale maggioranza di governo. Frattanto molti hanno portato i risparmi in Lussemburgo, a Montecarlo, in Svizzera. E i notai sono stracarichi di lavoro per le donazioni dei genitori ai figli, perchè si preannuncia l'imposta di successione. Ho parlato di etica fiscale, in quanto il viceministro Visco (a cui compete la gravosa responsabilità della manovra delle entrate), afferma che buona parte dei sette miliardi di euro in corso d'anno ritiene di recuperarli con misure di contrasto all'evasione fiscale. Che pare saranno concentrate nell'Iva. In Italia (e non solo in Italia) ci sono molte imprese di comodo di extra comunitari o ex comunisti appena entrati nell'Unione europea che fabbricano fatture fasulle su cui non versano l'Iva. Queste sono intestate a imprese che, così, le detraggono dalla propria Iva o fruiscono di illegittimi rimborsi per l'esportazione. L'eliminazione di questo sconcio è buona cosa. Ma non credo che sia una buona cosa bloccare i rimborsi all'esportazione in generale, danneggiando gli esportatori corretti, che sono la grande maggioranza. E neanche l'inasprimento della tassazione sul settore immobiliare, che si preannuncia, appare una buona cosa, in quanto rischia di generare una caduta dei valori immobiliari, mentre è in atto un riassestamento di questo mercato. Pare che questa tassazione riguarderà le compagnie immobiliari. Ma si trasferirà sui valori degli alloggi di coloro che hanno contratto mutui, per farsi la casa. Con conseguenti rischi per i loro difficili equilibri di bilancio. Il concerto sindacale, come si vede, è una bella suonata. Rifondazione contro Pdci, rissa tra comunisti Nella maggioranza ancora polemiche sul rifinanziamento della missione. Oggi l'esecutivo esamina il decreto, ma il Pdci è contrario. Il Prc: sono un problema per la coalizione Il ministro degli Esteri: non è pensabile governare se non si è in grado di sostenere una politica internazionale. Intanto Prodi e i Ds cercano la mediazione con i " dissidenti" ROMA I comunisti - gli altri, quelli del Pdci - sono un problema, dice Rifondazione comunista. Falsità, rispondono loro. E accusano gli ex compagni di incoerenza. Che la politica estera sarebbe stata il primo scoglio per il governo Prodi e la sua maggioranza era ampiamente prevedibile. Meno facile, invece, era immaginare che avrebbe scatenato una rissa nella sinistra dell'Unione. La miccia è il rifinanziamento della missione in Afghanistan. Oggi il consiglio dei ministri esaminerà il decreto e il disegno di legge. Il 17 luglio arriverà alla Camera. Poi al Senato. L'accordo nella maggioranza, però, ancora non c'è. Resta il " no" del Pdci e di otto senatori pacifisti. Un dissenso che mette nei guai Rifondazione, scavalcata a sinistra dagli ex compagni. Il Pdci? « È un problema per tutta la coalizione » , tuonava ieri Gennaro Migliore, capogruppo del Prc. « Non è tollerabile una forza che cambia atteggiamento a seconda dell'uditorio che si trova di fronte » . Gli ha risposto Pino Sgobio, capo dei deputati del Pdci: « La coerenza, evidentemente, non abita dalle parti di Migliore » . E gli ha ricordato come a far cadere il governo, nel 98, erano stati loro, non i Comunisti. Altra stilettata è arrivata da Iacopo Venier, responsabile Esteri del Pdci, che ha intimato gli ex compagni a non « scaricare all'esterno » i loro problemi interni. Dove il riferimento è al dissenso presente anche dentro Rifondazione, visto che degli otto senatori dissidenti quattro sono del Prc. Per Pino Pisicchio, dell'Italia dei Valori, « è tutta colpa di un sistema che accentua il bisogno di visibilità » . Ma attenzione, dice, « perché a forza di gridare al lupo, al lupo, si finisce per evocare il lupo » . Massimo D'Alema, in missione a Mosca, ha messo in chiaro che sull'Afghanistan « è in gioco la credibilità di unamaggioranza politica » . Non è, infatti, pensabile, ha aggiunto il ministro degli Esteri, che « una maggioranza di governo non abbia la capacità di sostenere i provvedimenti di politica estera del governo » . Romano Prodi ha mandato avanti l'uomo dei casi difficili, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Richi Levi. In mattinata ha incontrato Migliore, poi Paolo Cento e Angelo Bonelli deiVerdi. Unavia d'uscitapotrebbe essere lamozioneparlamentare di indirizzo. « Noi chiediamo una cosa molto semplice » , gli ha spiegato Cento, « che il governo indichi una exit strategy » . Se non la data del ritiro, almeno l'intenzione di ridurre, nel tempo, il contingente militare a Kabul. Ma il disimpegno italiano dall'Afghanistan è già stato escluso dai ministri di Esteri e Difesa. « L'accordo c'è ed è quello raggiunto dai capigruppo » , insiste il ministro di Rifondazione Paolo Ferrero con Libero. Ma proprio quell'accordo non convince una parte della maggioranza. GigiMalabarba, senatore del Prc, ieri ha confermato che non voterà il decreto. Persino se il governo decidesse di porre la fiducia. Ipotesi che, del resto, è stata accantonata. Se non c'è una maggioranza in politica estera, ha ribadito Arturo Parisi, responsabile della Difesa, si torna al voto. « Ci siamo presentati insieme agli elettori. E dagli elettori dovremmo tornare nel momento in cui la nostra alleanzadovesse venir meno » . Sulla stessa linea un altro ministro, Clemente Mastella che in una lettera ai dissidenti li mette in guardia dal « gravissimo errore » che stanno compiendo. « Voi ne fate un caso personale, noi un caso politico » , spiega. « Se così sarà » , conclude, « meglio prendere atto, oggi e non domani, che la maggioranza che ha vinto le elezioni non è maggioranza in Parlamento e trarne le debite conseguenze » . La possibilità che l'Udc voti il decreto non è considerata una soluzione. Anzi. Come spiega Fabio Evangelisti, vicecapogruppo dell'Italia dei Valori, « i voti dell'Udc vanno bene, ma se sono aggiuntivi » . Ancora più guardingo Migliore, secondo cui la mano testa dei centristi è « una polpetta avvelenata » . Arendere incandescenteil clima si è aggiunta, poi, un'intervista di Francesco Rutelli al Corriere della Sera in cui il vicepremier ribadisce come la missione in Afghanistan sarà nel segno della « continuità » . Parole che Rifondazione definisce « inaccettabili » . ELISA CALESSI Romano ha deciso: la Tav si farà, è indispensabile CAMBIO DI ROTTA ROMA Addirittura « indispensabile » . Romano Prodi è alle prese con la grana Tav, l'alta velocità sulla Torino- Lione. Verdi e Comunisti non la vogliono, l'Europa minaccia di togliere i finanziamenti. Così, ieri sera, ha convocato un tavolo di discussione con gli amministratori della Val di Susa. Presenti i ministri Alessandro Bianchi, Pierluigi Bersani e Antonio Di Pietro, il governatore del Piemonte Mercedes Bresso e il sindaco di Torino Sergio Chiamparino, il Professore ha illustrato la sua strategia: « Si ascolta, si discute, ma poi è il governo che ha l'onere di prendere le decisioni » . Prima, però, sarà fatta una nuova valutazione di impatto ambientale. Nessuna forzatura perché, riferiscono i presenti, il premier si sarebbe detto « scosso » dalle manifestazioni anti- Tav. L'opera, dice Di Pietro, va fatta. La vicepresidente di Confindustria Emma Marcegaglia chiede al governo « più coraggio » , mentre il sottosegretario all'Economia, il verde Paolo Cento è contento: « Questa cautela è positiva » . In Senato Silvio vale seicento Prodi Col Professore record negativo di ore lavorate: solo 40 a testa, con la stessa paga dello scorso quinquennio: ogni senatore ha incassato oltre mille euro ogni 60 minuti trascorsi in Aula ::: I parlamentari del centrodestra obbligheranno la Camera alta a votare tre volte ogni provvedimento: ci si dovrà pronunciare su pregiudiziale, sospensiva e fiducia ROMA Seicentoventotto votazioni contro una sola votazione: ossia, durante la scorsa legislatura al Senato, di questi tempi, si era già votato 628 volte. Nell'attuale legislatura, solo una volta. Il governo Prodi, insomma, fa lavorare proprio poco il Senato. Del resto, gli conviene, visto che quelsuccede ad ogni seduta. Come le barricate della Cdl, due giorni fa insorta per palese violazione del regolamento. E poi, ad ogni votazione, dietro l'angolo c'è lo spauracchio della maggioranza risicata, anzi della maggioranza che non c'è, e che rischia di far saltare il voto. Del resto, lo ha ricordato l'ex ministro Roberto Castelli, mercoledì, prima che scoppiasse la bagarre. « A oggi l'unico provvedimento cui avete posto mano è quello per rimandare alcune scadenze. Il che vuol dire che non avete idee o non ce le avete fatte ancora vedere » , ha attaccato il capogruppo della Lega a Palazzo Madama, nel corso del suo intervento per la dichiarazione di voto sulla fiducia posta dal governo sul decreto legge per la proroga dei termini degli atti parlamentari. Sottolineando: « Io sono lombardo, sono nato nella cultura del lavoro, e così mi sembra di rubare lo stipendio » . Appunto, parliamo di stipendi. Comerisulta da una ricerca effettuata dal quotidiano " Italia Oggi", prendendo di base gli stenografici e le relazioni di Palazzo Madama, tra assemblea e commissioni, ogni senatore, pur ammettendo che sia stato presente a tutti i lavori, ha " lavorato" in due mesi, maggio e giugno, 40 ore e 43 minuti di presenza. Senza però che questo abbia avuto avuto alcun effetto sulle buste paga, cioè senza alcuna trattenuta, che ammontano a 20.792 euro lordi e 15.020 netti al mese. Tradotto in termini di compenso orario, per ciascun senatore, di 1029,54 euro lordi e di 743 euro netti. « Vorrei ricordare che questo governo ha fatto votare due volte la fiducia su due provvedimenti presentati » , sottolinea il senatore forzista Lucio Malan, protagonista mercoledì della clamorosa protesta in Senato, asserragliandosi in aula, dopo aver protestato energicamente contro il presidente Marini. « Mentre durante il governo Berlusconi la fiducia è stata votata 46 volte su un totale di oltre 600 provvedimenti » . Anche grazie al senatore Malan, la Cdl è riuscita a far passare il principio che in Senato, su ogni decreto, si voterà perlomeno tre volte: il voto pregiudiziale - in fase di discussione - l'eventuale voto di sospensiva e poi la fiducia. « Questo è quanto si è sempre fatto durante il governo Berlusconi » , spiega il senatore azzurro, « anche quando si metteva appunto la fiducia, si poteva votare fino a tre volte. Con il metodo che voleva imporre l'altro giornoil presidente Marini, sisarebbe dovuto votare una volta sola » . Insomma, si tratta anche di un problema di deficit democratico, perché la discussione su ogni provvedimento, in questo modo, di fatto verrebbe ampiamente decurtato. E a proposito di lavoro " matto e disperatissimo", c'è anche la questione del mese corto, ovvero della possibilità per l'assemblea della Camera di lavorare tre settimane su quattro per consentire ai deputati, soprattutto a quelli eletti all'estero, di dedicarsi nell'ultima settimana del mese al collegio. Il tema, affrontato nell'ultimi ufficio di presidenza di Montecitorio, è stato sollevato nella conferenza dei capigruppo di ieri dal presidente della Camera Fausto Bertinotti. « Il presidente ha detto che serve un momento di riflessione » sull'argomento, ha riferito il capogruppo dei Verdi Angelo Bonelli. Al Senato, invece, confermata la settimana di sosta ogni tre " lavorate". Lavorate, si fa per dire. CATERINA MANIACI La procura di Roma scagiona Sottile e la showgirl I legali preparano il contrattacco al teorema Woodcock ROMA « La questione è ancora aperta, soprattutto dal punto di vista della competenza territoriale » . L'avvocato Giuseppe Valentino, legale di Salvo Sottile, liquida così la vicenda giudiziaria che ha coinvolto il portavoce di Fini. Il suo assistito, che nel frattempo è partito per le vacanze con la moglie, è stato scarcerato perché, è scritto nell'ordinanza del Gip di Roma, Renato Laviola, « le misure di cautela erano insussistenti e superate » e lui non si è reso colpevole di alcun reato di concussione sessuale: smontata l'accusa. Anche perché Elisabetta Gregoraci ( lasoubrette che avrebbe subìto la concussione) ha dichiarato di essere stata consenziente. Morale: una procura sconfessa l'altra e i legali di Sottile sollevano pure la questione della competenza territoriale per l'altro reato di cui Sottile è indagato, la corruzione nei confronti dei Monopoli. « Abbiamo fatto istanza al Tribunale del Riesame » , specifica l'altro difensore, Nicola Buccico. « Adesso attendiamo. Comunque, è chiaro che sul fronte della concussione l'impalcatura è caduta perché gli indizi devono essere gravi, univoci e concordanti, invece non lo sono » . Sottile potrebbe chiedere i danni per essere stato detenuto ingiustamente e i pm romani potrebbero decidere di archiviare la pratica. Un bello smacco per i giudici potentini che però si difendono: « Gli indizi c'erano. Basta leggere bene l'ordinanza e le intercettazioni allegate » . Guerra tra procure? Il Gip Alberto Iannuzzi nega: « Non commento il provvedimento di un collega che, fra l'altro, non ho visto » . Intanto avanza il partito di chi vuole un'inchiesta sulle intercettazioni. La difesa del sindaco di Campione, Roberto Salmoiraghi, le giudica illegittime e chiede di annullare l'ordinanza di Potenza. Aggredito dai detenuti Alessi trasferito al carcere di Viterbo VITERBO Mario Alessi, il muratore siciliano accusato del rapimento e dell'omicidio del piccolo TommasoOnofri, non è più rinchiuso nel carcere di Parma, ma è stato trasferito, già da alcuni giorni, nel penitenziario di Viterbo. Il suo avvocato, Laura Ferraboschi, ha già annunciato che presenterà immediatamente un'istanza di riavvicinamento. Le prime voci parlavano di un trasferimento per motivi di sicurezza. Alessi avrebbe subito una violenta aggressione da parte di alcuni detenuti del carcere emiliano. Questo avrebbe convinto il direttore del penitenziario a chiedere il trasferimento. Ma è lo stesso direttore, Silvio Di Gregorio, a negare questa ipotesi. « Non corrisponde assolutamenteal vero. Alessi è stato trasferito permotivi di giustizia alla fine della scorsa settimana » , precisa. Poi ci tiene a ribadire che il detenuto, « è uscito dal carcere di Parma integro sia dal punto di vista fisico, sia psichico. Da noi è stato detenuto per tre mesi » , ha spiegato, « e non ci sono mai state lamentele del detenuto o dell'autorità giudiziaria » . Alessi, 44 anni, condannato nei giorni scorsi dalla Cassazione per una violenza di gruppocommessa a San Biagio Platani, in provincia di Agrigento nel 2000, ai danni di una ragazza minorenne non sarebbe in carcere con gli altri detenuti del penitenziario viterbese, ma si troverebbe in una cella dell'infermeria, guardato a vista da due agenti di polizia penitenziaria. Nonostante le smentite la preoccupazione è sempre quella che possa subire un pestaggio da parte degli altri detenuti. Intanto all'interno del carcere romano di Rebibbia, una piccola pianta di limone ricorderà a lungo il piccolo Tommaso Onofri. L'iniziativa è di un gruppo di detenuti del braccio G12 che proprio in questi giorni stanno provvedendo a riorganizzare l'orto interno al carcere. I detenuti hanno anche espresso un desiderio: donare il primo raccolto del nuovo orto ai genitori del piccolo Tommy, per dimostrare loro che nessuno ha dimenticato. « L'albero di Tommaso » , spiega il garante regionale dei diritti dei detenuti, Angiolo Marroni, « dimostra che che all'interno del carcere esiste una grande sensibilità umana che si esprime con atti anche piccoli, ma concreti e significativi » . GIAMPIERO DE CHIARA A Rio si uccide più che a Bagdad BAGDAD Come cambierebbe la vostra percezione della guerra se scopriste che la possibilità di subire una morte violenta è del 50% più alta a Caserta che in Iraq, o in Sardegna rispetto a Nassiriya? O che a Washington si rischia l'omicidio 3 volte più che a Bagdad, e a Rio o in Colombia quasi 5? Abituatevi all'idea perché è tutto vero. L'immagine di un Iraq in fiamme è distorta. Lo dimostrano le statistiche dei più seri enti ( pacifisti e non governativi) che si occupano di contare uno a uno i morti iracheni, senza ricorso a grossolani sondaggi o a elenchi disomogenei. Ovvero ICasualties e Iraqi body count ( Ibc), ai quali va aggiunto il maggior studio accademico, Iraq Index, della Brookings Institution. Secondo Ic fra il 31 Maggio 2005 e il 31 Maggio 2006 sono morti in modo violento, per cause di guerra e non, 8528 civili iracheni: visto che in Iraq vivono 28.5 milioni di persone, si tratta di una media di 29.9 ogni 100mila abitanti. Nel solo 2005 ( gennaio e febbraio integrati da Ibc), i caduti annuali risultano 7831: 27.4 su 100mila. Lo confermano i risarcimenti pagati nel 2005 dagli Usa alle famiglie colpite: 25 milioni di dollari per circa 8mila vittime. Un filo più alta la media di Ibc sull'intero periodo dell'occupazione. Tra il maggio 2003 e giugno 2006 almeno 30.942 morti civili, 33.7 ogni 100mila abitanti. Su per giù la cifra ammessada Busha fine 2005 a margine del World council, comprensiva però dei primi 42 giorni di bombe. Quanto all'Iraq Index, esso delinea una forchetta tra decessi certi o solo probabili: dal primo maggio 2003 al 28 febbraio 2006, conta tra 11.585 e 20.243 vittime, per una media tra 14.3 e i 25.7. Ma senza un termine di paragone questi numeri dicono poco. Secondo gli ultimi dati Censis, del Coordinamento degli interni ( e del rapporto ' 05 di Eures e Ansa, L'omicidio volontario in Italia), ad esempio a Caserta si son verificati 30 omicidi tanto nel ' 04 che nel ' 03. Una media ogni 100mila abitanti pari a 40.5. Eppure non pare che la città fosse in guerra. Neanche nel 2001, quando la media fu 35.1. Semprenel 2004 lamediaregistrata a Reggio Calabria segnava 19.4 ( 35 omicidi), nel 2001 era 23.8. Nel 2003 la media di Foggia è stata 20.6. A Napoli ( 116 omicidi tra gennaioe novembre2004), si è sfiorato il 12, due punti sotto la stima irachena più certa. Robetta rispetto alla media partenopea dell' 82 ( 24), opalermitana tra ' 82 e' 83 ( 36.6 con 500 morti). In Italia l'anno dopo la fine della nostra guerra (' 46) la media fu la stessa del conto di Brookings, 14. Altrove comunque va peggio. Stando al Crime Report del Dipartimento della Giustizia, tra ' 02 e ' 04 Washington ha registrato una media di 40.8 morti x 100mila abitanti., con punta del 45.9. New Orleans nel ' 04 viaggiava sui 56, Detroit a 42. Poi Baltimora con 37, S. Louis 33, Atlanta 26, Philadelphia 22, Chicago 15.5, Dallas 20.2. A S. Paolo del Brasile si consumano 10mila omicidi l'anno: media di 62.5 che a Rio sale a 65. E per l'ultimo rapporto Onu sul crimine, inColombia, dove vivono in 15 mln più che in Iraq, la media è 61.7. In Sud Africa ( 11 mln in più) 49.6. Mentre nel paradiso Jamaica tocca 32.4 e in Venezuela 31.6. Persino in Russia ( 5 volte l'Iraq) il tasso supera quota 20, con 29mila ammazzati l'anno. Da queste statistiche, per un paragone uniforme con l'Iraq, andrebbero tolti i caduti tra le forze dell'ordine. Tuttavia pesano per l' 1%, dunque il quadro non cambia. Tornando ai metodi di conteggio delle vittime irachene, IC calcola tutti i civili ammazzati senza distinzioni. Brookings solo quelli causati dalla guerra. Mentre Ibc fornisce anche una seconda stima un po' più alta, includendo però i decessi indiretti: omicidi criminali, incidenti stradali o da salve celebratorie, morti da inquinamento e ordigni inesplosi. I primi due enti incrociano comunicati di Centcom, Difesa angloUsa e Mnf con fonti irachene ( media e Ong). Inoltre Iraq Index screma i casi dubbi di Ibc, che usa fonti giornalistiche, fissando un minimo di vittime al netto delle discrepanze. Per onestà ai totali andrebbero sottratti i civili uccisi dalla resistenza ( 46% per Lancet). E ove si scorporasse qualche enclave sunnita, il Paese eguaglierebbe la Scandinavia. Con un record di 0 morti nel ' 05 proprio nel Dhi Qar italiano, contro 75 omicidi nel ' 04 in una popolazione analoga a quella sarda. La prova del nove che le stragi post Saddam non sono da teatro bellico, sta nella lista dei caduti della guerra vera, dal 19 Marzo al 30 Aprile 2003: in 42 giorni morirono 7300 civili. Per unamedia di 222.9. Dieci volte più di oggi. WWW. LALTROGIORNALE. COM ::: IN BRASILE A S. Paolo del Brasile ogni anno vengono censiti 10mila omicidi ( media di 62.5), a Rio de Janeiro la media è di 65. IN COLOMBIA Secondo l'ultimo rapporto Onu sul crimine in Colombia, la media degli omicidi è di 61.7, in Sud Africa 49.6, in Jamaica 32.4, in Venezuela 31.6. In Russia ( 29mila omicidi l'anno) la media è di oltre 20. IN AMERICA Secondo il Crime report del dipartimento statunitense della giustizia tra 2002 e 2004 la media di Washington è stata di 40.8 per 100mila abitanti ( con una punta di 45.9 nel 2002). New Orleans nel 2004 ha avuto una di 56, Detroit di 42, Baltimora di 37, S. Louis di 33, Atlanta di 26, Philadelphia di 22, Chicago di 15.5, Dallas 20.2. Israele arresta otto ministri di Hamas. Chi lo critica guardi a Putin di ANGELO PEZZANA Da quando i terroristi palestinesi - sono terroristi, non li chiamiamo miliziani - sono entrati in Israele dal confine di Gaza e hanno ucciso due soldati e rapito un terzo, il diciannovenne Ghilad Shalit, da quando il diciottenne Eliahu Asheri è stato rapito mentre faceva l'autostop per rientrare a casa domenica scorsa ed immediatamente assassinato con un colpo alla testa, assistiamo ad una descrizione dei fatti che ha dell'incredibile. Invece di chiederci fino a quando Israele potrà tollerare che i suoi giovani vengano barbaramente uccisi sul suolo nazionale, si sprecano i titoli che ancora rivolgono il dito accusatore verso la parte sbagliata. La difesa di Israele diventa " feroce e violenta", il rapimento- uccisione del giovane autostoppista viene titolata " ucciso un colono rapito da miliziani", e invece dell'immagine della vittima le pagine dei giornali sono piene di fotografie dei capi di Hamas. Per Eliahu Asheri niente nome nè la sua immagine di diciottenne sorridente, era un colono e basta. Israele arresta esponenti del governo di Hamas, li arresta, non li elimina con un colpo alla nuca, li arresta perchè sono i responsabili di quel governo terrorista che ha dichiarato guerra allo Stato ebraico, e l'atto viene definito " crudele, spietato, eccessivo", come lascia intendere il viceministro Ugo Intini, al quale è stata data molto abilmente da D'Alema la delega al Medio Oriente. Con uno come lui, il nostro ministro degli esteri e con lui il governo Prodi, possono star sicuri che la famigerata politica di sottomissione ai paesi arabi, che fu il segno distintivo di Craxi, proseguirà immutata. Non sappiamo se per scelta ideologica o per ignoranza, ma ci chiediamo come Intini, nella sua intervista di ieri sul Corriere, possa complimentarsi con la politica di Arafat e ritirare fuori tutti i luoghi comuni contro le presunte colpe di Israele. Deve ritirarsi dai territori, ma se si ritira da Gaza sbaglia perchè l'uscita non è stata concordata. E' inutile, qualunque cosa faccia non la fa mai giusta. Non dovrebbe rispondere se uccidono i suoi soldati, dovrebbe accettare i ricatti ( come ha sempre fatto l'Italia e l'Europa in genere) quando dopo aver rapito un soldato lo vogliono usare come merce di scambio. Non dovrebbe nemmeno proteggere la vita dei suoi cittadini, qualunque sia la risposta che darà sarà giudicata eccessiva, priva di comprensione. Ma se Putin ordina alle sue forze speciali di andare in Iraq, cercare i terroristi ( toh, guarda, in questo caso si scrive terroristi e non miliziani) che hanno sgozzato i quattro diplomatici russi a Bagdad e di eliminarli, nessuno fiata, nessuna voce si alza dal baraccone pacifista. Dal che si deduce che quello che è lecito a Putin non è nemmeno lontanamente pensabile che valga per Israele. My Speed Limit ??? 400 Km/h |